Robert Jordan - La corona di spade
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In fondo alla sala del trono c’erano otto uomini sudati che erano rimasti in piedi dal momento in cui Rand era tornato. Indossavano delle giubbe di seta scura con i ricami argentati o dorati sulle maniche e sui baveri, e cascate di merletto ai polsini e intorno alla gola. Alcuni portavano la barba, ma senza i baffi, e tutti indossavano un’ampia fascia verde che passava dalla spalla fino davanti al petto, con nove api d’oro che vi marciavano sopra.
Si fecero avanti a un cenno di Bashere, inchinandosi verso Rand quasi ogni tre passi, come se avessero davanti l’uomo vestito nel modo più elegante e regale del mondo. Il capo del gruppetto sembrava essere un uomo alto, dal volto rotondo, che aveva una di quelle strane barbe e una dignità naturale che pareva appena velata dalla preoccupazione. «Mio lord Drago» disse inchinandosi di nuovo e premendosi entrambe le mani sul cuore. «Perdonami, ma non riusciamo a trovare lord Brend da nessuna parte e...»
«Non lo troverete più» rispose Rand atono.
Un muscolo sul suo volto guizzò nel sentire il tono di voce di Rand, e l’uomo deglutì. «Come dici tu, mio lord Drago» mormorò. «In assenza di lord Brend, io sono il portavoce del Consiglio dei Nove. Ti offriamo...» Una delle mani che teneva lungo i fianchi si mosse, indicando un altro uomo, più basso e senza barba, che si fece avanti con un cuscino fra le mani drappeggiato con un telo di seta, «...ti offriamo Illian.» L’uomo basso rimosse il telo di seta, rivelando un cerchio d’oro largo cinque centimetri e fatto di foglie d’alloro. «La città naturalmente è tua» proseguì Gregorin ansioso. «Abbiamo posto fine a tutte le forme di resistenza. Ti offriamo la corona, il trono e tutta Illian.»
Rand fissò la corona sul cuscino, restando immobile. Tempo addietro, la gente aveva pensato che voleva diventare re di Tear e temuto che avrebbe fatto lo stesso a Cairhien e Andor, ma nessuno prima d’ora gli aveva mai ‘offerto’ una corona. «Perché? Martin Stepanoes ha così tanta voglia di rinunciare al trono?»
«Re Mattin è scomparso due giorni fa» rispose Gregorin. «Alcuni di noi temono... che lord Brend possa avere qualcosa a che fare con tutto ciò. Brend ha...» L’uomo fece una pausa per deglutire «...Ha una forte influenza sul re, alcuni potrebbero dire addirittura troppa, ma negli ultimi mesi era comunque molto distratto, e Mattin aveva ricominciato ad affermarsi.»
Pezzi di stoffa lurida di giubba e manica di camicia penzolarono quando Rand protese una mano per prendere la corona d’alloro. Il Drago attorcigliato sul suo avambraccio brillò alla luce delle lampade, splendente come la corona d’oro. Rand se la fece girare fra le mani. «Non mi hai ancora detto perché. Il motivo è forse perché ho conquistato la vostra città?» Aveva preso anche Tear e Cairhien, ma alcuni, in entrambe le nazioni, ancora si ribellavano a lui, anche se averle prese sembrava la sola cosa giusta da fare.
«In parte» rispose secco Gregorin. «Anche così, avremmo potuto comunque scegliere uno dei nostri come sovrano; i re sono sempre stati scelti fra i membri del Consiglio, ma il grano che hai ordinato di farci inviare da Tear ha messo il tuo nome su tutte le labbra nella grazia della Luce. Senza di esso forse saremmo morti di fame. Brend ha mandato ogni pezzo di pane disponibile al suo esercito.»
Rand batté le palpebre e tolse una mano dalla corona per portarsi alla bocca un dito che si era punto. Quasi sepolte fra le foglie d’alloro della corona, apparivano le punte acuminate di una serie di spade. Quanto tempo era passato da quando aveva ordinato ai Tarenesi di vendere il grano ai loro nemici di vecchia data, di venderlo a loro o morire in caso avessero rifiutato? Non si era reso conto che avevano continuato a farlo anche dopo che aveva cominciato a preparare i piani per invadere Illian. Era possibile che temessero di parlarne, ma avevano anche avuto paura di smettere. Forse, in fondo, quel riconoscimento gli era dovuto.
