Ben Bova - La prova del fuoco

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La prova del fuoco: краткое содержание, описание и аннотация

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Era notte nell'emisfero occidentale quando il Sole emise la sua grande fiammata, e questo salvò il continente americano dalla combustione totale. Ma non lo salvò dalle atomiche sovietiche che cominciarono subito a piovere. Perché, chi avrebbe potuto dar torto ai pochi russi superstiti sottoterra, nella stanza dei bottoni, se pensarono che l'attacco fosse venuto dall'America?

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Le truppe di Douglas erano state disarmate e rinchiuse in alcuni edifici adibiti un tempo a caserme. Non erano state trovate donne alla base. L'indomani però sarebbero tornate dai villaggi circostanti.

Le guardie si misero sull'attenti quando riconobbero Alec. Per scaldarsi avevano inserito nel generatore dell'autoblindo una piccola graticola elettrica.

— Fa fresco, vero? — disse Alec.

— Altroché!

In casa di Douglas altri due uomini sonnecchiavano nel soggiorno. Scattarono in piedi quando Alec entrò sbattendo la porta.

— Tutto tranquillo, qui? — chiese lui.

— Signorsì. — Erano tutt'e due imbarazzati, forse anche un po' impauriti.

Senza aggiungere altro, Alec salì le scale in punta di piedi e aprì la porta della stanza di Douglas. Lo trovò seduto sul letto nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato qualche ora prima. Adesso aveva inforcato gli occhiali e stava leggendo un libro frusto e malconcio. Alec sbirciò la copertina, ma era troppo logora per riuscire a decifrare il titolo.

— Entra — disse piano Douglas senza alzare gli occhi dal libro. — Ti aspettavo.

Alec entrò e prese la sedia. Era nervoso, a disagio. Mentre si metteva a sedere si rese conto che la voce di suo padre non aveva più il tono imperioso e autoritario di una volta. Era pacata, quasi sommessa. Per via della sconfitta? Alec stentava a crederlo.

Douglas scrollò il libro. — L'ho trovato nella biblioteca di una città, anni fa. È di Hemingway. La Quinta Colonna e I quarantanove racconti. Magnifico. Dovresti leggerlo.

Alec alzò le spalle.

Douglas posò il libro sul comodino. La radio era stata portata via e di essa rimaneva solo il cavo che pendeva dalla finestra. — E così sei venuto a controllare se non mi manca niente e se ho mangiato bene?

— No.

— Sei venuto a leggermi la sentenza di morte? — Pareva divertito.

— Nemmeno. Sono venuto per sapere cosa volevi dire asserendo che il tuo lavoro è finito e che il mio sta appena cominciando. Will ha detto pressappoco la stessa cosa, un paio d'ore fa.

— Hai visto Will? — chiese Douglas con sincero interesse. — Come sta?

— Sta benone. Affamato come un orso…

— E assetato anche, ci scommetto.

Alec sorrise suo malgrado. — Già.

— Ma finalmente stai cominciando a capire che nella vita c'è qualcos'altro che conta quanto e più forse che non il fare la guerra a tuo padre. Non è così?

— Voglio sapere cosa significavano quelle misteriose allusioni.

— Non è difficile — rispose Douglas. — Tutto si è svolto come avevo progettato, anche se confesso che oggi pensavo di vincere io, e non tu. Ma il piano funziona ugualmente.

— Quale piano? — chiese Alec che cominciava a irritarsi.

Douglas gli sorrise, e il suo era un sorriso sincero, paterno, che gli illuminava la faccia rugosa. — Il piano di riunire l'umanità. Di costruire la civiltà.

— Ah, è così?

— Sì, proprio così. Guarda caso, ma tutto quello che ho fatto in questi venti e passa anni aveva una ragione. Ma adesso tocca a te attuare il progetto.

Alec scrollò la testa.

— Ascoltami! — esclamò Douglas col tono imperioso di un tempo. E puntandogli contro un dito, continuò: — Finalmente si è avverato. Non capisci? Guardati intorno, cosa vedi? E non parlo soltanto di questa stanza. Cos'è successo oggi?

— Ti abbiamo battuto.

— Chi mi ha battuto?

— Noi… l'esercito raccolto da Kobol e comandato da me.

— E chi faceva parte di questo esercito?

Sconcertato, Alec ripeté: — Chi?… Mah… Uomini venuti da ogni parte: dalla Florida ai villaggi qui attorno.

— E chi altri?

