Wilson Tucker - L'anno del sole quieto

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L'anno del sole quieto: краткое содержание, описание и аннотация

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Brian Chaney, esperto dell’antica Palestina e di manoscritti biblici, viene reclutato per una missione molto rischiosa: la prima esplorazione fisica del futuro, resa possibile dall’invenzione del Veicolo per la Dislocazione nel Tempo, un progetto coperto dal più assoluto segreto. Chaney possiede tutti i necessari requisiti, ma soprattutto uno di essi lo rende l’individuo ideale per un simile compito: egli è infatti l’autore del più completo ed esauriente studio estrapolativo sul nostro futuro. La prima missione è quella di spostarsi di pochi anni per scoprire l’esito di un’imminente elezione presidenziale, tuttavia quest’epoca a noi vicinissima già comincia ad assumere inquietanti connotati, tra cui la degenerazione di una città come Chicago, sconvolta da sanguinosi disordini e divisa a metà da una sconcertante muraglia. Ma il vero obiettivo di Chaney è uno spostamento temporale di vari decenni, dove sarà testimone di un futuro ancora più tragico e disperato, al di là delle sue più pessimistiche previsioni: qui infatti un clima di paura e desolazione, segnato da violentissimi scontri razziali e da una vera e propria guerra civile, dipinge il crepuscolo degli Stati Uniti. Si è forse avverato ciò che aveva preconizzato un profeta ebraico sugli antichi documenti trovati nel Mar Morto, l’Eschatos o “la fine delle cose”, e che Chaney conosce fin troppo bene perchè ne è stato il traduttore? E sarà ancora possibile cambiare il corso di un futuro già annunciato da millenni? Lucido e vibrante, ma al tempo stesso profondamente toccante e umano, questo capolavoro di Wilson Tucker, maestro indiscusso delle avventure temporali, narra di un futuro in cui si ritrovano in una sintesi di rara forza espressiva tutti i temi d’inquietudine del nostro presente.

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Alla fine disse: — Conoscete la data?

— No, signore.

Un’esitazione, e poi: — Penso che mi abbiate aspettato.

Arthur Saltus annuì, e la donna fece un cenno affermativo quasi impercettibile.

— Mio padre diceva che lei sarebbe arrivato… un giorno. Era certo che lei sarebbe venuto; lei era l’ultimo dei tre.

Sorpresa: — Nessun altro, dopo di noi?

— Nessuno.

Chaney toccò la tomba per l’ultima volta, e i loro occhi seguirono la sua mano. Aveva un’altra domanda da fare, prima di rischiare di alzarsi in piedi.

— Chi è sepolto, qui?

Arthur Saltus disse: — Mio padre.

Chaney avrebbe voluto gridare: come? quando? perché? ma l’imbarazzo lo fece tacere, l’imbarazzo e il dolore e la depressione; rimpianse amaramente di avere vissuto il giorno in cui aveva accettato l’offerta di Katrina, e si era messo in quella posizione infelice. Si alzò in piedi, evitando di fare dei movimenti bruschi che avrebbero potuto essere fraintesi, e fu lieto, almeno, di non avere fotografato la tomba… fu lieto di non essere costretto a dire a Katrina, o a Saltus, o a Seabrooke, quello che aveva trovato in quel luogo silenzioso. Non avrebbe parlato della tomba: non avrebbe detto una sola parola.

In piedi, Chaney si guardò attorno, attentamente, guardò il giardino invaso dalle erbe, il parcheggio, la strada oltre l’edificio, e tutte le parti della base che si potevano vedere da quel luogo. Non vide nessuno, all’infuori dei due.

Una domanda secca: — Siete soli, qui?

La donna sobbalzò, udendo il suo tono di voce, e parve sul punto di fuggire, ma suo fratello rimase fermo.

— No, signore.

Una paura, e poi: — Dov’è Katrina?

— Sta aspettando dentro, signor Chaney.

— Sa che sono qui?

— Sì, signore.

— Sapeva che avrei chiesto di lei?

— Sì, signore. Lo immaginava.

Chaney disse: — Sto per infrangere una regola.

— Immaginava anche questo, signore.

— Ma non ha fatto delle obiezioni?

— Ci ha dato delle istruzioni, signore. Se ce l’avesse chiesto, avremmo dovuto dirle che nostra madre le aveva già detto dove l’avrebbe aspettato.

Chaney annuì, sorpreso.

— Sì, l’ha detto. L’ha detto due volte, è vero. — Camminò sul sentiero, avvicinandosi alla cisterna, e i due indietreggiarono, timorosi, ancora incerti se fidarsi o no. Chaney indicò la cisterna. L’avete costruita voi?

— L’abbiamo fatta io e mio padre, signor Chaney. Avevamo il suo libro. Le descrizioni erano chiarissime.

— Lo direi ad Haakon, se ne avessi il coraggio.

Arthur Saltus si fece da parte, quando raggiunsero il parcheggio, e si lasciò precedere da Chaney. La donna si era tenuta discosta, e ora manteneva una distanza prudenziale. Continuava a fissarlo, uno sguardo che in altre circostanze avrebbe potuto apparire sconveniente, e Chaney fu sicuro che non avesse visto altri uomini per troppi anni. Fu ugualmente certo che lei non avesse mai visto un uomo come lui all’interno del recinto protettivo: e questa era la causa della sua apprensione.

