Robert Jordan - La corona di spade
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Si fermò alla base di una guglia, uno spesso ago di pietra coperto da una scrittura dalle linee morbide e osservò davanti a sé. Chiunque si fosse mosso, adesso era andato via; solo gli sciocchi o gli incoscienti si avventuravano dentro Shadar Logoth durante la notte. Il male che infestava quel luogo, il male che aveva ucciso Aridhol, non era morto con Aridhol stessa. Più avanti, lungo la strada, vide dei filamenti di nebbia argentea che ondeggiavano fuori da una finestra allungandosi verso un altro filamento simile, che proveniva da un grosso squarcio nel muro di pietra. La profondità di quell’apertura risplendeva come se all’interno vi fosse la luna piena. Quando scendeva la notte, Mashadar vagava nella città di cui era prigioniero, una presenza che poteva apparire simultaneamente in decine di posti diversi, centinaia di posti. Il tocco di Mashadar non era un modo piacevole di morire. Dentro Rand la contaminazione di saidar cominciò a pulsare più forte; il fuoco distante che sentiva nel fianco guizzava come migliaia di fulmini, uno dopo l’altro. Anche il pavimento sembrava prendere vita sotto i suoi piedi.
Rand si voltò, quasi convinto di allontanarsi. Con ogni probabilità anche Sammael era andato via, adesso che Mashadar si era mostrato. Con ogni probabilità l’uomo lo aveva attirato in quel posto nella speranza che lui avrebbe perquisito le rovine e sarebbe rimasto ucciso da Mashadar. Rand si voltò e si fermò, accovacciandosi vicino alla guglia. Dalla strada erano spuntati due Trolloc, delle sagome grosse coperte da una cotta di maglia nera, molto più alti di lui. Dalle spalle e dai gomiti delle armature spuntavano degli spuntoni di metallo, e i due avevano delle lance con delle lunghe punte nere e uncini malefici. Alla sua vista, aumentata da saidin, i loro volti erano perfettamente distinguibili: uno era distorto da un becco d’aquila nel punto in cui avrebbero dovuto trovarsi naso e bocca di un essere umano, l’altro da un muso zannuto di cinghiale. In ogni loro passo c’era il terrore. I Trolloc amavano uccidere, adoravano il sangue, ma Shadar Logoth li terrorizzava. Di sicuro c’era un Myrddraal con loro; nessun Trolloc sarebbe mai entrato in quella città senza esservi costretto da un Myrddraal. E nessun Myrddraal avrebbe fatto una cosa simile senza un ordine diretto di Sammael, il che significava che lui doveva ancora essere nelle vicinanze, altrimenti i Trolloc sarebbero fuggiti via e non sarebbero rimasti a caccia di vittime, cosa che stavano evidentemente facendo. Quel muso di cinghiale fiutava l’aria alla ricerca di un odore.
A un tratto da una finestra sopra i Trolloc balzò fuori una figura coperta di stracci che di avventò su di loro con la lancia in mano, pronta a colpire. Un Aiel, una donna, con lo shoufa avvolto intorno al capo ma il velo calato. Il Trolloc dal becco d’aquila gridò quando la lancia lo colpì affondando fra le costole, più e più volte. Mentre il suo compagno cadeva in terra scalciando, quello con il muso di cinghiale si voltò ringhiando, e affondò con rabbia la propria lancia, ma la donna si piegò sotto la punta nera e uncinata e affondò la sua nello stomaco del suo secondo avversario, che cadde in terra in preda alle convulsioni, finendo sopra al compagno.
Rand si alzò immediatamente e si mise a correre senza pensare. «Liah!» gridò. Credeva che fosse morta: l’aveva abbandonata lì, non poteva che essere morta. Liah, dei Cosaida Chareen, quel nome brillò nella lista che aveva memorizzato.
La donna si voltò per affrontarlo, con la lancia pronta in una mano e lo scudo rotondo di pelle di toro nell’altra. Il volto grazioso che ricordava, nonostante le cicatrici su entrambe le guance, era deformato dalla rabbia. «Mio!» sibilò minacciosa a denti stretti. «Mio! Nessuno può venire qui. Nessuno!»
Lui si fermò di colpo. L’arma della donna era pronta a colpire, impaziente di trapassare anche le sue costole. «Liah, mi conosci» le disse sottovoce. «Mi conosci. Ti riporterò dalle Fanciulle, di nuovo con le tue sorelle di lancia.» Le porsela mano.
