Be’, sicuramente non aveva girato intorno all’argomento, si disse Peggy.
«Sta’ zitto, Mock» disse sua moglie. «E voi, datemi quel bambino, signorina. Se solo l’avessi saputo in anticipo, avrei continuato a dare la poppa al mio più piccolo per conservare il latte. Quel ragazzo l’ho svezzato due mesi fa e da allora non mi ha dato un attimo di pace. Ma tu sei di un’altra pasta, piccolino, di tutt’altra pasta.» Si rivolse al bambino con la stessa voce bassa e dolce con cui si era rivolta alla sua mamma morta, e lui non si svegliò nemmeno.
«Ve l’ho detto, lo crescerò come un figlio» disse mamma.
«Scusatemi, signora, ma non ho mai sentito parlare di una donna bianca che facesse una cosa del genere» obiettò Mock.
«Quello che dico» esclamò mamma «lo faccio.»
Mock ci pensò su un momento. Poi annuì. «Già, è vero» disse. «Penso di non avervi mai sentita tornare sulla vostra parola, nemmeno con un Nero.» Sorrise. «I Bianchi di solito hanno idea che mentire a un Nero non sia proprio mentire. »
«Faremo come ci avete chiesto» concluse Anga Berry. «Dirò a tutti quelli che ce lo chiedono che questo bambino è mio, e che l’abbiamo dato a voi perché eravamo troppo poveri.»
«Ma non vi sognate nemmeno di dimenticare che è una bugia» disse Mock. «Non vi sognate nemmeno di pensare che, se veramente fosse figlio nostro, noi saremmo capaci di abbandonarlo. E non vi sognate nemmeno di pensare che mia moglie avrebbe mai permesso a un Bianco di metterla incinta, continuando a essere mia moglie.»
Mamma studiò Mock per qualche istante, squadrandolo da capo a piedi com’era sua abitudine. «Mock Berry, spero che finché il ragazzo resterà in questa casa veniate a farmi visita tutte le volte che vorrete, e io vi farò vedere che una donna bianca sa mantenere la parola data.»
Mock rise. «Siete una vera Emancipazionista, signora Guester.»
Papà rientrò in quel momento, sporco di terra e sudore. Strinse la mano ai Berry, e in breve questi gli riferirono che cosa avevano convenuto di raccontare. Anch’egli promise di crescere quel bambino come se fosse stato suo. Pensò addirittura a qualcosa che a mamma non sarebbe mai venuto in mente… Rivolse infatti qualche parola anche a Peggy, assicurandole che non ci sarebbero state parzialità a favore del bambino. Peggy annuì. Non voleva parlare più dello stretto necessario, perché tutto ciò che avrebbe detto sarebbe stato una bugia, o avrebbe rivelato i suoi piani; sapeva di non avere la minima intenzione di restare in quella casa nemmeno per un solo giorno degli anni che quel bambino vi avrebbe trascorso.
«Noi ce ne torniamo a casa, signora Guester» disse Anga, porgendo il piccolo alla vecchia Peg. «Se uno dei miei figli si sveglia per un brutto sogno è meglio che ci sia anch’io, o li sentirete strillare fin da quassù.»
«Non c’è un pastore che possa recitare qualche preghiera sulla sua tomba?» chiese Mock.
Papà non ci aveva pensato. «In effetti al piano di sopra avremmo un predicatore» propose.
Ma Peggy non gli lasciò nessuna possibilità di accarezzare quell’idea. «No» disse seccamente.
Papà la guardò e capì che stava parlando come una fiaccola. In questi casi non c’era da discutere. Si limitò ad annuire. «Non ora, Mock» sussurrò. «Sarebbe pericoloso.»
Mamma accompagnò Anga Berry fin sulla soglia. «Non c’è qualcosa che io debba sapere?» chiese ansiosamente. «I bambini neri sono per caso diversi dai nostri?»
«Molto diversi» ribatté Anga. «Ma quel bambino mi pare mezzo Bianco, perciò basta che vi occupiate della metà bianca, e credo proprio che la metà nera saprà badare a se stessa.»
«Latte di mucca in una vescica di maiale?» insisté mamma.
«Lo sapete benissimo» fu la risposta di Anga. «Tutto quel che so, l’ho imparato da voi, signora Guester. Come tutte le donne dei dintorni. Perché adesso volete saperlo da me? Non pensate che ho anch’io bisogno di dormire?»
