Orson Card - Il profeta dalla pelle rossa

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Il profeta dalla pelle rossa: краткое содержание, описание и аннотация

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L’America tranquilla e pacifica in cui Alvin è nato non esiste più: l’uomo bianco ha strappato la terra all’uomo rosso, ha tagliato, distrutto, bruciato. Il giovane Alvin, inconsapevole incarnazione di un potere arcano, è il solo che può ridare speranza a quella terra martoriata. Con l’aiuto di Ta-Kumsaw, un Rosso forte e orgoglioso, e di suo fratello Lolla-Wossiky, Alvin troverà la forza di battersi per la salvezza della sua terra, di cui vedrà persino il lontano e incerto futuro.

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«Non faresti meglio a legarlo, prima?» chiese Harrison.

Per tutta risposta, Fink agguantò la gamba sinistra di Measure sollevandola con un movimento così rapido che Measure scivolò in avanti sul pavimento mentre le natiche gli si sollevavano da terra. Nessuna possibilità di far leva, nessuna possibilità di sferrargli un calcio. Poi Fink abbassò di colpo la gamba di Measure sulla propria coscia messa a contrasto. L’osso della coscia si spezzò di netto come un pezzo di legno secco. Measure lanciò un urlo disperato nel bavaglio, poi quasi soffocò cercando di riprender fiato. Non aveva mai provato un dolore così forte in tutta la sua vita. Per un unico folle momento pensò: questo è quello che ha sentito Alvin quando la macina del mulino gli è caduta sulla gamba.

«Non qui» disse Harrison. «Riportalo là sotto. In cantina.»

«Quante ossa volete che gli spezzi?» chiese Fink.

«Tutte.»

Fink afferrò Measure per un braccio e una gamba, praticamente gettandoselo sulle spalle. Nonostante il dolore, Measure cercò di sferrargli qualche pugno, ma Fink gli diede un violento strattone al braccio, spezzandogli il gomito.

Per il resto del tragitto Measure fu a malapena cosciente. Udì qualcuno gridare in lontananza: «Chi è quello?»

In risposta, Fink urlò: «Abbiamo acchiappato una spia dei Rossi che si aggirava da queste parti!»

A Measure parve che la voce in lontananza avesse un che di familiare, ma non riuscì a concentrarsi al punto di ricordare di chi si trattasse. «Fallo a pezzi!» gridò la voce.

Fink non rispose. Non posò Measure a terra nemmeno per aprire la porta della cantina, che era a doppio battente, bassa e inclinata, così che per aprirla bisognava chinarsi e tirare il battente verso l’alto. Fink non fece che cacciare la punta dello stivale sotto la porta facendo leva verso l’alto. Il battente si alzò così in fretta che ruotando sui cardini andò a sbattere sul terreno dalla parte opposta, e nel rimbalzare giunse quasi a richiudersi, ma a quel punto Fink era già sui gradini della cantina; il battente gli colpì la coscia rimbalzando indietro una seconda volta. Measure udì soltanto il tonfo e una leggera scossa, che acuì il dolore al gomito e alla gamba. Chissà come mai non sono ancora svenuto, si chiese. Ormai sarebbe ora.

Ma non perse mai i sensi. Ambedue le gambe spezzate sopra il ginocchio, le dita piegate violentemente all’indietro fino a rompere le articolazioni, le mani schiantate, le braccia rotte sopra e sotto il gomito… nel passare attraverso tutto questo, Measure restò sempre cosciente, e alla fine anche il dolore parve a poco a poco allontanarsi, più come il ricordo di un dolore che come un dolore in sé e per sé. Se qualcuno ti sbatte due piatti vicino all’orecchio, è un rumore insopportabile; due o tre coppie di piatti che suonano insieme sono ancora più insopportabili. Ma verso la ventesima volta, il rumore inizia a farti meno effetto perché intanto hai cominciato a diventar sordo e non lo senti quasi più. Lo stesso accadde a Measure.

In lontananza si udì un’acclamazione.

Qualcuno arrivò di corsa. «Il governatore ha detto di finire il lavoro il prima possibile. Vuole che tu vada da lui immediatamente.»

«Faccio in un attimo» rispose Fink. «A parte bruciarlo.»

«Serbatelo per dopo» disse l’uomo. «Presto!»

Fink sbatté Measure a terra e gli pestò violentemente il torace frantumandogli le costole. Quindi lo prese per un braccio e per i capelli, lo sollevò di peso e gli staccò un orecchio con un morso. Measure se lo sentì strappar via con un ultimo disperato moto di rabbia. Quando Fink gli girò di scatto la testa, Measure udì il rumore del proprio collo che si spezzava. Fink lo scaraventò sul mucchio di patate. Measure rotolò giù dall’altra parte, finendo nella buca da lui stesso scavata. Solo quando ebbe la faccia affondata nel terriccio il dolore cessò e tutto si fece buio.