La rabbia della donna cambiò in una specie di sguardo corrucciato. Inclinò il capo da un lato. «Rand al’Thor?» chiese lentamente, quindi sgranò gli occhi posando lo sguardo sui Trolloc morti, e il suo volto fu deformato dall’orrore puro. «Rand al’Thor» sussurrò, sollevando il velo nero sul volto con la mano con la quale teneva la lancia. «Il Car’a’carn!» gemette, quindi fuggì.
Rand la rincorse zoppicando, inerpicandosi su cumuli di detriti sparsi per la strada, cadendo, lacerandosi la giubba, cadendo di nuovo quasi distruggendo del tutto la giubba, rotolando e rialzandosi, e correndo ancora. La debolezza del suo corpo era una sensazione distante, come anche il dolore ma, pur fluttuando nel vuoto, non poteva pretendere di più da quel fisico. Liah svanì nella notte, forse dietro l’angolo in ombra che Rand vedeva davanti a sé.
Svoltò, sempre arrancando, più in fretta possibile, finendo quasi addosso a quattro Trolloc con le cotte di maglia nera e al Myrddraal che era con loro, con il mantello nero come l’inchiostro che gli restava innaturalmente immobile dietro la schiena mentre si muoveva. I Trolloc ringhiarono per la sorpresa, ma solo per un istante. Le lance uncinate e le scimitarre affilate si alzarono; la lama nera del Myrddraal era pronta a calare, una lama che poteva infliggere ferite mortali quasi quanto quella di Fain.
Rand non provò nemmeno a estrarre la sua lama con gli aironi che portava al fianco. Simile alla morte, nella sua giubba rossa stracciata, incanalò, e fra le sue mani apparve una spada di fuoco, che pulsava oscura al ritmo di saidin. Una testa senza occhi si sollevò dalle spalle. Sarebbe stato più semplice distruggerli come aveva visto fare dagli Asha’man ai Pozzi di Dumai, ma cambiare i flussi in quel momento, anche solo cercare di cambiarli, avrebbe potuto essergli fatale. Quelle spade potevano uccidere anche lui. Rand assunse le posizioni della scherma nell’oscurità illuminata dalla fiamma che risplendeva fra le sue mani, le ombre volteggiavano sul suo volto, musi di lupo o capra contorti in grida bestiali mentre la lama incandescente fendeva loro le cotte di maglia nera e la carne sottostante come se fossero fatti d’acqua. La forza dei Trolloc dipendeva dal loro numero e dall’incredibile ferocia che dimostravano. Davanti a lui e alla spada del Potere parevano immobili e disarmati.
La spada svanì fra le mani di Rand mentre ancora era nella fase finale della posizione chiamata distorci il vento ; era in piedi tra i corpi distesi a terra. L’ultimo Trolloc caduto ancora si dibatteva mentre le sue corna caprine graffiavano il pavimento. Il Myrddraal decapitato agitava le braccia, muovendo i piedi in preda alle convulsioni. I Mezzi Uomini non morivano in fretta, nemmeno quando venivano decapitati.
Non appena la spada scomparve, dal cielo terso e stellato discese un fulmine d’argento.
La prima saetta s’infranse a terra, con un boato assordante, a meno di quattro passi di distanza da Rand. Il mondo divenne bianco e il vuoto collassò. Il terreno si scosse sotto i piedi di Rand mentre atterrava un secondo fulmine, e poi un altro ancora. Solo allora Rand si accorse di essere caduto. L’aria crepitava. Si tirò su confuso, rischiando di crollare di nuovo mentre correva per allontanarsi da una pioggia di fulmini che squarciavano la strada, seguiti dal rombo dei palazzi che crollavano. Filava dritto davanti a sé, senza curarsi di dove stesse andando: voleva solo allontanarsi da quel posto.
La mente gli si schiarì di colpo quel tanto che bastava per capire dove si trovasse. Annaspava su un vasto pavimento di pietra coperto da detriti, alcuni grandi quanto lui. Di tanto in tanto nel lastricato apparivano delle aperture nere e irregolari. Era circondato da alte pareti e file su file di balconi che giravano tutto intorno alla costruzione. Di ciò che un tempo era stato il vasto soffitto rimaneva solamente una piccola porzione, in un angolo. Per il resto, sopra la sua testa brillavano le stelle.
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