Rand depose con cautela la corona sul proprio capo. La metà di quelle spade puntavano verso l’alto, l’altra metà verso il basso. Nessuna testa avrebbe indossato quell’oggetto con disinvoltura.
Gregorin si inchinò davanti a lui. «La Luce illumini Rand al’Thor, re di Illian» dichiarò, e gli altri sette lord lo imitarono, mormorando: «La Luce illumini Rand al’Thor, re di Illian.»
Bashere gli rivolse solo un cenno del capo — in fondo era lo zio di una regina — ma Dashiva gridò: «Tutti onorino Rand al’Thor, re del mondo!»
Flinn e gli altri Asha’man gli fecero eco. «Tutti onorino Rand al’Thor, re del mondo!»
«Tutti onorino il re del mondo!»
Quelle parole avevano davvero un bel suono.
Il racconto si diffuse, come succede sempre con i racconti, e cambiò, come succede sempre con il tempo e la distanza, propagandosi al di fuori di Illian con le navi costiere, i mercanti e le carovane di carri o i piccioni viaggiatori fatti volare via in segreto, allargandosi in cerchi concentrici che si intersecavano con altri e ne creavano di nuovi. Illian era stata invasa dall’esercito, dicevano le storie, un esercito di Aiel, di Aes Sedai che si materializzavano nell’aria o di uomini in grado di incanalare a cavallo di bestie alate, e anche da un esercito della Saldea, benché non molti credessero a quest’ultima versione. Alcuni racconti sostenevano che la corona dall’oro di Illian era stata presentata al Drago Rinato dal Consiglio dei Nove, e altri da Mattin Stepanoes in persona, in ginocchio. Alcuni dicevano che il Drago Rinato l’aveva strappata dal capo di Mattin Stepanoes, e che aveva impalato la testa del vecchio re. No, il Drago Rinato aveva raso Illian al suolo e sepolto il vecchio re sotto le macerie. No, lui e il suo esercito di Asha’man avevano incendiato Illian fino all’ultimo mattone. No, si trattava di Ebou Dar, era quella che aveva distrutto, dopo Illian.
Un fatto però si riproponeva sempre, in tutti i racconti. La corona d’alloro di Illian adesso aveva un nuovo nome. La corona di spade.
Per qualche motivo, uomini e donne che raccontavano le storie descrivevano questa parte quasi sempre con parole identiche. L’uragano si stava avvicinando, dicevano, guardando preoccupati verso sud. L’uragano stava arrivando.
Maestro dei fulmini, cavaliere della tempesta, colui che indossa la corona di spade, il tessitore dei destini. Chi pensa sia lui a far girare la Ruota del Tempo, potrebbe scoprire la verità troppo tardi.
Tratto da una traduzione frammentaria delle Profezie del Drago, attribuito a lord Mangore Kiramin, bardo di Spada di Aramelle e Custode di Caraighan Maconar, in quella che veniva chiamata la lingua volgare (circa 300 A.B.).
del settimo libro
della Ruota del Tempo
Glossario
Il Calendario Tornano (ideato da Toman dur Ahmid) fu adottato circa due secoli dopo la morte dell’ultimo Aes Sedai e registrò gli anni dopo la Frattura del mondo (d.F.). Molti documenti andarono distrutte durante le Guerre Trolloc, tanto che nacquero diversi disaccordi circa l’anno esatto della fine dei conflitti secondo l’antico sistema. Tiam di Gazar propose un nuovo calendario, per celebrare la presunta liberazione dalla minaccia dei Trolloc, nel quale ogni anno era registrato come Anno Libero (A.L.). Nel giro di vent’anni dalla fine delle guerre, il calendario gazarano fu ampiamente accettato. Artur Hawkwing tentò di istituire un nuovo calendario basato sulla fondazione del proprio impero (F.I., dalla fondazione dell’impero), ma al giorno d’oggi esso è noto solo agli storici, gli unici a farvi riferimento. Dopo le morti e le distruzioni causate dalla Guerra dei Cento Anni, un quarto calendario fu ideato da Uren din Jubai, ‘il Gabbiano che si leva in alto’, uno studioso del Popolo del Mare, e promulgato dal Panarca Farede di Tarabon. Il calendario faredese, che partiva dalla data, arbitrariamente stabilita, della conclusione della Guerra dei Cento Anni e registrava gli anni della Nuova Era (N.E.), è quello di uso corrente.
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