Margaret Weis - La sfida dei gemelli

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La bella città di Palanthas adesso non era altro che un ricordo e qualche riga di descrizione nei libri di Astinus. Cumuli di pietre carbonizzate e annerite segnavano le tombe dei palazzi nobiliari. I ricchi depositi, con le loro botti di vino e di birra di ottima qualità, i loro magazzini colmi di cotone e di grano, le casse rigurgitanti di meraviglie provenienti da ogni parte di Krynn giacevano su montagne di ceneri. Gli scafi bruciati delle navi galleggiavano nei porti, anch’essi soffocati dalla cenere. I mercanti frugavano in mezzo alle macerie dei loro negozi, recuperando quello che potevano. Le famiglie fissavano le loro case in rovina, sorreggendosi a vicenda, e ringraziando gli dei di avere, per lo meno, salvato la vita.

Molti non c’erano riusciti. I Cavalieri di Solamnia all’interno della città erano periti quasi tutti, combattendo la loro battaglia senza speranza contro Lord Soth e le sue micidiali legioni. Uno dei primi a cadere era stato il focoso sir Markham. Fedele al giuramento fatto a Tanis, il cavaliere non aveva combattuto contro Lord Soth, ma aveva invece radunato i compagni guidandoli in una carica contro i suoi guerrieri scheletrici. Anche dopo essere stato trafitto molte volte, aveva continuato a combattere coraggiosamente, conducendo più e più volte i suoi uomini insanguinati ed esausti in furibondi assalti contro il nemico finché non era caduto, morto, dal suo cavallo.

Molti erano coloro che a Palanthas, grazie al coraggio dei cavalieri, erano sopravvissuti invece di perire sotto le lame fredde come il ghiaccio dei nonmorti che, così si diceva, erano misteriosamente svaniti, quando il loro condottiero era comparso in mezzo a loro reggendo fra le braccia un corpo avvolto in un sudario.

I corpi dei Cavalieri di Solamnia, pianti come eroi, erano stati portati dai loro compagni nella Torre del Sommo Chierico. E qui erano stati sepolti, in una tomba dove già giaceva il corpo di Sturm Brightblade, Eroe della Guerra delle Dragonlance.

Nell’aprire il sepolcro, che non era più stato disturbato sin dalla Battaglia della Torre del Sommo Chierico, i cavalieri erano rimasti stupiti nel trovare intatto il corpo di Sturm, senza che il tempo l’avesse devastato. Un gioiello elfico luccicava sul suo petto e si pensò che questo fosse la causa del miracolo. Tutti quelli che entrarono, quel giorno, nel sepolcro per piangere i loro cari caduti in battaglia fissarono quel gioiello che irradiava una costante luminosità e provarono una sensazione di pace che alleviava l’amaro tormento del loro dolore.

I cavalieri non furono i soli a essere rimpianti. A Palanthas erano morti anche molti cittadini comuni, uomini che avevano difeso la città e la famiglia, donne che avevano difeso la casa e i figli.

I cittadini di Palanthas bruciarono i loro morti seguendo un’usanza antica di secoli, disperdendo in mare le ceneri dei loro cari, là dove si mischiarono alle ceneri della loro amata città.

Astinus aveva registrato tutto a mano a mano che accadeva. Aveva continuato a scrivere, così riferirono gli Estetici con reverenziale timore, perfino mentre Bertrem, da solo, percuoteva a morte con un randello un draconico che aveva osato invadere lo studio del Maestro. Astinus stava ancora scrivendo quando era divenuto gradualmente consapevole, al di sopra del trepestio delle scope, dei colpi di martello, del vociare, che Bertrem gli stava facendo ombra. Sollevò la fronte e si accigliò.

Bertrem, che non una sola volta era impallidito davanti al nemico, divenne d’un pallore mortale e arretrò all’istante, lasciando che la luce del sole tornasse a cadere sulla pagina.

Astinus riprese a scrivere. «Allora?» disse.

«Caramon Majere e un... un kender sono qui a farti visita, Maestro.» Se Bertrem avesse detto che un demone dell’Abisso era giunto per incontrare Astinus, non sarebbe riuscito a infondere più orrore nella sua voce di quando aveva pronunciato la parola «kender». «Falli entrare,» lo sollecitò Astinus.

«Loro, Maestro?» non potè fare a meno di balbettare Bertrem in preda allo sbigottimento.

