Prima che Kobol potesse rispondere, Alec chiuse la comunicazione sorridendo fra sé.
È troppo facile , continuava a pensare mentre correvano verso la base di Douglas. Ma di quali altre risorse può disporre? Ha impiegato molti più uomini di quanti ne abbia mai visti alla base. Non può averne altri di riserva.
Mentre procedevano a tutta velocità sul campo di battaglia, fra carri armati e autoblindo bruciate, corpi straziati e gementi, cadaveri maciullati, crateri di bombe, sull'erba viscida di sangue, Alec cominciò a rendersi conto che dopo tutto non era stata una cosa facile. Rapida, sì, ma non facile.
Ordinò al conducente dell'autoblindo di dirigere su una strada, e la colonna lo seguì. La strada era uno di quei sentieri in terra battuta su cui aveva più volte cavalcato insieme a Will Russo. Si snodava ai piedi delle ultime colline, e dopo essersi inoltrata in un folto di aceri e betulle terminava in vista delle prime case.
La colonna di autoblindo e jeep si aprì a ventaglio sul terreno ondulato coperto d'erba. I laser fusero senza difficoltà la rete metallica del recinto interno. Le torri di guardia erano abbandonate. Alec scrutò col binocolo la base mentre varcavano i resti ancora fumanti della recinzione. Poche persone correvano lungo le strade per mettersi al riparo nelle case.
Jameson riferì: — Ci troviamo a meno di un chilometro dall'estremità ovest della base. Nessuna resistenza. Scarsi segni di vita.
— Rallenta — ordinò Alec. — Procedi con cautela, ma continua ad avanzare. Non voglio che ci siano vittime fra i civili. Specialmente le donne. — Trasse dalla tasca della giubba una mappa disegnata a mano e disse a Jameson quali erano gli edifici che i suoi uomini dovevano occupare. — Fate uscire i difensori e radunateli sulle piste del vecchio aeroporto.
— D'accordo — rispose Jameson.
Alec impartì gli stessi ordini agli altri comandanti. Era preoccupato perché non sapeva per quanto tempo ancora l'accozzaglia di uomini ai suoi comandi avrebbe mantenuto la disciplina. Fece dirigere la sua autoblindo verso la fila di case dove abitavano Will, Douglas e Angela, e mentre il veicolo avanzava sobbalzando solitario in mezzo agli edifici, si rese conto di costituire un bersaglio ideale per i cecchini che potevano esserci nascosti.
E sparate! disse silenziosamente ai nemici. Non avrete mai un'occasione migliore.
Ma nessuno sparò. In quella parte della base non c'era il minimo segno di vita. Le case parevano tutte disabitate, e mentre imboccava la via verso cui era diretto, Alec pensò: Se ne sono andati tutti. Sono stato uno sciocco a credere che potessero essere ancora qui.
Ordinò al conducente di fermarsi davanti alla casa di Angela e saltò a terra, con la pistola che gli pendeva dal cinturone, l'elmetto in testa. Rammentando la notte in cui se n'era andato, pensò che non aveva mai immaginato un simile ritorno da conquistatore che occupa il campo abbandonato dal nemico.
La casa era vuota. Il focolare freddo. Tutto era polveroso, e aveva un'aria di abbandono come se nessuno ci vivesse da settimane, forse da mesi.
Cupo in viso, uscì, e si diresse verso la casa di Douglas. Sapeva che era una speranza assurda, eppure…
A una decina di passi dalla casa, si fermò di colpo, irrigidendosi. Un ronzio meccanico, debole ma inconfondibile, simile al rumore dell'affusto di un cannone che ruota in direzione del bersaglio, l'aveva costretto ad arrestarsi. Si scostò dal marciapiedi per addossarsi alla siepe che correva intorno alla casa, e con una mano sull'impugnatura della pistola scrutò con cura la strada apparentemente deserta.
Niente.
Poi il rumore si ripeté, alle sue spalle. Alec si girò di scatto, abbassandosi ed estraendo contemporaneamente la pistola. Ancora niente in vista. Pure qualcosa c'era. Qualcosa di diverso nella casa, qualcosa che prima non c'era.
