Margaret Weis - La guerra dei gemelli
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«No, per gli dei!» urlò l’omone, con una voce che tremava tutta per la collera. «No, non morirai! Mi senti?» I suoi occhi si strinsero. «Non morirai, fratello mio! Tutta la vita sei vissuto soltanto per te stesso. Adesso, perfino nella tua morte, stai cercando una facile via d’uscita... per te! Mi lasceresti intrappolato qui senza pensarci due volte. Lasceresti Crysania! No, fratello! Tu vivrai, dannazione! Vivrai per mandarmi di nuovo a casa. Quello che farai dopo, con te stesso, riguarda soltanto te.»
Raistlin fissò Caramon e, malgrado il suo dolore, la macabra parodia d’un sorriso gli sfiorò le labbra. Parve quasi che riuscisse a produrre un sorriso completo, ma invece una bolla di sangue gli esplose nella bocca. Caramon allentò la stretta sulle vesti di suo fratello, quasi, ma non del tutto, spingendolo indietro. Raistlin tornò ad accasciarsi sul cuscino. I suoi occhi brucianti parevano divorare Caramon. In quel momento, l’unica vita che c’era in essi era costituita da un odio e da una rabbia indicibilmente amari.
«Vado ad avvertire Crysania,» dichiarò Caramon, cupo in volto, mentre si alzava in piedi, ignorando l’occhiata furente di suo fratello. «Deve almeno avere la possibilità di tentare di guarirti. Sì, se le occhiate potessero uccidere, so bene che in questo momento sarei morto. Ma, ascoltami, Raistlin o Fistandantilus o chiunque altro tu sia: se sarà volontà di Paladine che tu debba morire prima di causare altri guai a questo mondo, allora sia. Sono pronto ad accettare quel destino, come lo accetterà Crysania. Ma se invece è volontà di Paladine che tu viva, allora accetteremo anche quella... e lo farai anche tu!»
Raistlin, pur allo stremo delle forze, continuò a serrare in una morsa insanguinata il braccio di Caramon, stringendolo con dita che già parevano irrigidirsi nella morte.
Con fermezza, serrando le labbra, Caramon si staccò di dosso la mano di suo fratello. Si alzò in piedi, lasciò il capezzale di Raistlin, sentendo, accanto a sé, un gemito incoerente di agonizzante tormento. Caramon esitò un attimo... quel gemito gli arrivava dritto al cuore. Ma poi pensò a Tika, pensò alla sua casa...
Caramon continuò a camminare. Quando uscì fuori nella notte e si diresse a rapidi passi verso la tenda di Crysania, il grosso guerriero lanciò un’occhiata su un lato, e scorse il nano, il quale se ne stava con noncuranza in mezzo alle ombre, affilando un pezzo di legno con un coltello tagliente.
Caramon infilò la mano sotto l’armatura, e ne estrasse, una volta ancora, il pezzo di pergamena.
Non aveva certo bisogno di rileggerlo. Le parole erano poche e fin troppo semplici:
Lo stregone ha tradito te e il tuo esercito. Manda un messaggero a Thorbardin, per apprendere la verità.
Caramon scagliò al suolo la pergamena.
Che scherzo crudele! Che scherzo crudele e contorto!
Attraverso l’orribile tormento del suo dolore, Raistlin poteva sentire le risate degli dei. Offrirgli la salvezza con una mano e strappargliela con l’altra! Come dovevano divertirsi nel vedere la sua sconfitta!
Il corpo torturato di Raistlin, così come la sua anima, si contorceva in preda agli spasimi, divincolandosi in una rabbia impotente, bruciando nella consapevolezza del suo fallimento.
Umano debole e meschino, sentì.le voci degli dei che gridavano, così ti ricordiamo la tua mortalità!
Non era disposto ad assistere al trionfo di Paladine. Vedere che il dio lo beffeggiava, che si gloriava della sua caduta... no! Meglio morire in fretta, lasciare che la sua anima cercasse un qualunque, disperato rifugio. Ma quel bastardo di suo fratello, quell’altra metà di lui, quella metà che invidiava e disprezzava, la metà che lui avrebbe dovuto essere, per diritto... negargli questa... quest’ultima misericordiosa consolazione...
