Dopodiché non rimase altro di cui parlare. Molte erano le cose da dire, ma niente di cui parlare.
Fu Douglas a rompere il silenzio. — Così hai vinto.
— Già.
— E adesso cosa ti proponi di fare?
Alec guardò fuori dalla finestra, poi tornò a fissare il viso stanco di suo padre. — Sono venuto per i missili. Li porterò sulla Luna.
— Sai dove si trovano?
— Me l'hai mostrato tu, non ricordi?
— Oh… Sì, è vero. Non…
— Sta andandoli a prendere Kobol con una squadra specializzata.
— Kobol? Hmmm.
— Ti condanneranno a morte — sbottò Alec. — Sei un traditore.
— Me l'immaginavo — disse Douglas senza scomporsi. — Se non fosse stato per questa dannata gamba non sarebbe stato tanto facile catturarmi.
— Kobol ha intenzione di sposare mia madre — mentre lo diceva, Alec si rese conto che era vero. Lo sapeva da sempre ma si era sempre rifiutato di crederci.
— Kobol? Benone! Tempo un anno e lo servirà a fettine su un piatto d'argento. Sono degni l'uno dell'altra.
Alec fremeva.
— Non fare lo stupido — gli disse suo padre. — Kobol le faceva la corte anche quando io ero ancora lassù. E lei lo incoraggiava. Questo è uno dei motivi per cui me ne sono andato. Era evidente perfino a me.
— Ti aspetti che ti creda?
— Non me ne frega niente se ci credi o no — rispose Douglas con un sorriso amaro. — Io ho terminato quello che mi ero proposto di fare. Il mio lavoro è finito. Il tuo è appena cominciato.
— Come? Cosa vuoi dire?
Prima che Douglas avesse il tempo di rispondere tre autoblindo si fermarono sferragliando davanti alla casa e si sentì il vocìo di parecchi uomini. Uno sbattere di porte. Passi pesanti sulle scale.
Jameson entrò nella stanza puntando il fucile. — Tutto bene? — chiese ad Alec.
Alec annuì e si alzò. — Questo è Douglas Morgan — disse. — Fa' sorvegliare questa casa. Nessuno deve uscire senza il mio permesso. Installerò il mio quartier generale nella prima casa di questa via, dove è parcheggiata la mia autoblindo.
— Va bene — disse Jameson.
— Immagino che il condannato abbia diritto a un pasto, stasera — disse Douglas.
Alec non aveva più il coraggio di guardarlo in faccia. — Provvedi tu — disse a Jameson.
Poi lasciò suo padre seduto sul letto, circondato da sconosciuti armati.
Alec cenò da solo nella casa di Angela. Era il primo pasto caldo da parecchi giorni. Aveva quasi finito quando Kobol entrò a precipizio in cucina.
— Li abbiamo presi! — gracchiò spingendo da parte la guardia di sentinella davanti alla porta.
Alec lo guardò. Era stanchissimo, mentre Kobol era giubilante, poco mancava che si mettesse a ballare.
— Li abbiamo presi! — ripeté Kobol. — Ne avremo per almeno cinquant'anni!
— E dopo?
Kobol rimase interdetto. Il suo sorriso trionfante cominciò ad appannarsi. — Cosa vuoi dire?
Alec cominciava a capire almeno in parte quello che gli aveva detto tempo prima Douglas — E dopo? Cosa ne sarà della colonia fra cinquant'anni?
— Be', ne troveremo degli altri. Cinquant'anni sono tanti. Che senso ha preoccuparsi ora, in questo momento!
— No — rispose Alec. — No, hai ragione.
— Ordinerò che un paio di navette vengano qui a prenderli domattina all'alba. Possono atterrare all'aeroporto di questa base.
— D'accordo.
— E voglio che sia imbarcato anche Douglas. Lo stanno aspettando.
Alec respinse il piatto ancora mezzo pieno e si alzò. — No.
— No? Come sarebbe a dire?
— Ho detto "no". Tu non riporterai Douglas sulla Luna. Penseremo a lui noi, qui. Me ne occuperò io.
— No, non lo farai — dichiarò con durezza Kobol. — Finora hai fatto a modo tuo ma è venuto il momento di renderti conto che io sono un membro del Consiglio, e ho l'ultima parola nel…
Alec sfoderò la pistola. — Martin, puoi portare i materiali sulla Luna e tornarci anche tu domani. Io verrò tra poco. Ma Douglas resta qui. Ha scelto di vivere sulla Terra e qui sarà sepolto. Se vuoi essere sepolto anche tu qui, basta che tu dica ancora una sola parola. — La voce di Alec era sommessa come il ronron di un leopardo. — Una parola sola, tutto qui.