Alec ci pensò sopra un momento. — Noi — rispose. Finalmente aveva capito. — Uomini venuti dalla base lunare.

Douglas si appoggiò sui cuscini soddisfatto. — Magnifico. Hai trovato la risposta giusta con pochissimi incitamenti. Puoi diventare sul serio un vero capo. Un esercito formato da bande di uomini che negli ultimi venti e più anni si erano combattuti fra loro: razziatori e contadini, barbari di città e pescatori del sud, più voi lunari con la vostra tecnologia superiore. Per la prima volta da quando è bruciato il cielo, gli uomini della Terra e della Luna hanno agito insieme.

— E cosa c'è di meraviglioso in tutto questo?

— Te lo dico io. — Era chiaro che Douglas se la godeva. La voce si era fatta più sicura, aveva riacquistato parte dell'antico vigore. — Quando è bruciato il cielo, la civiltà è morta sulla Terra. Ma sulla Luna tutto ha continuato a funzionare come prima… per il momento. Poi i capi si sono resi conto che non potevano fare niente per aiutare i terrestri sopravvissuti.

— Infatti — ammise Alec. — Durante i primi anni riuscirono appena a sopravvivere loro stessi.

— Sì, allora - ribatté Douglas. — Ma questo non vuol dire che la loro decisione fosse valida per sempre. E comunque in brevissimo tempo, i potenti della Luna decisero che la colonia lunare poteva sopravvivere con le sue sole forze e che per tutto quello di cui necessitava bastava venire di tanto in tanto sulla Terra a prenderselo.

— Soprattutto i materiali fissili.

— E le piante medicinali, e altro ancora. Così, mentre i lunari guardavano con disprezzo i cosiddetti barbari terrestri, gli stessi lunari non si accorgevano che anch'essi si stavano comportando come barbari… infatti, razziavano la Terra per procurarsi quello di cui avevano bisogno, ma che non potevano o non volevano produrre. E questa è barbarie!

— No, aspetta…

Ma Douglas era troppo infervorato. — La verità è che la colonia lunare non ha mai potuto, non può e non potrà mai sopravvivere con le sue sole risorse. Geneticamente è arrivata a un punto morto. La percentuale dei tumori e delle malattie congenite è in vertiginoso aumento.

— È già successo altre volte — disse Alec.

— Sì, ma adesso hai l'opportunità di rimettere a posto le cose. Tu sei a capo di un esercito composto di lunari e di terrestri. Tu disponi dei materiali fissili che i lunari vogliono. Puoi costringerli a cominciare a collaborare coi terrestri, a iniziare la ricostruzione della civiltà. Io ho gettato le basi, adesso tocca a te costruire.

Alec restò a bocca aperta. Quando finalmente si riprese disse: — Io? Tu vuoi che io… — non riusciva a trovare le parole.

— Sì, tu — disse con dolcezza suo padre. — Ti ho aspettato per vent'anni, figliolo.

— Ma se hai cercato di uccidermi!

— No, non è vero. Ho solo cercato di vedere di che stoffa eri fatto. Ho predisposto le cose in modo da metterti alla prova, cosicché tutt'e due potessimo scoprirlo. Te la sei cavata egregiamente. Sei riuscito a sopravvivere. E, quel che più conta, hai imparato. Adesso capisci quello che dico, e sai che ho ragione. Lo vedo.

— No…

— Sì! — Douglas aveva ritrovato l'ardore di un tempo. — Tu sei il capo di questa traballante alleanza. Tu sei l'unico che ha la facoltà di costringere quei delicati fiori di serra a unirsi ai loro fratelli qui sulla Terra. Abbandonata a se stessa, senza le nozioni e la tecnologia della Luna, la Terra impiegherebbe almeno cinquecento anni per ricostruire una civiltà. Nessuno lo sa meglio di me. Ci ho messo vent'anni per elevare un insignificante numero di persone dalla barbarie a una parvenza di civiltà medievale. — Douglas strinse i pugni. — Ma la colonia lunare isolata, divisa dalla Terra, tagliata fuori dalla forza vitale della razza umana, la sorgente genetica, la colonia lunare, dico, morirà. Non c'è scampo, nel giro di un paio di generazioni, al massimo tre, morirà.

Alec riascoltò nella sua mente la risposta di Kobol alla domanda sull'avvenire della colonia lunare una volta terminata la scorta di materiali fissili: Cinquant'anni sono tanti. Che senso ha preoccuparsi ora, in questo momento!

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