Margaret Weis - La sfida dei gemelli
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Ma Astinus non lo sentì. Quel giorno, in cui ricevette il libro da Caramon Majere, fu l’unico dell’intera storia di Palanthas in cui non registrò nulla, soltanto un’annotazione:
Questo giorno, come sopra. Dopoveglia ascendente 14, Caramon Majere mi ha portato le Cronache di Krynn, volume 2000. Un volume scritto da me che non scriverò mai.
I funerali di Elistan rappresentarono, per la gente di Palanthas, anche i funerali della loro amata città. La cerimonia venne tenuta allo spuntare del giorno, come Elistan aveva richiesto, e tutti a Palanthas vi parteciparono: vecchi, giovani, ricchi e poveri. I feriti che potevano venire mossi venirono trasportati fuori dalle loro case, i loro giacigli vennero disposti all’erba bruciacchiata e annerita dei prati, un tempo bellissimi, del Tempio.
Fra questi c’era Dalamar. Nessuno mormorò quando l’elfo scuro venne aiutato ad attraversare il prato da Tanis e Caramon, per prendere il suo posto sotto un boschetto di pioppi tremoli bruciati e carbonizzati, poiché correva voce che il giovane apprendista usufruitore di magia avesse combattuto contro la Signora Scura, come veniva chiamata Kitiara, sconfiggendola, causando in tal modo la distruzione delle sue forze.
Elistan aveva chiesto d’essere seppellito nel suo Tempio, ma adesso questo era impossibile: del Tempio non c’era più nulla, salvo un guscio sventrato di marmo. Lord Amothus aveva offerto la tomba di famiglia, ma Crysania aveva rifiutato. Ricordando che Elistan aveva trovato la sua fede nelle miniere degli schiavi di Pax Tharkas, la Reverenda Figlia, ora capo della chiesa, decretò che venisse messo a riposare sotto il Tempio, in una delle caverne sotterranee che adesso venivano usate come magazzini.
Anche se qualcuno ne fu sconcertato, nessuno mise in discussione gli ordini di Crysania. Le caverne vennero pulite e santificate, e con i resti del Tempio venne costruita una tomba di marmo. E da quel giorno, perfino durante i grandi tempi della chiesa che sarebbero venuti, tutti i sacerdoti vennero posti a riposare in quell’umile luogo, che ben presto fu conosciuto come uno dei luoghi più sacri di Krynn.
La gente si sedette sul prato in silenzio. Gli uccelli, non sapendo niente di guerra, di morte o di dolore, ma consci soltanto che il sole si levava e che essi erano vivi nella chiara luminosità del mattino, riempirono l’aria con i loro canti. I raggi del sole coronavano d’oro le montagne, ricacciando le tenebre della notte, portando la luce in quei cuori gravidi di dolore.
Soltanto una persona si levò per pronunciare l’elogio funebre di Elistan, e tutti giudicarono giusto che fosse lei a farlo. Non soltanto perché adesso prendeva il suo posto, come lui aveva richiesto, come capo della chiesa, ma perché lei pareva riassumere per tutto il popolo di Palanthas la loro perdita e il loro dolore.
Si diceva, tra la gente, che quella mattina era la prima volta che si era alzata dal letto da quando Tanis Mezzelfo l’aveva condotta giù dalla Torre della Grande Stregoneria fino ai gradini della Grande Biblioteca, dove i chierici erano all’opera tra i feriti e i morenti. Lei stessa era stata prossima alla morte. Ma la sua fede e le preghiere dei chierici l’avevano riportata alla vita. Non avevano potuto, però, restituirle la vista.
Quella mattina Crysania era davanti a loro, con gli occhi fissi sul sole che non avrebbe mai più rivisto. I suoi raggi traevano riflessi dai neri capelli che incorniciavano il volto reso bello da un’espressione di profonda e perenne compassione e fede.
«Mentre mi trovo qui nel buio,» disse con una voce che s’innalzava dolce e pura tra i canti delle allodole, «sento il calore della luce sulla mia pelle, e so che il mio viso è rivolto verso il sole. Posso guardare in faccia il sole perché i miei occhi sono per sempre velati dalla tenebra. Ma se voi che potete vedere guarderete troppo a lungo il sole, perderete la vista, proprio come quelli che vivendo troppo nella tenebra perderanno un po’ per volta la loro.
