Orson Card - Alvin l'apprendista

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Alvin l'apprendista: краткое содержание, описание и аннотация

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In un mondo dominato da magie, incantesimi e misteriose potenze negative, nasce Alvin “Settimo figlio di un settimo figlio” che possiede tutte le energie positive del Creato ed è destinato a combattere per la salvezza degli uomini e della Terra. Il giorno in cui nacque Alvin, Peggy — colei che vede tutti i futuri possibili — ne lesse il destino carico di dolori e pericoli, ma vide anche la missione a cui era predestinato. Una missione che gli avrebbe dato la gloria di essere ricordato come il costruttore di un mondo migliore.

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Alvin bussò alla porta, pensando che così si dovesse fare. Non era mai stato in una locanda prima d’allora, e non sapeva nulla di locali pubblici. Perciò bussò una volta, poi un’altra, quindi cominciò a gridare, finché la porta non si aprì. Davanti a lui c’era una donna con le mani infarinate e un grembiule a quadretti, una donna che sembrava su tutte le furie… Tuttavia Alvin la riconobbe. Era la donna della visione nella torre di cristallo, la donna che l’aveva aiutato a nascere afferrandogli la testa con quelle stesse dita che adesso erano bianche di farina.

«Che diamine ti salta in mente, ragazzino, di bussare alla mia porta in quel modo e di metterti a urlare come se fosse scoppiato un incendio? Perché non puoi entrare e metterti a sedere come tutti gli altri, o sei così importante da aver bisogno di una serva che venga ad aprirti la porta?»

«Scusatemi, signora» disse Alvin, rispettosamente.

«Dunque, che cosa vuoi da noi? Se sei un mendicante, allora debbo dirti che non ci sono avanzi fino a stasera ma, se te la senti di aspettare, e se hai una coscienza, be’, potresti spaccare un po’ di legna. A parte che, guardandoti, non credo tu abbia più di quattordici anni…»

«Undici, signora.»

«Be’, allora sei grande per la tua età… Però ancora non riesco a capire che cosa ci fai da queste parti. Non ti servirei liquori nemmeno se tu avessi soldi, cosa di cui dubito. Questa è una casa cristiana, anzi, più che cristiana, perché siamo metodisti fino al midollo, e questo significa che non tocchiamo un goccio d’alcol né lo serviamo, e anche se lo facessimo non lo serviremmo certo a un ragazzino. E sarei pronta a scommettere dieci libbre di lardo che non hai in tasca neanche i soldi per una notte.»

«No, signora» disse Alvin «ma…»

«Be’, e allora eccoti qui, dopo avermi tirata fuori dalla cucina con il pane impastato a metà e un bambino che fra un istante si metterà a strillare perché vuole il latte, e immagino che tu non abbia nessuna intenzione di metterti a capotavola per spiegare ai miei dozzinanti perché la cena non è ancora pronta, tutto per via di un ragazzino che non sa aprire una porta da solo, no, sarò io quella che dovrò profondermi in scuse, e questo da parte tua se non ti dispiace mi sembra una vera scortesia, e anche se ti dispiace è esattamente la stessa cosa.»

«Signora» disse Alvin «non voglio da mangiare e nemmeno una camera.» Conosceva le buone maniere a sufficienza per non aggiungere che a casa di suo padre i viandanti erano sempre stati bene accetti, anche se non avevano un soldo in tasca, e che un uomo affamato non mangiava gli avanzi, ma sedeva a tavola con tutta la famiglia. Alvin cominciava ad afferrare l’idea che in quelle regioni civilizzate le cose funzionavano diversamente.

«Be’, noialtri non abbiamo da offrire che cibo e stanze» ribatté la locandiera.

«Sono venuto qui, signora, perché sono nato in questa casa, quasi dodici anni fa.»

Il suo atteggiamento cambiò di colpo. Ora non era più la locandiera, ma la levatrice. «Sei nato in questa casa?»

«Lo stesso giorno che il mio fratello più grande, Vigor, è morto nel fiume Hatrack. Ho pensato che magari ricordavate ancora quel giorno, e forse potevate mostrarmi il posto in cui mio fratello era sepolto.»

L’espressione della donna cambiò di nuovo. «Tu…» mormorò. «Tu appartieni a quella famiglia… Il settimo figlio di…»

«Di un settimo figlio» concluse Alvin.

«Santo Cielo come ti sei fatto grande! Ah, quel giorno fu un vero portento. Mia figlia era qui proprio mentre nascevi e ha guardato laggiù sul fiume e ha visto che tuo fratello era ancora vivo…»

«Vostra figlia» disse Alvin, con tanta precipitazione da non accorgersi di aver interrotto la donna a metà frase. «È una fiaccola, vero?»

L’espressione della locandiera si fece fredda come il ghiaccio. « Era una fiaccola» mormorò. «Ora non esercita più.»

Ma Alvin non fece caso a quel cambiamento. «Volete dire che ha perso il suo dono? Sarebbe la prima volta che sento parlare di una cosa del genere. Comunque, se è qui, mi piacerebbe parlare con lei.»

