Orson Card - Il profeta dalla pelle rossa

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Il profeta dalla pelle rossa: краткое содержание, описание и аннотация

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L’America tranquilla e pacifica in cui Alvin è nato non esiste più: l’uomo bianco ha strappato la terra all’uomo rosso, ha tagliato, distrutto, bruciato. Il giovane Alvin, inconsapevole incarnazione di un potere arcano, è il solo che può ridare speranza a quella terra martoriata. Con l’aiuto di Ta-Kumsaw, un Rosso forte e orgoglioso, e di suo fratello Lolla-Wossiky, Alvin troverà la forza di battersi per la salvezza della sua terra, di cui vedrà persino il lontano e incerto futuro.

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Ta-Kumsaw tacque a lungo. Ma pensò molte cose. Nessun Bianco aveva mai visto quel luogo… la terra era ancora abbastanza forte da impedir loro di scoprirlo. Eppure quel ragazzo l’aveva sognato. E la Collina Ottagonale non si sognava mai per caso. Significava sempre qualcosa. E sempre la stessa cosa.

«Dobbiamo andare laggiù» decise Ta-Kumsaw.

«Dove?»

«Alla collina del sogno» spiegò Ta-Kumsaw.

«Esiste davvero un posto del genere?»

«Nessun Bianco vi ha mai messo piede. Per un Bianco avvicinarsi a quel posto sarebbe… una cosa sporca.» Alvin non rispose. Che avrebbe potuto dire? Ta-Kumsaw deglutì con sforzo evidente. «Ma se lo sogni, ci devi andare.»

«Ma che cos’è?»

Ta-Kumsaw scosse la testa. «È il posto che hai sognato. Non posso dirti altro. Se vuoi saperne di più, prova a sognarlo di nuovo.»

Quando raggiunsero l’accampamento, era ormai il crepuscolo. Minacciava di piovere, e i guerrieri avevano costruito delle capanne. Per via della profezia, gli altri avrebbero preferito che Ta-Kumsaw dormisse con Alvin. Ma Ta-Kumsaw non volle. Quel ragazzo gli faceva paura. La terra stava operando in lui strane cose, senza dare a Ta-Kumsaw il minimo indizio di ciò che stava accadendo.

Ma quando uno sogna di trovarsi sulla Collina Ottagonale, non ha scelta. Deve andarci. E siccome da solo Alvin non avrebbe mai trovato la strada, Ta-Kumsaw avrebbe dovuto accompagnarlo.

Ma questo agli altri non avrebbe mai potuto spiegarlo, e anche potendo non l’avrebbe fatto ugualmente. Se si fosse sparsa la voce che Ta-Kumsaw aveva condotto un Bianco nel luogo sacro dei loro antenati, molti Rossi si sarebbero rifiutati di prestare ascolto alle sue parole.

Perciò il mattino seguente disse agli altri che avrebbe condotto il ragazzo nella foresta per istruirlo, così come gli era stato ordinato dal Profeta. «Ci troveremo tra cinque giorni là dove il Pickawee si unisce all’Hio» disse. «Di lì, andremo a sud per parlare ai Chok-Taw e ai Chicky-Saw.»

Gli altri gli chiesero di poterlo accompagnare; da solo con Alvin, dissero, sarebbe stato troppo pericoloso. Ma Ta-Kumsaw non rispose, e ben presto gli altri rinunciarono. Così Ta-Kumsaw partì di corsa, e anche questa volta Alvin prese la sua stessa andatura, posando il piede esattamente dove lo posava lui, in perfetto unisono. Il viaggio che li attendeva era quasi pari a quello dal lago Mizogan a Detroit. Al tramonto si sarebbero trovati ai confini della Terra delle Selci, dove Ta-Kumsaw aveva intenzione di fermarsi a dormire. Anche lui aveva bisogno di sognare, prima di azzardarsi a condurre un ragazzo bianco alla Collina Ottagonale.

XII

CANNONI

Measure li udì arrivare solo pochi secondi prima che la porta si spalancasse e la luce invadesse la cantina. Ebbe appena il tempo di scaricare il terriccio, cacciarsi il perizoma sotto la cintura di pelle di daino e scavalcare carponi il mucchio di patate. Il perizoma era ridotto a un lurido straccio, ma non era certo il momento di fare lo schizzinoso.

I nuovi arrivati non persero tempo a ispezionare la prigione, perciò non videro la buca che adesso era arrivata due piedi buoni sotto la base della parete. In due lo agguantarono sotto le ascelle, lo trascinarono fuori e sbatterono la porta della cantina alle sue spalle. La luce improvvisa lo accecò, tanto che non poté vedere chi erano coloro che lo avevano preso in consegna, né quanti erano. Ma non aveva molta importanza. Se si fosse trattato di qualcuno del posto, lo avrebbe riconosciuto immediatamente; perciò quelli erano sicuramente uomini di Harrison. Ciò stabilito, Measure capì che non lo attendeva niente di buono.

