L’unica cosa che poteva fare era camminare. Sulle prime avrebbe voluto attraversare la valle per andare a vedere più da vicino qualcuna delle altre colline, ma quando ci provò accadde una cosa stranissima. Per quanto camminasse, per quanti alberi dalle foglie d’argento oltrepassasse, la collina di fronte restava sempre alla medesima distanza. Cominciò ad avere paura — sarebbe mai riuscito a tornare indietro? — e si affrettò a tornare sui suoi passi. In pochi minuti raggiunse il punto in cui le sue stesse impronte scendevano il pendio della collina. All’andata, gli pareva di essere arrivato molto più distante. Qualche altro tentativo lo convinse che la valle si estendeva all’infinito in tutte le direzioni, tranne quella dalla quale era venuto. In quella direzione era come se si fosse continuamente trovato al centro della collina, indipendentemente da quanto poteva aver camminato.
Alvin cercò l’albero dalle foglie d’oro e dai frutti candidi e rotondi, ma non lo trovò, né la cosa lo sorprese. In bocca sentiva ancora il sapore del frutto che aveva assaggiato in sogno la notte prima. Sveglio o addormentato, non si sarebbe mai sognato di assaggiarlo di nuovo, perché il secondo morso lo avrebbe fatto vivere in eterno. Non è che quella rinuncia gli costasse molto. Era difficile che un ragazzo della sua età sentisse sul collo il fiato della Morte.
Udì scorrere dell’acqua. Un ruscello di acqua limpida e freschissima che gorgogliava rapida sui sassi. Era impossibile, naturalmente. La valle della Collina Ottagonale era completamente chiusa. Se l’acqua vi scorreva così abbondante, come mai non aveva ancora formato un lago? E come mai all’esterno non si vedeva uscire neanche un filo d’acqua? E quell’acqua, da dove veniva? La Collina Ottagonale era chiaramente opera dell’uomo, come le altre colline di forma simile sparse in tutto il paese, anche se nessuna era così antica. E da una collina artificiale non sgorgano sorgenti. L’impossibile presenza di quell’acqua lo insospettì. Ma a pensarci bene, da quando era nato di cose impossibili glien’era capitata più d’una, e questa anzi era ben lungi dall’essere la più strana.
Ta-Kumsaw gli aveva detto che se la collina gli avesse offerto dell’acqua, avrebbe potuto bere; perciò Alvin si inginocchiò, cacciò il viso nell’acqua e bevve a lunghe sorsate. Il sapore del frutto non scomparve. Anzi, se possibile, dopo aver bevuto era ancora più forte.
Inginocchiato sulla sponda, studiò la riva opposta del ruscello. Laggiù l’acqua scorreva in maniera diversa, lambendo la sponda come avrebbe potuto fare l’acqua di un mare. Subito dopo aver fatto questa prima scoperta Alvin si accorse che la forma della riva opposta era identica a quella della carta della costa orientale che gli era stata mostrata da Corazza-di-Dio. Il ricordo gli balzò vivido alla memoria. Qui, dove la costa s’incurvava verso il mare aperto, c’era la Carolina, nelle Colonie della Corona. Quella profonda insenatura era il Chase-a-pick, mentre laggiù c’era la foce del Potty-Mack, che segnava il confine tra gli Stati Uniti e le Colonie della Corona.
Alvin fece un passo avanti mettendo il piede nell’acqua.
Sulla riva opposta c’era soltanto erba. Non scorse né fiumi né città, né confini né strade. Ma basandosi sulla forma della costa non gli fu difficile capire dove si trovava il territorio dell’Hio, e la collina stessa sulla quale era. Alvin fece altri due passi avanti, e all’improvviso si vide di fronte Ta-Kumsaw e Scambiastorie, seduti per terra. Alla sua comparsa i due restarono impietriti dalla sorpresa.
«Allora vi siete decisi a salire anche voi» disse Alvin.
«Non direi proprio» rispose Scambiastorie. «Da quando te ne sei andato, non ci siamo mossi di un passo.»
«Perché sei tornato giù?» chiese Ta-Kumsaw.
«Non sono affatto tornato giù» replicò Alvin. «Sono sempre qui, nella valle al centro della collina.»
«Valle?» chiese Ta-Kumsaw.
«Ma se siamo sempre rimasti quaggiù» insisté Scambiastorie.