«Non è più qui» spiegò la donna. Finalmente Alvin capì che quello era un argomento di cui la locandiera preferiva non parlare. «Hatrack non ha più fiaccola. I bambini nasceranno senza che nessuno li tocchi per vedere come sono messi nel ventre della madre. È finita. E ora non ho intenzione di dire una sola parola in più a proposito di una figlia capace di andarsene così, senza motivo…» E s’interruppe, voltandogli le spalle. «Devo finire d’impastare il pane» riprese poi. «Il cimitero è su quella collina.» Si voltò di nuovo verso Alvin, e il suo viso non mostrava più la minima traccia di rabbia o dolore, o qualsiasi fosse l’emozione che aveva provato un istante prima. «Se il mio Horace fosse qui, gli chiederei di accompagnarti, ma la strada puoi benissimo trovarla da solo, c’è una specie di viottolo. È solo un cimitero di famiglia, circondato da una staccionata.» La sua espressione severa si ammorbidì. «Quando hai fatto, torna giù e ti darò qualcosa di meglio degli avanzi.» Si affrettò a tornare in cucina. Alvin la seguì.

Accanto al tavolo di cucina c’era una culla, dentro la quale dormiva un bambino, agitandosi nel sonno. Quel piccolo aveva qualcosa di strano, ma sulle prime Alvin non riuscì a capire di che cosa si trattasse.

«Siete molto gentile, signora, ma non ho intenzione di accettare elemosine. Ditemi che devo fare per guadagnarmi da mangiare.»

«Bravo, hai parlato da vero uomo… Tuo padre era come te, e il ponte che ha costruito sull’Hatrack è ancora lì, solido come il primo giorno. Ma tu adesso va’ a vedere il cimitero, e poi torna qui senza perder tempo.»

La donna si chinò sul grosso pezzo di pasta da pane che aveva lasciato sul tavolo. Alvin ebbe per un momento l’impressione che stesse piangendo: gli parve di scorgere qualche lacrima cadere sulla pasta… ma forse si sbagliava. Era comunque evidente che la locandiera voleva essere lasciata sola.

Alvin guardò di nuovo il bambino, e capì che cosa avesse di strano.

«È un negretto, vero?» chiese.

La donna smise d’impastare, ma tenne le mani affondate fino al polso nella pasta. «È un bambino» ribatté, «ed è mio. L’ho adottato ed è mio, e se lo chiami ‘negretto’ t’impasto la faccia come una pagnotta.»

«Scusate, signora, non intendevo offendervi. Forse ha la carnagione un po’ scura e per questo mi ero fatto l’idea che…»

«Certo, è mezzo Nero. Ma quella che sto tirando su è la sua metà bianca, proprio come se fosse figlio mio. Gli abbiamo dato il nome di Arthur Stuart.»

Alvin capì subito il sottinteso. «Suppongo che nessuno si azzarderà a dar del ‘negretto’ al re.»

La donna sorrise. «Penso proprio di no. Adesso vattene, ragazzo. Hai un debito con tuo fratello, e sarà meglio che tu vada a saldarlo il più presto possibile.»

Trovare il cimitero non fu difficile, e Alvin fu contento di vedere che suo fratello Vigor aveva una pietra tombale, e che la sua tomba era curata come le altre. Non che ce ne fossero molte. Due tombe con lo stesso nome — PICCOLA MISSY — e date che parlavano di tenere vite spezzate. Un’altra pietra con su scritto nonno, e poi il suo vero nome, e date che parlavano di una lunga vita. E Vigor.

Alvin s’inginocchiò davanti alla tomba di suo fratello e cercò d’immaginarsi quale doveva essere il suo aspetto. Non avendolo mai visto, nella sua mente si formò il volto di suo fratello Measure, il suo preferito, quello che era stato catturato dai Rossi insieme ad Alvin. Vigor doveva essere un po’ come Measure. O forse Measure un po’ come Vigor. Entrambi disposti a morire, in caso di necessità, per il bene della famiglia. Vigor, morendo, mi aveva già salvato la vita prima che io venissi al mondo, pensò Alvin, eppure ha resistito tenacemente fino all’ultimo, cosicché quando sono nato ero ancora il settimo figlio di un settimo figlio, con tutti i fratelli maschi ancora vivi. Lo stesso genere di coraggio, forza e spirito di sacrificio che erano stati necessari a Measure — che non aveva ucciso un solo Rosso e, nel tentativo di arrestare il massacro del Tippy-Canoe, ci aveva quasi rimesso la pelle — per prendere su di sé la stessa maledizione di suo padre e dei suoi fratelli, per accettare che le mani gli grondassero sangue ogni volta che mancava di raccontare a uno straniero la vera storia dell’uccisione di tanti Rossi innocenti. Perciò, mentre se ne stava in ginocchio sulla tomba di Vigor, ad Alvin parve di essere in ginocchio sulla tomba di Measure, pur sapendo bene che Measure non era morto.

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