Orson Card - Il profeta dalla pelle rossa

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L’America tranquilla e pacifica in cui Alvin è nato non esiste più: l’uomo bianco ha strappato la terra all’uomo rosso, ha tagliato, distrutto, bruciato. Il giovane Alvin, inconsapevole incarnazione di un potere arcano, è il solo che può ridare speranza a quella terra martoriata. Con l’aiuto di Ta-Kumsaw, un Rosso forte e orgoglioso, e di suo fratello Lolla-Wossiky, Alvin troverà la forza di battersi per la salvezza della sua terra, di cui vedrà persino il lontano e incerto futuro.

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Quando avrò respinto i Bianchi oltre le montagne, pensò Ta-Kumsaw, caccerò gli Yankee dalla Nuova Inghilterra, e i Cavalieri dalle Colonie della Corona. E quando se ne saranno andati, penserò anche agli spagnoli della Florida e ai francesi del Canada. Oggi mi servo di voi per i miei scopi, ma domani scaccerò anche voi. Se in questa terra rimarrà una sola faccia bianca, apparterrà a un cadavere. E da quel giorno, i castori moriranno solo quando la terra dirà loro che è il momento di morire.

Al comando di Fort Detroit vi era ufficialmente de Maurepas, ma Ta-Kumsaw lo scansava il più possibile. Era solo col secondo in grado, Napoleone Bonaparte, che gli interessava parlare.

«Ho sentito dire che ti trovavi dalle parti del lago Mizogan» disse Napoleone. Naturalmente parlava in francese, ma Ta-Kumsaw aveva imparato quella lingua nello stesso periodo in cui imparava l’inglese, e dalla stessa persona. «Prego, siediti.» Napoleone osservò con qualche interesse il ragazzo bianco Alvin, ma non fece commenti.

«Sì, mi trovavo laggiù» confermò Ta-Kumsaw. «Insieme con mio fratello.»

«Ah. E c’era per caso anche un esercito?»

«Il seme di un esercito» rettificò Ta-Kumsaw. «Ho rinunciato a discutere con Tenska-Tawa. Per raccogliere un esercito dovrò ricorrere ad altre tribù.»

«Quando?» domandò imperiosamente Napoleone. «Vieni qui due o tre volte all’anno a raccontarmi che stai per avere un esercito. Lo sai quant’è che aspetto? Quattro anni, quattro miserabili anni di esilio.»

«Lo so» disse Ta-Kumsaw. «E avrai la tua battaglia.»

«Prima che mi vengano i capelli grigi? Voglio saperlo! Debbo forse morire di vecchiaia prima di vederti proclamare un’insurrezione generale dei Rossi? Sai bene che da solo sono del tutto impotente. La Fayette e de Maurepas mi impediscono di allontanarmi di più di cinquanta miglia, e si guardano bene dall’affidarmi delle truppe. ‘Prima vogliamo vedere un esercito’ dicono. Perché ci si possa scontrare in battaglia con gli americani, questi debbono raccogliere qualcosa di simile a un corpo d’armata. Ebbene, l’unico che può costringere quei miserabili bastardi malati d’indipendenza a farlo sei tu. »

«Lo so» disse Ta-Kumsaw.

«Mi hai promesso un esercito di diecimila Rossi, Ta-Kumsaw. E invece sento un gran parlare di una città di diecimila quaccher

«Non sono quaccheri.»

«Se rifiutano ogni forma di violenza, è esattamente la stessa cosa.» A un tratto la voce di Napoleone si fece soave, affettuosa, convincente. «Ta-Kumsaw, io ho bisogno di te, faccio conto su di te, non deludermi.»

Ta-Kumsaw rise. Napoleone aveva capito da molto tempo che se i suoi trucchi con gli uomini bianchi funzionavano, con i Rossi funzionavano molto meno, e con Ta-Kumsaw non funzionavano affatto. «A nessuno di noi due importa niente dell’altro» disse Ta-Kumsaw. «A te servono una battaglia e una vittoria, così da poter tornare a Parigi da eroe. A me servono una battaglia e una vittoria per incutere il terrore nel cuore dei Bianchi e raccogliere intorno a me un esercito sempre più numeroso di Rossi, che sotto il mio comando possano invadere le regioni del sud ricacciando gli inglesi oltre le montagne. Una battaglia e una vittoria… ecco perché lavoriamo insieme, e quando avremo raggiunto il nostro scopo, io non penserò più a te, come tu non penserai più a me.»