Fink richiuse la porta con un calcio, rimise la sbarra al suo posto e si diresse verso la casa. Le acclamazioni si fecero più forti. Fink incontrò Harrison proprio mentre questi usciva dal suo ufficio. «Quella faccenda la puoi lasciar perdere» disse Harrison. «Per riscaldare l’atmosfera non abbiamo più bisogno di cadaveri. Sono appena arrivati i cannoni. Attaccheremo domattina.»

Harrison si affrettò verso la veranda, seguito da Mike Fink. Cannoni? Che cosa c’entravano i cannoni col fatto di avere o no bisogno di un cadavere? Per che cosa l’aveva preso, Harrison, per un assassino? Ammazzare Hooch era una cosa; uccidere un uomo in leale combattimento un’altra. Ma uccidere un giovane imbavagliato era una cosa completamente diversa. Quando gli aveva staccato l’orecchio, aveva provato una strana sensazione. Non era un trofeo conquistato in leale combattimento. In quel momento, il cuore gli era venuto meno, tanto che non si era nemmeno preso la briga di staccargli l’altro orecchio.

Mike si fermò accanto a Harrison ed entrambi guardarono arrivare i quattro cannoni trainati ciascuno da un tiro di cavalli. Fink sapeva già che uso intendesse farne Harrison. L’aveva udito discutere il suo piano. Due da una parte, due dall’altra, in modo da prendere in mezzo la città dei Rossi. E caricati a mitraglia, per sbranare e lacerare i corpi dei Rossi, uomini, donne e bambini senza distinzione.

Non è il mio genere di combattimento, pensò Mike. Come quel tizio là sotto. Una cosa di tutto riposo, come schiacciare un ranocchio. Uno può farlo benissimo senza pensarci due volte. Ma poi non si può prendere il ranocchio, impagliarlo e appenderlo al muro, è una cosa che proprio non si fa.

Non è il mio genere di combattimento.

XIII

LA COLLINA OTTAGONALE

Nei pressi del fiume Licking la terra trasmetteva una sensazione diversa. Alvin non se ne rese conto immediatamente, anche perché correva — per così dire — a stoppino abbassato. Di ciò che gli stava attorno non si curava quasi per niente. Correre in quel modo era per lui come un lungo sogno ininterrotto. Tutt’intorno a sé, qualunque cosa il sogno gli mostrasse in quel momento, cominciò a scorgere scintille di un fuoco nero e profondo. Non come il nulla sempre in agguato ai margini del suo campo visivo. Non come quell’oscurità impenetrabile che risucchiava dentro di sé ogni raggio di luce, catturandolo per sempre. No, quel nero brillava, e mandava scintille.

E quando smisero di correre e Alvin tornò in sé, le fiammelle nere si abbassarono leggermente, ma non sparirono del tutto. Senza pensarci, Alvin si avvicinò a una di quelle fiammelle, un bagliore nero in un mare di verde, si chinò e la raccolse. Era una selce, bella grossa.

«Una selce da venti frecce» valutò Ta-Kumsaw.

«Brucia, ma è fredda. Brilla, ma è nera» fu il commento di Alvin.

Ta-Kumsaw annuì. «Vuoi veramente diventare un Rosso? Allora ti insegnerò a fabbricare le punte di freccia.»

Alvin imparò in fretta. Non era la prima volta che lavorava la pietra. Quando tagliava una macina da mulino, le superfici dovevano essere piane e lisce. Con la selce ciò che contava non erano le superfici, ma i bordi. Le prime due punte di freccia non gli vennero troppo bene, ma quei primi tentativi gli servirono a saggiare la struttura interna della pietra, le pieghe e le fratture naturali, delle quali servirsi per spezzarla. Arrivato alla quarta punta di freccia, non si servì più di un’altra pietra ma della semplice pressione delle dita, con cui staccò delicatamente la punta dal resto del pezzo di selce.

Il volto di Ta-Kumsaw era completamente inespressivo. Così lo vedevano i Bianchi per la maggior parte del tempo. Pensavano che i Rossi, e in particolar modo Ta-Kumsaw, non provassero mai niente, solo perché non lasciavano mai trasparire i loro sentimenti all’esterno. Ma Alvin l’aveva visto ridere e piangere, e assumere tutte le espressioni possibili a un essere umano. Perciò sapeva che quando il viso di Ta-Kumsaw non lasciava trapelare alcuna emozione era proprio perché stava provando un mucchio di cose.

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