Kobol aprì la bocca ma non ne uscì nessun suono. Poi la richiuse con uno schiocco percettibile dei denti. Era pallido di rabbia e di paura.
— Bene — concluse Alec indicando la porta con la pistola. — E adesso vattene a fare quel che devi fare. Lascia Douglas a me. E tieni le mani lontano da mia madre fino al mio ritorno. Non dimenticare che anche lassù puoi essere ucciso facilmente come qui.
Schiumando di rabbia, Kobol si voltò e uscì zoppicando.
Alec rinfoderò la pistola e finì di mangiare. Ma non aveva più fame. Si sentiva più vecchio e più stanco di suo padre, stanco e miserevolmente solo.
La guardia sbirciò dentro. — Signore?
— Cosa c'è?
— Abbiamo un prigioniero. Qualcuno che avevate detto di volere vedere.
— Will Russo.
— Così dice di chiamarsi.
— Fallo entrare. — Alec tornò ad alzarsi mentre Will entrava. Era sporco e aveva gli abiti ridotti in brandelli ma quando entrò in cucina e vide Alec sfoderò il suo bonario sorriso.
— Non scherzavi parlando di un esercito numeroso, eh?
Alec gli porse la mano e Will l'afferrò.
— Stai bene? — gli chiese Alec. — Hai mangiato? Sei ferito?
— Muoio di fame, ma per il resto sto bene. I tuoi uomini ci hanno tenuti impegnati per sei ore. Mai visti tanti cannoni e tanti laser in vita mia.
Alec lo fece sedere al tavolo e ordinò che gli portassero da mangiare. Rimase poi a guardare Will che divorava voracemente tutto quello che aveva davanti, innaffiandolo con un litro di latte appena munto.
— In quale villaggio è andata Angela? — gli chiese.
— Non lo so — rispose Will a bocca piena. — Ma verrà qui presto. Vuole vedere Douglas, curarlo.
Vuole curarlo pensò Alec con una fitta di gelosia.
— Avete avuto molte perdite? — chiese per cambiare argomento.
— Parecchie. Voi eravate in molti, meglio armati e siete anche stati più furbi di noi.
— Sono contento che tu non sia stato ferito.
— Figurati io! — ribatté Will con una fragorosa risata. — Ma molta brava gente ci ha lasciato la pelle.
Alec annuì. — Però adesso è finita — disse.
— Finita? Oh, no, perdio! Sta solo cominciando.
— Cominciando?… Cosa vuoi dire?
— Chiedilo a Douglas. Mi sorprende che non te ne abbia ancora parlato.
— Parlato di che?
— Chiedilo a lui.
— Maledizione! — sbottò Alec. — Sai benissimo che Douglas è agli arresti per tradimento. E sai anche che Kobol vorrebbe portarlo sulla Luna per sottoporlo a un processo.
— Glielo permetterai?
— No. Però non posso neanche lasciarlo vivere.
Will alzò le spalle.
— Tecnicamente sei colpevole quanto lui — aggiunse Alec — ma è Douglas che vogliono punire e tu non sei obbligato a…
— No — disse Will con ferrea determinazione. — Non ci sto.
Alec lo guardò.
— Io sono un seguace di Douglas. Quello che spetta a lui spetta anche a me. L'hai appena detto, ed è vero: sono colpevole come e quanto lui. Abbiamo progettato insieme tutto questo. Se lo uccidi dovrai uccidere anche me. Altrimenti…
— Altrimenti…
— Altrimenti non ti darò tregua finché non ti avrò ammazzato.
— Accidenti, Will, parli come un barbaro medievale.
— Può darsi che lo sia. Forse lo siamo tutti. Ti voglio bene come a un figlio, Alec. Ti devo la vita. Ma se uccidi Douglas non avrò pace finché non l'avrò vendicato.
— Cristo!
— Proprio così! — disse Will Russo.
Era tardi quando Alec si avviò a piedi verso la casa di Douglas. La notte primaverile era fredda e buia, le stelle brillavano più lustre e scintillanti. All'infuori delle due guardie che ciondolavano vicino all'autoblindo non c'era nessuno per strada.
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