Napoleone era irritato, ma rise. «È vero per metà» disse. «Anche se di te non m’importerà più nulla, continuerò a pensarti. Da te ho imparato molto, Ta-Kumsaw. Ho imparato che per un soldato l’amore per il comandante è più importante dell’amor di patria, che l’amor di patria è più importante della speranza di gloria, che la speranza di gloria è più importante del saccheggio, e che il saccheggio è più importante della paga. Ma la cosa più importante di tutte è combattere per una causa. Per un sogno grande e nobile. I miei uomini mi hanno sempre amato. Per me sarebbero disposti a morire. Ma, per una causa, lascerebbero morire la moglie e i figli, sicuri che ne valga la pena.»

«Com’è possibile che sia stato io a insegnarti queste cose?» si schermì Ta-Kumsaw. «Sono discorsi che potrebbe fare mio fratello, non io.»

«Tuo fratello? Avrei pensato che secondo lui non esista niente per cui valga la pena di morire.»

«No, riguardo al morire è di manica larga. È l’uccidere che non ammette.»

Napoleone rise, e Ta-Kumsaw rise insieme con lui. «Hai ragione, lo sai? Noi due non siamo amici. Ma tu mi piaci. Quello che mi sconcerta è che… Quando avrai vinto, e gli uomini bianchi non ci saranno più, te ne andrai veramente per la tua strada lasciando che tutte le tribù se ne tornino là da dove sono venute, divise, litigiose, deboli?»

«Felici. Com’eravamo una volta. Molte tribù, molte lingue, ma una sola terra vivente.»

«Deboli» ribadì Napoleone. «Se mai riuscissi a unire tutta la mia terra sotto la mia bandiera, Ta-Kumsaw, la terrei unita così strettamente e tanto a lungo che i suoi abitanti diventerebbero un solo grande popolo, grande e forte. E se mai ci riuscirò, puoi far conto su una cosa. Torneremo, e ci riprenderemo questa terra, come qualsiasi altra terra sulla terra. Contaci.»

«Questo perché sei un malvagio, generale Bonaparte. Tu vuoi piegare tutto e tutti sotto il tuo comando.»

«La mia non è malvagità, stupido selvaggio. Se tutti mi obbedissero, sarebbero felici e sicuri, in pace, e — per la prima volta nella storia — liberi.»

«Sicuri, a patto di non contraddirti. Felici, a patto di non odiarti. Liberi, a patto di non desiderare qualcosa di contrario alla tua volontà.»

«Ma guarda un po’, un Rosso filosofo. Lo sanno, quei bifolchi del sud, che hai letto Newton, Voltaire, Rousseau e Adam Smith?»

«Probabilmente non sanno nemmeno che so leggere nella loro lingua.»

Napoleone si chinò sulla scrivania. «Li distruggeremo, Ta-Kumsaw, tu e io insieme. Ma devi procurarmi un esercito.»

«Mio fratello prevede che l’avremo prima della fine dell’anno.»

«È una profezia?»

«Tutte le sue profezie si avverano.»

«Ti ha per caso detto se vinceremo?»

Ta-Kumsaw rise. «Dice che sarai conosciuto come il più grande generale europeo mai vissuto, e io come il più grande capo dei Rossi.»

Napoleone si passò le dita tra i capelli e sorrise, con un’espressione quasi fanciullesca; nel giro di un istante poteva farsi minaccioso, amichevole o adorabile, a volontà. «Mi sembra che la tua non sia una vera risposta. Anche i morti possono essere chiamati grandi.»

«Ma coloro che perdono le battaglie non sono mai chiamati grandi, non è vero? Nobili, forse, o magari eroi. Ma non grandi.»

«È vero, Ta-Kumsaw, è vero. Ma tuo fratello è troppo oscuro. Oracolare. Delfico.»

«Non conosco queste parole.»

«Ma certo che non le conosci. Sei un selvaggio.» Napoleone si versò da bere. «Me n’ero dimenticato. Un po’ di vino?»

Ta-Kumsaw scosse la testa.

«Immagino che nemmeno il ragazzo ne beva.»

«Ha solo dieci anni» disse Ta-Kumsaw.

«In Francia, gli daremmo vino allungato con l’acqua. Che cosa te ne fai di un ragazzo bianco, Ta-Kumsaw? Ti sei messo a rapire bambini, adesso?»

«Questo ragazzo bianco» spiegò Ta-Kumsaw «è più di quel che sembra.»

«Con quel perizoma, francamente non sembra gran che. Il francese lo capisce?»

«Nemmeno una parola» disse Ta-Kumsaw. «Il motivo per cui sono venuto è… puoi fornirci dei fucili?»

«No» rispose Napoleone.

«Frecce contro pallottole, possiamo fare ben poco» borbottò Ta-Kumsaw.

«La Fayette non intende autorizzarci a fornirvi armi da fuoco. E Parigi è d’accordo con lui. Di voi non si fidano. Hanno paura che, se vi dessimo dei fucili, finireste con l’usarli contro di noi.»

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