Robert Jordan - La corona di spade
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Rand non attese di veder uscire l’ultimo dei cavalieri. Dopo che se ne era allontanato, aprì immediatamente un passaggio più piccolo. Non era necessario conoscere bene il luogo di destinazione se si voleva viaggiare solo per brevi tratti. Lasciò aprire a Dashiva e agli altri ulteriori passaggi, mentre lui stava già entrando nel proprio, lasciando che si richiudesse alle sue spalle in cima a una delle sottili colonne del palazzo del re. Si chiese con fare assente se Mattin Stepanoes del Balgar, il re di Illian, si trovasse da qualche parte sotto ai suoi piedi.
La cima della guglia non era più larga di cinque passi, circondata da un muro di pietra rossa che non arrivava all’altezza del petto di Rand. A cinquanta passi di distanza vi era il punto più alto della città. Da lì avrebbe visto oltre i tetti dalle tegole colorate che risplendevano — rosse, verdi, di tutti i colori — sotto il sole pomeridiano, il lungo sentiero di terra che attraversava l’acquitrino erboso che circondava la città e il porto. Si percepiva un forte odore salmastro. Illian non aveva bisogno di mura di protezione, tutta quella palude circostante avrebbe bloccato qualsiasi nemico. Qualsiasi nemico incapace di aprire buchi nell’aria. In quel caso, le mura non sarebbero servite a nulla.
Era una bella città, con gli edifici quasi tutti di pietra chiara, vi erano molti canali e strade, e visti dall’alto sembrava un traforo di azzurro e verde, ma Rand non si soffermò ad ammirare lo spettacolo, invece diresse verso il basso, sopra i tetti delle taverne, dei negozi e degli alti palazzi, dei flussi di Aria, Acqua, Fuoco, Terra e Spirito, voltandosi mentre compiva quell’operazione. Non cercò di intessere i flussi, ma si limitò a farli passare sopra la città, a più di un chilometro e mezzo oltre le paludi. Da altre cinque torri si diramarono gli stessi flussi a un livello più basso, e nei punti dove s’incrociavano incontrollati uno con l’altro, la luce lampeggiava e le scintille sfavillavano, sollevando nuvole di vapore colorato; una scena che qualsiasi Illuminatore avrebbe invidiato. Non riusciva a immaginare un sistema migliore per spaventare la gente, costringendola a rimanere a casa, impedendo loro di intralciare i soldati di Bashere, anche se il suo scopo era un altro.
Rand aveva deciso da tempo che Sammael aveva sicuramente disseminato la città di difese, sistemate in modo tale da dare l’allarme se qualcuno avesse incanalato saidin. Aveva utilizzato difese con la tessitura invertita, per cui nessuno tranne Sammael in persona sarebbe stato in grado di localizzarle, difese che avrebbero aiutato Sammael a capire con esattezza dove si trovasse l’uomo che incanalava e permettergli così di distruggerlo in un istante. Se Rand era fortunato, tutte queste difese adesso erano state attivate. Lews Therin era stato sicuro che Sammael le avrebbe percepite ovunque si fosse trovato, anche da lontano. Era il motivo per cui quelle difese adesso erano mutili. Sistemi di quel tipo, una volta attivati, dovevano essere rifatti da capo. Sammael sarebbe giunto. In vita sua non aveva mai rinunciato a qualcosa che considerava sua, anche se le sue pretese erano abiette, e non aveva mai rinunciato a niente senza lottare. Tutte queste informazioni le aveva ricevute da Lews Therin. Se esisteva davvero. Doveva esistere. Quei ricordi erano troppo ricchi di dettagli. Ma in fondo un pazzo non poteva avere dei sogni ricchi di dettagli?
Lews Therin!, gridò mentalmente. Gli rispose solamente il vento che soffiava su Illian.
La piazza di Tammuz era deserta e silenziosa, vuota, tranne per alcuni calessi abbandonati. Il passaggio era invisibile, a parte i flussi.
Rand slegò i flussi visibili solo ai suoi occhi, e mentre il passaggio si dissolveva, rilasciò con riluttanza saidin. Tutti i flussi svanirono dal cielo. Forse alcuni degli Asha’man mantenevano ancora la Fonte, ma lui aveva ordinato di non farlo. Aveva detto loro che avrebbe ucciso senza alcun preavviso ogni uomo trovato a incanalare a Illian, dopo che lui per primo avesse smesso. Non voleva scoprire a posteriori che l’incanalatore era uno dei suoi. Rand si appoggiò al muro in attesa, desiderando di sedersi. Qualsiasi posizione assumesse, le gambe gli facevano male e il fianco gli bruciava, ma aveva bisogno di vedere il flusso e di percepirlo.
