Al fiume Hatrack ci arrivò a piedi, percorrendo centinaia di miglia attraverso i territori del Wobbish e dell’Hio. Partendo da casa indossava un paio di robusti scarponi, e sulle spalle portava uno zaino pieno di provviste. Così percorse le prime cinque miglia, prima di fermarsi a una povera capanna per regalare ai suoi occupanti tutte le provviste. Dopo un altro miglio o poco più incontrò una famiglia male in arnese, diretta a ovest verso le nuove terre nella regione del fiume Noisy. Regalò loro la tenda e la coperta che portava nello zaino e, siccome tra loro c’era un ragazzo di tredici anni più o meno della corporatura di Alvin, si sfilò gli scarponi nuovi e gli regalò anche quelli, calzini compresi. Si tenne solo i vestiti che aveva indosso e lo zaino vuoto.
Quei poveretti avevano gli occhi sbarrati e l’aria stravolta all’idea che il padre di Alvin potesse rifarsela con loro, ma lui li tranquillizzò dicendo che quella roba era sua e poteva farne quello che voleva.
«Sei sicuro che non mi ritroverò di fronte tuo padre armato di moschetto?» chiese il pover’uomo.
«Sono sicuro di no, signore» rispose il giovane Alvin «considerando che vengo dalla città di Vigor Church, i cui abitanti si guarderanno bene dal farsi vedere da voi, se non sarete voi stessi a costringerli.»
A quella gente ci vollero dieci secondi buoni per ricordare dove avessero già udito il nome di Vigor Church. «Sono quelli del massacro del Tippy-Canoe» dissero. «Sono quelli con le mani insanguinate.»
Alvin annuì. «Perciò potete stare tranquilli.»
«È vero che costringono chiunque passi da quelle parti ad ascoltare la terribile storia di come massacrarono tutti quei Rossi a sangue freddo?»
«Non fu a sangue freddo» disse Alvin «e poi quella storia la raccontano solo a chi entra in città. Perciò restate sulla strada maestra, lasciateli perdere, non fermatevi. Una volta attraversato il Wobbish, vi troverete di nuovo in aperta pianura, dove sarete ben felici di trovare una fattoria dove fermarvi. Da qui non saranno più di dieci miglia.»
Be’, quelli non si attardarono a discutere, nemmeno per domandargli come mai lui quella storia non dovesse raccontarla. Bastava il nome del massacro del Tippy-Canoe a tacitare chiunque, ispirandogli una sorta di atteggiamento riverente, vergognoso e rapito, come quando si entra in chiesa. Perché, sebbene la maggior parte dei Bianchi evitassero gli sventurati dalle mani insanguinate che avevano versato il sangue dei Rossi al Tippy-Canoe, tutti quanti sapevano che se si fossero trovati al loro posto avrebbero fatto la stessa cosa, e sarebbero state le loro mani a grondare sangue finché non avessero narrato ai viandanti la terribile colpa di cui si erano macchiati. Quella colpevole consapevolezza faceva sì che non fossero molti i viaggiatori cui sorridesse l’idea di fermarsi a Vigor Church, o in una qualsiasi delle fattorie del Wobbish settentrionale. Quei poveretti dunque accettarono i regali di Alvin e si affrettarono a riprendere il cammino, felici all’idea di avere un pezzo di tela sulla testa e un paio di buone scarpe di cuoio ai piedi del ragazzo più grande.
Poco dopo Alvin lasciò la strada battuta, inoltrandosi nei recessi più nascosti della foresta. Se avesse indossato un paio di scarpe, avrebbe incespicato, spezzato rami e fatto più baccano di un bisonte in amore… Più o meno come faceva la maggior parte dei Bianchi quando si muoveva nella foresta. Ma siccome adesso era scalzo, e la sua pelle toccava il suolo, Alvin era come una persona diversa. Aveva corso alle calcagna di Ta-Kumsaw attraverso le foreste di tutto il paese, a nord e a sud, e nel corso di quei viaggi aveva imparato a correre come l’uomo rosso, ascoltando il canto verde della foresta vivente, muovendosi in perfetta armonia con quella musica dolce e silenziosa. Quando Alvin correva in quel modo, senza pensare a dove posava il piede, il terreno diventava elastico e cedevole sotto i suoi piedi; a guidarlo era la foresta stessa, i ramoscelli non si spezzavano sotto i suoi piedi, i cespugli non lo frustavano e le fronde non si schiantavano al suo passaggio. Alle sue spalle non restavano né orme né rami spezzati.
