Robert Jordan - La corona di spade
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«Che cosa ci facciamo qui?» chiese Dashiva guardandosi intorno incredulo.
Si vedevano a perdita d’occhio tende a punta, grigie o bianche, impolverate, e file di cavalli già sellati legati ai picchetti. Caemlyn non era molto lontana, nascosta dietro gli alberi, anche la Torre Nera era vicina, ma Taim non poteva sapere dove fosse quest’accampamento a meno che non avesse messo in giro delle spie. Uno dei compiti di Fedwin Morr era stato quello di scoprire chiunque cercasse di spiare. Circondati dal brusio dei propri mormorii, gli uomini dai nasi prominenti e le spade ricurve si alzarono e si voltarono, guardando Rand impazienti. Di tanto in tanto si vedevano anche delle donne; quelle della Saldea partivano spesso insieme ai loro mariti, se erano nobili o ufficiali. Questa volta però Rand non avrebbe sentito ragioni.
Rand passò sotto una corda e si diresse subito verso una tenda simile alle altre, tranne che per una bandiera che sventolava davanti: tre boccioli rossi in campo azzurro. I fiori di centesimo del re non appassivano nemmeno durante l’inverno della Saldea, e quando i fuochi incendiavano le fortezze, questi fiori rossi erano sempre i primi a riapparire. Nulla poteva uccidere quel fiore, il simbolo della casata Bashere.
Dentro la tenda, Bashere in persona era pronto, armato e calzato, con la spada sul fianco. Disgraziatamente anche Deira era presente, indossava un abito da cavallo nella stessa tonalità grigia della giubba del marito: non aveva una spada, ma il lungo pugnale legato in vita avrebbe comunque servito lo scopo. I guanti di pelle infilati nella cintura lasciavano capire che aveva intenzione di cavalcare a lungo.
«Non aspettavo quest’evento se non prima di diversi giorni» disse Bashere, alzandosi da una sedia pieghevole da campo. «Speravo settimane, per la verità. Avevo sperato di avere la maggior parte degli scarti di Taim armati, come avevamo progettato il giovane Mat e io. Ho convocato ogni fabbricante di balestre che sono riuscito a trovare, e stanno cominciando a produrle con la velocità con cui una scrofa partorisce maialini, ma soltanto quindicimila uomini sono già armati di balestre e sanno come usarle.» Bashere sollevò un boccale d’argento da sopra le mappe con aria interrogativa. «Abbiamo tempo per un bicchiere?»
«No, niente vino» rispose Rand impaziente. Bashere aveva già parlato degli uomini trovati da Taim che non potevano imparare a incanalare, ma non vi aveva prestato molta attenzione. Se Bashere riteneva di averli addestrati bene, per lui era sufficiente. «Dashiva e altri tre Asha’man attendono fuori la tenda. Non appena Morr li raggiunge, saremo pronti.» Rand lanciò un’occhiata a Deira ni Ghaline t’Bashere che torreggiava sul marito minuto, con il naso aquilino e gli occhi che facevano sembrare innocente un falco. «Niente vino; lord Bashere. E niente mogli. Non oggi.»
Deira aprì bocca con gli occhi scuri che dardeggiavano.
«Niente mogli» ripeté Bashere, carezzandosi i baffi grigi. «Passerò l’ordine.» Si voltò verso Deira e le porse la mano. «Moglie» le disse remissivo. Rand sussultò. Tono remissivo o meno, rimase in attesa della furia della donna.
Deira tese le labbra. Lanciò un’occhiata severa al marito, un falco pronto ad avventarsi su un topo. Bashere naturalmente non aveva l’aspetto di un topo, solo di un falco molto più piccolo. La moglie sospirò. Talvolta Deira faceva sembrare un sospiro profondo qualcosa che avrebbe anche potuto far tremare la terra, quindi rimosse il pugnale da dietro la cintura e lo depose fra le mani del marito. «Ne parleremo più tardi, Davram» disse alla fine. «A lungo.»
Rand decise che un giorno, quando avesse avuto tempo, si sarebbe fatto spiegare da Bashere come riusciva a farsi ubbidire a quel modo. Se mai avesse avuto tempo.
«A lungo» concordò Bashere, sorridendo sotto ai baffi mentre infilava il pugnale nella propria cintura. Forse l’uomo aveva semplicemente un istinto suicida.