Il suo corpo fu colto da nuove convulsioni a causa del dolore. «Caramon!» gridò Raistlin, solo, nel buio. «Caramon, ho bisogno di te! Caramon, non lasciarmi!» singhiozzò, stringendosi lo stomaco, arricciandosi in una palla compatta. «Non lasciarmi... non lasciare che io affronti questo... da solo!»
E poi la sua mente smarrì il filo della coscienza. Il mago ebbe delle visioni, mentre la vita gli scivolava tra le dita. Ali scure di drago, un Globo dei draghi spezzato... Tasslehoff... uno gnomo...
La mia salvezza... La mia morte... Una luce intensa e fredda, bianca e pura, tagliente come la lama d’una spada, penetrò la mente del mago. Ritraendosi, tentò di fuggire, tentò di sommergersi nell’oscurità calda e consolatrice. Poteva sentire se stesso che implorava Caramon di ucciderlo, di metter fine al dolore e a quella luce vivida e lacerante.
Raistlin si sentì pronunciare quelle parole, ma non aveva nessuna consapevolezza del fatto di aver parlato ad alta voce. Lo sapeva soltanto perché al riflesso di quella luce pura e vivida aveva visto suo fratello che si allontanava da lui.
Lo splendore della luce crebbe ancora di più e divenne un volto fatto di luce, un volto bello, calmo, puro, con occhi scuri, grigi e freddi. Due mani fredde gli toccarono la pelle ardente.
«Lascia che ti guarisca.»
La luce gli fece male, peggio del dolore causatogli dall’acciaio. Urlando, contorcendosi, Raistlin cercò di fuggire, ma le mani lo tennero fermo.
«Lascia che ti guarisca.»
«Vai... via!»
«Lascia che ti guarisca!»
Una stanchezza, un’immensa stanchezza, sopraffece Raistlin. Era stanco di combattere... di combattere il dolore, di combattere il ridicolo, di combattere il tormento con cui era vissuto durante tutta la sua vita.
Molto bene. Che il dio ridesse pure. Se l’era guadagnato, dopotutto, pensò Raistlin con amarezza.
Che si rifiuti pure di guarirmi. E poi riposerò nella tenebra... nella tenebra confortante...
Chiudendo gli occhi, chiudendoli con forza per proteggerli dalla luce, Raistlin attese la risata... e, d’un tratto, vide il volto del dio.
Caramon era fuori, all’ombra della tenda di suo fratello, con la testa dolorante stretta fra le mani. Le tormentose implorazioni di Raistlin perché gli venisse data la morte lo trafiggevano come la lama di un coltello. Alla fine non ce la fece più. Era ovvio che il chierico aveva fallito. Afferrando l’elsa della propria spada, Caramon entrò nella tenda e marciò verso il letto.
In quell’istante, le grida di Raistlin cessarono.
Dama Crysania si accasciò sul suo corpo, cadendo con la testa sul petto del mago.
E morto! pensò Caramon. Raistlin è morto.
Fissando il volto di suo fratello non provò dolore. Si sentì invece invadere da una specie di orrore a quella vista, pensando... Che maschera grottesca ha scelto d’indossare la morte!
Il volto di Raistlin era rigido come quello d’un cadavere, la bocca era spalancata e non ne usciva nessun suono. La pelle era livida. Gli occhi ciechi e fissi sopra le guance infossate guardavano dritti nel nulla.
Avvicinandosi di un altro passo, talmente intorpidito da essere incapace di provar dolore, o sofferenza, o sollievo, Caramon guardò più da vicino la strana espressione sul volto del morto, e si rese conto, improvvisamente sbigottito, che Raistlin non era morto! Quegli occhi spalancati e fissi contemplavano ciechi questo mondo, ma soltanto perché ne vedevano un altro.
Un grido, quasi un uggiolio, scosse il corpo del mago, più orrendo, all’udito, delle sue grida agonizzanti. La sua testa si mosse leggermente, le sue labbra si dischiusero, la sua gola palpitò ma non produsse nessun suono.
E poi gli occhi di Raistlin si chiusero, la testa reclinò su un Iato, i suoi muscoli in preda agli spasimi si rilassarono, l’espressione sofferente sbiadì, lasciando un volto tirato e pallido. Esalò un profondo sospiro. Ne tirò un altro, e un altro ancora...
Scosso da ciò che aveva visto, incerto se dovesse o no provare gratitudine oppure un dolore ancora più intenso sapendo che suo fratello era vivo, Caramon vide tornare la vita nel corpo lacerato e sanguinante di suo fratello.
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