Quando i Berry se ne furono andati, papà prese tra le braccia il corpo della ragazza e lo portò fuori. Quel cadavere non avrebbe avuto una bara, anche se lo avrebbero coperto di pietre per evitare che i cani andassero a dissotterrarlo. «Leggera come una piuma» commentò, dopo averla sollevata. «Come la carcassa carbonizzata di un tronco.»
Una descrizione certamente appropriata, fu costretta ad ammettere Peggy. Proprio così. Si era ridotta in cenere.
Mamma prese tra le braccia il piccolo, e Peggy salì in soffitta per prendere la culla. Stavolta non si svegliò nessuno, tranne il predicatore. Dietro quella porta Thrower era sveglio, eccome, ma non sarebbe uscito dalla stanza per tutto l’oro del mondo. Mamma e Peggy prepararono il lettino in camera di papà e mamma, e vi collocarono il piccolo. «Dimmi se questo povero orfanello ha mai avuto un nome» chiese mamma.
«Lei non gliel’aveva ancora dato» spiegò Peggy. «Nella sua tribù, la donna non riceve un nome finché non si sposa, e l’uomo non lo riceve finché non uccide la sua prima preda.»
«Che cosa orribile» esclamò mamma. «Non è proprio da cristiani. Allora è morta senza battesimo.»
«No» la corresse Peggy. «È stata battezzata. Ci ha pensato la moglie del suo padrone… Tutti i Neri della loro piantagione sono battezzati.»
Il viso di mamma s’indurì. «Immagino che così ci si persuada di averli convertiti. Be’, allora te lo darò io un nome, piccolino.» Sorrise maliziosamente. «Secondo te, che farebbe tuo padre se chiamassi questo bambino Horace Guester Junior?»
«Morirebbe» disse Peggy.
«Lo penso anch’io» ammise mamma. «Non sono ancora pronta a fare la vedova. Dunque per il momento lo chiameremo… Oh, Peggy, non riesco a pensare a nulla. Che nomi hanno i Neri? Oppure dovrei dargli un nome come a un qualsiasi bambino bianco?»
«L’unico nome da Nero che conosco è Otello» disse Peggy.
«Un nome davvero strano» commentò mamma. «L’avrai tirato fuori da qualcuno di quei libri che ti porta Whitley Physicker.»
Peggy non rispose.
«Ho trovato!» esclamò mamma. «Ho trovato come chiamarlo. Cromwell. Il nome del Lord Protettore.»
«Già che ci sei potresti chiamarlo Arthur, come il re» propose Peggy.
Mamma rise fino alle lacrime. «Ecco come ti chiamerai, piccolino. Arthur Stuart! E se al re non dovesse piacere questo nome, mi mandi pure il suo esercito e non riuscirà a smuovermi d’un pollice. Si prenda lui un altro nome, se questo non gli va.»
Sebbene fosse andata a letto così tardi, la mattina dopo Peggy si svegliò di buon’ora. A svegliarla fu un rumore di zoccoli… Non ebbe bisogno di andare alla finestra per riconoscere la fiamma vitale del pastore che se ne andava. Va’ con Dio, Thrower, disse Peggy in silenzio. Stamattina non sarai l’unico a scappare, in fuga davanti a un ragazzo di undici anni.
Fu alla finestra rivolta a nord che andò ad affacciarsi. Tra gli alberi, riusciva a scorgere il cimitero sulla collina. Cercò di capire dove fosse stata scavata la tomba, ma non c’erano segni che i suoi occhi riuscissero a discernere, e in un cimitero non c’erano neanche fiamme vitali, niente che potesse aiutarla. Alvin però se ne sarebbe accorto, di questo Peggy era sicura. Il cimitero sarebbe stato il primo posto dove sarebbe andato, perché laggiù riposava il suo fratello più grande, quel Vigor che era stato travolto dalle acque del fiume Hatrack nell’atto di salvare la vita alla mamma di Alvin, un’ora prima che quest’ultima partorisse il suo settimo figlio maschio. Ma Vigor era rimasto aggrappato alla vita quel tanto che bastava a far sì che, quando Alvin aveva visto la luce, egli fosse il settimo di sette fratelli maschi viventi. La stessa Peggy aveva visto la sua fiamma vitale vacillare e spegnersi subito dopo la nascita del piccolo. Quella storia Alvin l’aveva certamente sentita narrare mille volte. Perciò per prima cosa si sarebbe diretto al cimitero, e lì sarebbe penetrato sotto la superficie della terra e avrebbe scoperto ciò che vi si nascondeva. Avrebbe scoperto quella tomba senza nome, quel corpo scarno che vi era stato appena sepolto.
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