Fuori la corda era stata abbassata e Rand aspettava insieme a Dashiva e agli altri Asha’man, mentre novemila soldati di cavalleria leggera della Saldea si schieravano alle spalle di Bashere, disposti su colonne di tre elementi. Da qualche parte dietro di loro si sarebbero riuniti quindicimila fanti, autonominatisi legione del Drago. Rand li aveva visti di sfuggita, indossavano tutti una giubba blu con i bottoni da un lato, di modo che il Drago rosso e oro ricamato sul petto non risultasse coperto. La maggior parte aveva una balestra con i dardi di acciaio, alcuni pesanti scudi, ma nessuno possedeva una picca. Qualsiasi strano piano avessero elaborato Mat e Bashere, Rand sperava di non dover guidare quella legione a morte certa.
Morr sorrise impaziente mentre aspettava, saltellando da un piede all’altro. Forse era semplicemente contento di indossare di nuovo la sua giubba nera con la spada d’argento appuntata sul colletto, eppure anche Adley e Narishma sorridevano e, in verità, Flinn non era distante. Adesso sapevano dove stavano andando e cosa fare una volta giunti sul posto. Dashiva guardava torvo nel nulla come sempre, parlando tra sé. Come sempre. Anche le donne della Saldea erano silenziose, lo sguardo truce, riunite alle spalle di Deira, e li osservavano. Aquile e falchi, con le penne arruffate, e furiose. A Rand non importava quanto li guardassero male; se poteva affrontare Nandera e le restanti Fanciulle tenendole al di fuori di questa faccenda, allora gli uomini della Saldea potevano tollerare qualsiasi tipo di discussione. Oggi, con la grazia della Luce, non sarebbe morta nessuna donna per colpa sua.
Così tanti uomini non potevano essere raggruppati in un attimo, anche se erano in attesa di quell’ordine, ma ci riuscirono in un tempo notevolmente breve; Bashere sollevò la spada e gridò: «Mio lord Drago!»
Fra le file alle sue spalle si diffuse un grido. «Il lord Drago!»
Rand afferrò la Fonte e aprì un passaggio fra i due paletti largo quattro passi e lo attraversò mentre legava la tessitura. Colmo di saidin con gli Asha’man alle calcagna, approdarono al centro di una grande piazza circondata da colonne bianche, ognuna sormontata da una corona di rami di ulivo. Ai lati della piazza sorgevano due palazzi quasi identici con il tetto di tegole rosse, viali con colonne, balconi e guglie sottili. Il più grande era il palazzo reale, l’altro quello del Consiglio — la grande Sala del Consiglio. Lo slargo su cui si trovavano era la piazza di Tammuz, nel cuore di Illian.
Un uomo magro con la giubba blu e una barba che lasciava libero il labbro superiore, rimase a bocca aperta alla vista di Rand e degli Asha’man in giubba nera che uscivano da un buco nell’aria. Una donna robusta, con indosso un abito verde che le arrivava sopra le caviglie, con calze verdi e scarpe dello stesso colore, si mise le mani sul viso e rimase impalata davanti a loro, gli occhi scuri fuori dalle orbite. Tutti si erano fermati a fissare la scena, gli ambulanti con i loro vassoi, i carrettieri avevano fatto fermare i buoi, uomini, donne e bambini, tutti a bocca aperta.
Rand sollevò una mano e incanalò. «Io sono il Drago Rinato!» Le parole rimbombarono in tutta la piazza, amplificate da Aria e Fuoco, e con mani scagliò delle fiamme in cielo a una distanza di centinaia di metri. Alle sue spalle gli Asha’man riempirono il cielo di globi di fuoco che volavano in ogni direzione. Tutti tranne Dashiva, che creò una rete di lampi azzurri su tutta la piazza.
Non servì altro. Un fiume di persone urlanti cominciò a scappare in tutte le direzioni, lontano dalla piazza di Tammuz. Fecero appena in tempo. Rand e gli Asha’man si allontanarono all’improvviso dal passaggio e Davram Bashere guidò i suoi uomini della Saldea che gridavano selvaggiamente, tutti dentro Illian, un fiume di cavalieri che agitavano le spade mentre fluivano fuori dal passaggio. Bashere era a capo della fila centrale della colonna, proprio come avevano progettato — a Rand sembrava molto tempo prima — mentre le altre due colonne si allargarono ai lati. Si allontanavano tutti dal passaggio, separandosi in gruppi più piccoli e galoppando per le strade che portavano lontano dalla piazza.
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