Allora Alvin capì. Non in maniera da poterlo esprimere a parole, ma abbastanza da poterlo usare, usare ciò che la collina gli aveva donato. In quel modo poteva viaggiare sulla superficie della terra facendo cento miglia a ogni passo, e vedere coloro che aveva bisogno di vedere. Le persone che conosceva. Measure. Alvin si toccò la fronte in segno di saluto verso i due uomini che lo stavano aspettando, quindi fece un piccolo passo. I due scomparvero.
Trovare la città di Vigor Church non gli fu difficile. La prima persona che vide fu Corazza-di-Dio, inginocchiato a pregare. Alvin non gli disse nulla, per timore che Armor lo prendesse per una visione dell’oltretomba. Dove si sarà trovato? A casa sua? In questo caso, la fattoria di Vinegar Riley si trovava un po’ più indietro, a est del paese. Alvin si voltò.
Vide suo padre, seduto accanto alla mamma. Papà stava togliendo le sbavature da alcune palle da moschetto appena fuse. La mamma gli sussurrava qualcosa in tono ansioso. Tutti e due sembravano arrabbiati. «Donne e bambini, ecco chi c’è in quella città. Anche ammettendo che siano stati il Profeta e Ta-Kumsaw a uccidere i nostri ragazzi, quelle donne e quei bambini non ne hanno alcuna colpa. Se osi alzare la mano su di loro, diventerai anche tu un assassino. Non ti permetterò più di rimettere piede in questa casa. Non ti vedrò mai più. Te lo giuro, Alvin Miller.»
Papà continuò nel suo lavoro senza far commenti, tranne a un certo punto quando disse: «Hanno ammazzato i miei ragazzi».
Alvin cercò di ribattere, aprì la bocca per dire: «Ma io non sono morto, papà!»
Non funzionò. Non riusciva a spiccicar parola. Evidentemente non era stato condotto lì per apparire ai suoi genitori. Doveva trovare Measure, altrimenti il moschetto di suo padre avrebbe ucciso l’Uomo Luminoso.
Non dovette andare lontano, nemmeno un passo. Gli bastò strusciare leggermente i piedi per terra, e papà e mamma scomparvero. Di sfuggita, scorse Cairn e David che sparavano… probabilmente al bersaglio. E Wastenot e Wantnot, che calcavano qualcosa… dei proiettili, nella bocca di un cannone. Scorse anche altre persone, anche se meno distintamente, forse perché non le conosceva o di loro non gl’importava nulla. Alla fine vide Measure.
Doveva essere morto. A giudicare dall’angolo della testa aveva il collo spezzato, e le braccia e le gambe fratturate in più punti. Alvin non osò muoversi, o in un secondo si sarebbe spostato di un miglio, e Measure sarebbe scomparso come gli altri. In piedi, immobile, inviò la propria scintilla nel corpo di suo fratello, disteso a terra davanti a lui.
Alvin non aveva mai sentito un tale dolore in vita sua. Non era il dolore di Measure, era il suo. Era il suo senso di come le cose sarebbero dovute essere, della giusta forma delle cose: all’interno del corpo di Measure, invece, niente era al suo posto. Certe parti di lui stavano già morendo, il sangue gli si era rappreso nella pancia cacciandone a forza la vita, il cervello non era più collegato al corpo. Era il più tremendo, osceno pasticcio che Alvin avesse mai visto in vita sua. Era tutto fuori posto, così fuori posto che solo a vederlo provò un dolore straziante, un dolore che lo costrinse a urlare. Ma Measure non lo udì. Measure non poteva udire più nulla. Se non era morto ci mancava un capello, questo era sicuro.
Per prima cosa Alvin si curò del cuore. Stava ancora pompando, ma nelle vene non c’era quasi più sangue, si era tutto raccolto nella pancia e nel torace. Questa era la prima cosa che Alvin doveva sistemare: riparare i vasi sanguigni e fare in modo che il sangue tornasse a scorrere nei canali giusti.
Tempo, tutto questo richiedeva tempo. Le costole fratturate, gli organi interni lacerati. Le ossa da saldare senza nessuno che potesse aiutarlo a rimetterle come dovevano essere… Certe ossa si trovavano in una posizione tale che saldarle era impossibile. Avrebbe dovuto attendere che Measure riprendesse i sensi a sufficienza per aiutarlo.
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