Proprio come un Rosso, ecco come si muoveva. E ben presto gli abiti da Bianco gli furono d’impaccio, e lui si fermò a toglierseli, li cacciò nello zaino e poi corse nudo come una ghiandaia, sentendo le foglie dei cespugli che gli sfioravano la pelle. Poi venne catturato dal ritmo stesso della corsa, dimenticò completamente il proprio corpo e divenne parte della foresta vivente, correndo innanzi, sempre meglio e sempre più velocemente, senza mangiare, senza bere. Come un Rosso, che poteva correre nel folto della foresta senza mai fermarsi a riposare, percorrendo centinaia di miglia in un solo giorno.
Quello era il modo più naturale di viaggiare, Alvin lo sapeva bene. Non su un cigolante carro di legno che traballava sul terreno asciutto e s’impantanava nelle strade fangose. E nemmeno a cavallo, con una bestia che sudava e s’inarcava sotto di te, non padrona dei propri desideri, bensì schiava della tua fretta. Solo un uomo nella foresta, i piedi nudi che sfiorano il terreno, la faccia nuda al vento, che correndo sogna.
Corse per tutto il giorno e tutta la notte e buona parte del mattino seguente. Come faceva a sapere dove andare? Percepiva lo squarcio della strada battuta alla sua sinistra quasi fosse un prurito o un bruciore e, sebbene quella strada attraversasse molti villaggi e molte città, Alvin sapeva che l’avrebbe condotto alla cittadina di Hatrack. In fin dei conti era la stessa strada che i suoi genitori avevano percorso anni prima, costruendo un ponte su ogni ruscello, ogni torrente e ogni fiume che si erano trovati davanti, mentre lui, neonato, se ne stava al sicuro sul carro coperto. Anche se non l’aveva mai fatta in precedenza e adesso non poteva vederla, sapeva benissimo dove conduceva.
Così, la mattina del secondo giorno, si arrestò sul limitare del bosco, davanti a un campo di mais appena spuntato che ricopriva di un morbido tappeto verde il terreno ondulato. In quella regione le fattorie cominciavano a diventare così numerose che la foresta diventava troppo debole per permettergli di alimentare più a lungo il suo sogno.
Alvin si fermò e rimase immobile, quasi attonito. Impiegò qualche momento per ricordare chi era e dove stava andando. La musica della foresta era forte alle sue spalle, fioca di fronte a lui. Riusciva soltanto a capire che davanti a lui c’erano una città e un fiume, a forse cinque miglia. Ecco ciò che riusciva a sentire con certezza. Ma poiché quel fiume era sicuramente l’Hatrack, la cittadina non poteva essere che quella verso cui era diretto.
Aveva creduto di poter correre nella foresta sino ai margini dell’abitato. Ora, tuttavia, non gli restava altra scelta che percorrere le ultime miglia al passo dell’uomo bianco, oppure non percorrerle affatto. Non aveva mai pensato che al mondo esistessero luoghi civilizzati al punto che i campi di una fattoria finivano là dove cominciavano quelli della fattoria successiva, con una semplice staccionata o una fila d’alberi a fare da confine, una fattoria dopo l’altra. Era forse questo che il Profeta aveva scorto nelle sue visioni? Aveva forse visto la foresta completamente distrutta e sostituita da campi coltivati, cosicché l’uomo rosso non avrebbe più potuto correre, né il cervo cercare riparo, né l’orso trovarsi un luogo dove andare in letargo? Se così era, non c’era da stupirsi che Tenska-Tawa avesse condotto oltre il Mizzipy tutti i Rossi disposti a seguirlo. Lì dove si trovava Alvin, l’uomo rosso non poteva più vivere.
L’idea di lasciarsi alle spalle le terre viventi che aveva imparato a conoscere come il suo stesso corpo suscitò in Alvin un misto di tristezza e di paura. Ma lui non era un filosofo. Era un ragazzo di undici anni, che non vedeva l’ora di visitare una cittadina dell’Est, civilizzata e fornita di tutto. E poi lì aveva un affare da sbrigare, un affare che lo attendeva da un anno, da quando era venuto a sapere che in quel luogo viveva una fiaccola, e che quella fiaccola aveva visto in lui un Creatore.
Читать дальше