«Questo ci ha insegnato Elistan, che i mortali non sono stati creati per vivere solamente alla luce del sole o nell’ombra, ma in entrambi. Entrambi presentano i loro pericoli, se vengono usati male, ed entrambi concedono i loro premi. Noi abbiamo superato le nostre prove di sangue, di tenebra e di fuoco...» la sua voce tremò e s’interruppe. Quelli più vicini a lei videro le lacrime rigarle le guance.
Ma quando continuò, la sua voce era forte e ferma, anche se le lacrime luccicavano alla luce del sole. «Abbiamo superato queste prove come Huma superò le sue, con grandi perdite, con grandi sacrifici, ma forti nella consapevolezza che il nostro spirito risplende e che noi, forse, risplendiamo più luminosi fra tutte le Stelle del firmamento.
«Perché, anche se qualcuno dovesse scegliere di percorrere i sentieri della notte, fissando la luna nera per farsi guidare, mentre altri percorrono i sentieri del giorno, i sentieri impervi di entrambi, cosparsi di rocce, possono diventare più facili grazie al tocco di una mano, alla voce di un amico.
La capacità di amare, di prendersi cura degli altri, è data a noi tutti: il più grande dono degli dei a tutte le specie. La nostra bella città è perita tra le fiamme.» La sua voce si addolcì. «Abbiamo perduto molti di coloro che amavamo, e forse può sembrarci che la vita sia un fardello troppo difficile perché possiamo sopportarla. Ma tendete la mano, e questa toccherà la mano di qualcuno protesa verso la vostra ed, insieme, troverete la forza e la speranza necessarie per andare avanti.»
Dopo la cerimonia, quando i chierici ebbero trasportato il corpo di Elistan nel luogo del suo definitivo riposo, Caramon e Tas cercarono Dama Crysania. La trovarono tra i chierici, con il braccio appoggiato a quello della giovane donna che le faceva da guida.
«Ci sono due persone che vorrebbero parlare con te, Reverenda Figlia,» l’informò la giovane chierica.
Dama Crysania si voltò, porgendo la mano. «Lasciate che vi tocchi,» disse.
«Sono Caramon,» cominciò l’omone, impacciato, «e...»
«... e Tas,» aggiunse il kender, con voce docile e sottomessa. «Siete venuti per dirmi addio,» sorrise Dama Crysania. «Sì. Partiamo oggi stesso,» confermò Caramon, tenendole la mano nella propria.
«Andrete direttamente a casa a Solace?»
«No, non ancora,» disse Caramon a bassa voce. «Torniamo a Solanthas con Tanis. Poi, quando mi sentirò un po’ più me stesso, userò il congegno magico per tornare a Solace.»
Crysania gli strinse la mano, attirandolo vicino a sé. «Raistlin è in pace, Caramon,» gli disse con voce sommessa. «E tu?»
«Sì, mia signora,» rispose Caramon, con voce ferma e risoluta. «Sono in pace. Finalmente.»
Sospirò. «Ho soltanto bisogno di parlare con Tanis e di districare le faccende della mia vita, di rimetterle in ordine. Tanto per incominciare,» aggiunse arrossendo e con un sorriso di vergogna,
«ho bisogno di sapere come si fa a costruire una casa! Ero ubriaco per la maggior parte del tempo quando ho lavorato alla nostra, e non avevo e non ho la più pallida idea di ciò che stavo facendo.»
La guardò e lei, conscia che lui la stava fissando, anche se non poteva vederlo, sorrise, e la sua pelle pallida si tinse d’un rosa lievissimo. Vedendo quel sorriso, e vedendo le lacrime che cadevano intorno ad esso, Caramon l’attirò a sé a sua volta. «Mi spiace. Vorrei averti potuto risparmiare questo...»
«No, Caramon,» replicò lei con voce sommessa. «Poiché adesso vedo, vedo chiaramente, come Loralon mi aveva promesso.» Gli baciò la mano, premendosela sulla guancia. «Addio, Caramon.
Paladine sia con te.»
Tasslehoff tirò su col naso.
«Addio, Crysania... voglio dire, Re... Reverenda Figlia,» disse Tas con una vocina sottile sottile, sentendosi d’un tratto solo, e corto. «Mi... mi dispiace di aver combinato tanti pasticci...»
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