Astinus sollevò lo sguardo, tornando ad accigliarsi. «Quel draconico non ha danneggiato il tuo udito, non è vero, Bertrem? Non hai ricevuto, magari, una botta in testa?»

«N... no, Maestro.» Bertrem arrossì e si affrettò a uscire dalla stanza, inciampando nelle sue vesti.

«Caramon Majere e... e Tassle... f... foot B... Burr... hoof,» annunciò Bertrem in preda alla confusione, qualche istante più tardi.

«Tasslehoff Burrfoot,» lo corresse il kender, porgendo una piccola mano ad Astinus, il quale la strinse con solennità. «E tu sei Astinus di Palanthas,» continuò Tas, con il ciuffo che gli sobbalzava per l’eccitazione. «Ti ho già incontrato, ma non puoi ricordarlo, perché non è ancora successo. O piuttosto, a pensarci bene, non accadrà mai, vero, Caramon?»

«No,» rispose l’omone. Astinus girò lo sguardo su Caramon, fissandolo intensamente.

«Non assomigli al tuo gemello,» gli disse, freddamente, «ma d’altra parte Raistlin aveva subito molte prove che l’avevano segnato fisicamente e mentalmente. Però c’è qualcosa di lui nei tuoi occhi...»

Lo storico corrugò la fronte, perplesso. Non capiva, e non c’era mai stato niente sulla faccia di Krynn che non capisse. Di conseguenza, s’incollerì.

Era molto raro che Astinus s’incollerisse. Quando accadeva, la sua irritazione si trasmetteva come un’ondata di terrore fra gli Estetici.

Sì, era proprio incollerito. Le sue sopracciglia grigie si rizzarono, le labbra si strinsero, e c’era un’espressione nei suoi occhi che indusse il kender a guardarsi intorno nervosamente, chiedendosi se non avesse lasciato qualcosa fuori in corridoio di cui aveva urgente bisogno... adesso!

«Cosa sta succedendo?» chiese lo storico, alla fine, picchiando la mano sul suo libro, facendo saltare in aria la penna, versando fuori l’inchiostro, e costringendo alla fuga Bertrem, il quale stava aspettando fuori in corridoio, con tutta la velocità concessa dai sandali sbatacchianti.

«C’è un mistero intorno a te, Caramon Majere, e per me non ci sono misteri! Conosco tutto ciò che accade sulla faccia di Krynn. Conosco il pensiero di ogni creatura vivente! Vedo le loro azioni!

Leggo i desideri nei loro cuori! Eppure non posso leggere i tuoi occhi!»

«Tas te l’ha detto,» disse Caramon imperturbabile. Affondando la mano nello zaino che aveva addosso, l’omone tirò fuori un enorme libro rilegato in cuoio che depose delicatamente davanti allo storico.

«È uno dei miei!» esclamò Astinus, dopo avergli lanciato un’occhiata. Le rughe sulla sua fronte si accentuarono. Alzò la voce fino a urlare. «Da dove è venuto? Nessuno dei miei libri esce di qui senza che io lo sappia! Bertrem...»

«Guarda la data.»

Astinus fissò furioso Caramon per un attimo, poi spostò lo sguardo rabbioso sul libro. Guardò la data sul volume, preparandosi a gridare di nuovo per chiamare Bertrem. Ma il grido gli morì in gola. Fissò la data, spalancando gli occhi. Sprofondò sulla sedia, facendo passare lo sguardo dal volume a Caramon, poi lo riportò sul volume.

«E il futuro quello che vedo nei tuoi occhi!»

«Il futuro che si trova in questo libro,» disse Caramon, fissandolo con solenne gravità.

«Noi ci siamo stati!» esclamò Tas, sollevando fremente lo sguardo. «Vuoi che te lo racconti? È la storia più meravigliosa che ci sia. Vedi, siamo tornati a Solace. Soltanto, non sembrava Solace.

Infatti, ero convinto che ci trovassimo su una luna, perché avevo pensato ad una luna quando abbiamo usato il congegno magico, e...» «Zitto, Tas,» gli intimò Caramon, gentilmente. Si alzò in piedi, mise la mano sulla spalla del kender e lasciò la stanza in silenzio. » Tas, trascinato con fermezza fuori dalla porta, lanciò un’occhiata dietro di sé. «Addio,» gridò, agitando la mano. «È stato un piacere rivederti ehm, prima, uh, dopo... insomma, qualunque cosa sia.»

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