«Come un maiale» disse Harrison. «Disgustoso. Sembri un Rosso.»

«Mi avete ficcato sotto terra» ribatté Measure. «Non vedo come sarei potuto uscirne pulito.»

«Ti ho concesso una lunga notte di riflessione, ragazzo» disse Harrison. «Adesso devi decidere. Mi puoi essere utile in due modi. Il primo è da vivo. Basta che tu racconti che tuo fratello è stato torturato a morte dai Rossi. Ma deve essere una storia credibile. E devi raccontare che mentre lui urlava, Ta-Kumsaw e il Profeta erano lì a lordarsi le mani del suo sangue. In cambio di una storia del genere, potrebbe valere la pena di tenerti in vita.»

«Ta-Kumsaw mi ha salvato dai vostri Chok-Taw» replicò Measure. «Questa è l’unica storia che sono disposto a raccontare. Tranne per accennare al fatto che voi mi avevate proposto di raccontarne un’altra.»

«Esattamente come mi ero immaginato» disse Harrison. «E comunque, anche se tu mi avessi mentito assicurandomi che avresti raccontato la storia alla mia maniera, penso proprio che non ti avrei creduto. Dunque siamo d’accordo. Vada per il secondo modo.»

Measure sapeva che Harrison intendeva presentare il suo cadavere con i segni inequivocabili della tortura. Da morto, non avrebbe potuto spiegare a nessuno chi lo aveva straziato col ferro e col fuoco. Be’, pensò Measure, ti farò vedere che saprò morire da coraggioso.

Ma siccome non era tipo da andare incontro alla morte a cuor leggero, pensò che forse valeva la pena di fare un ultimo tentativo. «Lasciatemi andare e rinunciate a questa guerra, Harrison, e vi prometto che terrò la bocca chiusa. Lasciatemi tornare a casa, fate sapere che è stato tutto un terribile errore, riportate i vostri ragazzi a casa e lasciate in pace Prophetstown, e vi assicuro che non dirò una parola di troppo. Questa è l’unica bugia che sarò felice di raccontare.»

Harrison esitò per una frazione di secondo, e Measure si concesse il lusso di sperare che in lui fosse ancora accesa una scintilla di umanità, tale da farlo recedere dallo sterminio prima che fosse troppo tardi. Ma Harrison sorrise, scosse la testa e fece cenno a un corpulento barcaiolo dall’aria sgradevole appoggiato alla parete.

«Mike Fink, questo che vedi è un rinnegato bianco, complice delle malefatte di Ta-Kumsaw e della sua banda di assassini e di violentatori. Vorrei che tu gli fracassassi le ossa.»

Fink lo contemplò con aria pensierosa. «Mi sa che farà parecchio baccano, governatore.»

«Imbavaglialo, allora.» Harrison tirò fuori un fazzoletto dalla tasca della giubba. «Ficcagli in bocca questo, e legalo bene stretto.»

Fink obbedì. Measure cercò di non guardarlo, cercò di dominare la paura che gli torceva le budella e gli colmava la vescica. Il fazzoletto gli riempì la bocca, soffocandolo. Riuscì a riprendere il controllo di se stesso solo respirando lentamente e regolarmente con il naso. Fink gli legò intorno alla testa il proprio fazzolettone rosso da collo così strettamente che il fazzoletto appallottolato gli arrivò fino in gola; anche stavolta Measure dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per respirare regolarmente e arrestare i conati di vomito. Se non si fosse controllato, quel fazzoletto gli sarebbe certamente finito nei polmoni, e allora che sarebbe morto.

Certo, preoccuparsi di questo poteva anche sembrare assurdo, visto che Harrison comunque lo voleva morto. Forse morire soffocati da un fazzoletto sarebbe stato meno doloroso di ciò che Fink si accingeva a fargli. Ma la fiamma vitale di Measure era troppo vigorosa perché egli accettasse una soluzione del genere. Doloroso o no, sarebbe morto respirando fino all’ultimo, senza cercare facili scappatoie.

«I Rossi non hanno l’abitudine di rompere le ossa ai prigionieri» disse volonterosamente Fink. «Di solito lavorano di torcia e di coltello.»

«Non abbiamo il tempo di tagliuzzarlo, e in quanto a bruciarlo possiamo aspettare che sia morto. Lo scopo è quello di avere un cadavere pittoresco, Mike, non di fargli del male. Non siamo dei selvaggi, o almeno non tutti lo siamo.»

Mike ridacchiò, poi stese la mano, agguantò Measure per la spalla e con un calcio gli spazzò via i piedi. Measure non si era mai sentito così impotente in vita sua come nel momento in cui piombò a terra. Fink non aveva su di lui un solo pollice di vantaggio, né in altezza né in allungo, e Measure come lottatore non era certo alle prime armi, ma Fink non gli diede la minima possibilità di reagire. Una presa, un calcio, e Measure si ritrovò lungo disteso.

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