Scorse un luccicore con la coda dell'occhio: un'asta di metallo inchiodata alla bell'e meglio al muro, sulla cui sommità si ergeva un'antenna di fortuna, nuova, ancora lucida ai raggi del sole al tramonto. Un cavo scendeva dall'antenna ed entrava in una finestra del primo piano.
L'antenna ruotò producendo un ronzio metallico mentre il suo motorino elettrico la muoveva.
Alec staccò la mano dall'impugnatura della pistola e ordinò a se stesso di smettere di tremare. Poi chiamò per radio il conducente della sua autoblindo, sempre ferma davanti alla casa di Angela e, parlando sottovoce, gli ordinò: — Chiama Jameson e digli di portare qui una squadra. Immediatamente.
— Signorsì.
Lentamente, cercando di non fare rumore, Alec girò intorno alla casa fino a raggiungere la porta posteriore. Non era chiusa a chiave. La spinse adagio. I cardini non cigolarono.
Una volta dentro, sentì provenire dal piano superiore una voce smorzata. Gli pareva quella di Douglas. Solo? Come mai era lì e non sul campo coi suoi uomini?
Alec salì i gradini a due alla volta, ma lentamente, tenendosi chino e impugnando la pistola, a scanso di sorprese. Raggiunto furtivamente il pianerottolo si diresse verso la stanza da cui proveniva la voce di Douglas.
Diede un'occhiata nelle altre stanze attraverso le porte, tutte aperte. Nessuno. Infine dopo aver inspirato ed espirato una profonda boccata d'aria aprì la porta della camera da letto ed entrò a precipizio.
La porta sbatté contro il muro mentre Alec ricadeva sui talloni, accovacciato, reggendosi in equilibrio con la pistola nella destra.
Metà stanza era ingombra di apparecchiature radio, cassette di metallo grigie e nere, con quadranti luminosi. Un groviglio di fili collegavano quell'apparente caos al cavo che scendeva serpeggiando al di sotto della finestra chiusa.
Douglas stava seduto sul letto, con un antiquato microfono stretto nel pugno poderoso. La gamba sinistra era chiusa dalla coscia al piede in un involucro di plastica. La faccia era più magra di quanto Alec non ricordasse e i capelli e la barba più grigi. Abiti e lenzuola erano spiegazzati e umidi di sudore. Sul letto al fianco di Douglas c'era una carabina con alcune scatole di munizioni sul comodino.
Per un lungo momento, Alec rimase accovacciato, immobile. Poi Douglas disse: — Be', era tempo che venissi. Cosa ti ha trattenuto?
— Cosa ti sei fatto alla gamba? — chiese Alec fissando suo padre.
Con aria seccata, Douglas borbottò: — Disarcionato da un maledetto cavallo. Ci crederesti? Quattro giorni fa. Ho dovuto starmene qui seduto durante tutta la battaglia cercando di dirigere le operazioni per radio. — Gettò il microfono sul letto,da cui rimbalzò con un tonfo metallico per terra.
— Avresti potuto risparmare molte vite dicendo…
— Ho già ordinato ai miei uomini di cessare il combattimento — lo interruppe Douglas. Aveva l'aria stanca, sebbene la sua voce fosse forte e imperiosa come sempre. — È quello che stavo facendo mentre tu salivi di soppiatto le scale. E puoi anche mettere via la pistola. Non ho intenzione di spararti — e indicando la carabina, — questa non è neanche carica.
Alec si avvicinò al letto, prese la carabina e l'appoggiò contro lo stipite della porta. Poi rinfoderò la pistola.
— Hai combattuto molto bene — dichiarò Douglas, ingrugnito. — Non mi aspettavo che tu fossi così bravo.
Accostando al letto l'unica sedia della stanza, Alec ribatté: — E io non mi aspettavo che tu avessi dei carri armati.
— Credevi che ti avessi fatto vedere tutto? — rise Douglas.
— E lei dov'è?
— Angela? L'ho spedita in un villaggio una settimana fa insieme alle altre donne. Tornerà, adesso che la battaglia è finita.
— E Will?
Douglas scosse la testa. — L'ultima volta che ho avuto sue notizie gli avevano ammazzato il cavallo che cavalcava. Ma non preoccuparti per lui. Russo ha la fortuna dalla sua.
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