La città non era tranquilla. Sentiva grida provenire da diverse direzioni e il clangore dell’acciaio in lontananza. Anche avendo portato molti uomini al confine, Sammael non aveva lasciato Illian completamente priva di protezione. Rand si voltò cercando di guardare in tutte le direzioni. Lui supponeva che Sammael avrebbe fatto ritorno al palazzo reale o in quello sul lato opposto della piazza, ma non poteva esserne certo. Giù in strada vide una banda di uomini della Saldea che combatteva con un numero uguale di uomini a cavallo, con indosso pettorali di metallo brillante. Da un lato giunsero altri uomini della Saldea e la battaglia scomparve dalla sua visuale, finendo oltre gli edifici. Da un’altra direzione vide alcuni uomini della legione del Drago che marciavano sopra un ponte. Un ufficiale, contraddistinto da una lunga piuma rossa sull’elmetto, camminava davanti a circa venti uomini, con grossi scudi alti quasi fino alle spalle, seguiti da circa altri duecento armati di pesanti balestre. Come avrebbero combattuto? Sentiva gli strepiti e il clangore metallico, e in lontananza le grida sommesse dei moribondi.
Il sole stava tramontando e le ombre si allungavano sulla piazza. Stava sopraggiungendo il crepuscolo e il sole era una bassa cupola rossa a occidente. Apparvero alcune stelle. Si era forse sbagliato? Sammael era semplicemente andato altrove, aveva trovato un’altra nazione da governare? Aveva dato ascolto ai propri pensieri incoerenti?
Un uomo incanalò. Per un momento. Rand rimase immobile a fissare la grande sala del consiglio. Era stata una quantità sufficiente di saidin per aprire un passaggio. Forse un incanalare meno forte non l’avrebbe percepito, data la grandezza della piazza. Doveva trattarsi di Sammael.
Rand afferrò la Fonte in un istante, aprì un passaggio e vi balzò all’interno, pronto a scagliare i fulmini dalle mani. Entrò in una grande stanza, illuminata da enormi lampade da terra dorate con degli specchi dietro, mentre altre pendevano dal soffitto da pesanti catene; le pareti erano di candido marmo bianco con dei fregi intagliati che mostravano scene di battaglie e di navi che popolavano i confini paludosi del porto di Illian. Sul lato opposto della stanza erano disposte nove sedie interamente intagliate e dorate, che ricordavano dei troni su di un palco bianco, e la sedia centrale aveva lo schienale più alto di tutte le altre. Prima che Rand potesse rilasciare il passaggio alle sue spalle, la cima della torre sulla quale si era trovato esplose. Sentì il passaggio di Fuoco e Terra, mentre una pioggia di pietre e polvere colpiva il passaggio, facendolo cadere a faccia in avanti. Il dolore gli trafisse il fianco durante la caduta, una lancia rossa e acuminata che scavava nel vuoto in cui si trovava Rand, e tutto quanto gli fece rilasciare il passaggio. Il dolore di qualcun altro, la debolezza di qualcun altro. Nel vuoto poteva ignorarli.
Rand si mosse, costringendo i muscoli di un altro uomo a funzionare, si alzò e si allontanò in una corsa scomposta, dirigendosi verso il palco, e proprio in quel momento centinaia di filamenti rossi cominciarono a discendere dal soffitto. Bruciarono il marmo azzurro mare del pavimento, aprendo una voragine tutto intorno a dove ciò che restava del suo passaggio stava svanendo. Uno dei filamenti gli si conficcò nello stivale trapassandogli il tallone, e si sentì gridare mentre cadeva. Non era suo il dolore, né quello al fianco né quello al piede. Non era suo.
Rotolò sulla schiena e vide ciò che restava di quei filamenti rossi roventi, ancora abbastanza recenti da lasciar dedurre l’uso di Fuoco e Aria intessuti in un modo a lui sconosciuto. Abbastanza recenti per comprenderne anche la provenienza. Dei buchi neri nel pavimento e sul soffitto d’intonaco bianco traforato sibilavano e crepitavano al contatto con l’aria.
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