Passando, ignorò il fucile posato sul carro.

Brian Chaney infilò le chiavi nelle serrature gemelle, e spinse la porta pesante. Le due lampade erano posate sul primo gradino, e, come prima, un fiotto di aria stantia sfuggì nell’aria un po’ incupita del crepuscolo. Chaney si fermò, imbarazzato, sulla soglia, chiedendosi cosa doveva dire… chiedendosi come poteva dire addio a quelle persone. Solo un dannato stupido avrebbe pronunciato uno dei cliché insignificanti della sua epoca; ma solo il più stupido degli stupidi se ne sarebbe andato così, senza dire niente.

Guardò di nuovo il cielo, e il vello dorato che circondava il sole al tramonto, e l’erba fresca e verde, e il monticello d’argilla giallastra, ormai vecchio. Alla fine il suo sguardo ritornò sull’uomo e sulla donna che aspettavano.

Disse: — Grazie per esservi fidati di me.

Saltus annuì: — Ci hanno detto che potevamo fidarci di lei.

Chaney guardò Arthur Saltus, e gli parve quasi di rivedere i capelli spettinati color sabbia e gli occhi perennemente socchiusi… gli occhi di un uomo avvezzo da molto tempo a scrutare il mare scintillante nel sole. Guardò a lungo Kathryn Saltus, ma non riuscì a vedere la blusa trasparente o i calzoni delta: su di lei, quegli indumenti sarebbero sembrati osceni. Quegli abiti appartenevano a un mondo scomparso ormai da molto tempo. Le guardò il viso un momento più del necessario, e qualcosa si mosse, dentro di lui, e subito la realtà gli fece interrompere quei pensieri.

La dura realtà: lei viveva qui , ma lui apparteneva al mondo di laggiù. Era folle perfino sognare, quando si trattava di una donna che viveva un secolo dopo il suo tempo. La realtà faceva male.

La coscienza gli rimordeva, quando la porta si chiuse, perché lui non aveva saputo dire più niente ai due. Chaney si voltò e scese gli scalini, lasciandosi per sempre alle spalle il sole quieto, il mondo freddo di oltre il 2000, gli sconosciuti superstiti che vivevano oltre il recinto, e che erano fuggiti in preda al terrore, quando l’avevano visto e avevano udito la sua voce, e i superstiti conosciuti appena che vivevano all’interno del recinto, e che erano testimonianze viventi della sua sconfitta. La coscienza gli rimordeva, ma non si voltò indietro.

Era quasi il tramonto di un giorno sconosciuto.

Era il giorno più lungo della sua vita.

Capitolo diciassettesimo

La stanza di addestramento era sottilmente diversa da quella in cui era entrato per la prima volta, poche settimane — o anni, o secoli? — prima.

Ricordò il soldato della polizia militare che lo aveva scortato fin dal cancello, e poi gli aveva aperto la porta; ricordò il suo primo sguardo all’interno della stanza… la tiepida accoglienza, il suo ritardo. Aveva trovato Kathryn Van Hise intenta a fissarlo con occhio critico, soppesandolo con lo sguardo, chiedendosi se lui fosse stato all’altezza dei futuri compiti; aveva trovato il maggiore Moresby e Arthur Saltus intenti a giocare a carte, annoiati, aspettando con impazienza il suo arrivo; aveva trovato il lungo tavolo d’acciaio sistemato sotto le luci, al centro della stanza… e tutto era stato pronto, allora, e tutti avevano aspettato lui.

Aveva detto il suo nome e aveva abbozzato una scusa per il suo ritardo, quando il primo rumore lo aveva interrotto, e quel rumore aveva fatto male. Aveva appena cominciato la frase, e poi il rumore aveva aggredito i suoi timpani. Aveva visto i tre occupanti della stanza voltarsi a fissare l’orologio: sessantuno secondi. Tutto questo era accaduto da un paio di settimane… da un paio di secoli… prima che le buste voluminose fossero state aperte, e da esse fossero sfuggiti dei voli di fantasia, cento o mille o diecimila. Le fantasie di una donna di nome Katrina, le fantasie di un uomo di nome Seabrooke, le fantasie di un gruppo di tecnici e di un presidente che aveva voluto conoscere, prima di ogni altra cosa, se sarebbe stato rieletto. Il lungo viaggio dalla spiaggia della Florida Io aveva condotto due volte in quella stanza, ma questa volta la lampada a petrolio illuminava appena il locale.

Katrina era là.

La donna anziana sedeva sulla solita sedia, da un lato del grande tavolo… sedeva silenziosamente, tranquillamente nel buio, sotto le lampade bruciate ormai da molto tempo. Come sempre, aveva le mani posate sul piano del tavolo, unite. Chaney posò la lampada sul tavolo, tra loro, e la luce cadde sul viso di lei.

Katrina.

I suoi occhi erano luminosi e vivi, vigili e attenti come li ricordava, ma il tempo non era stato pietoso, con lei. Vide sul suo viso molte linee di dolore, di angosce e di dolori che lui non conosceva; linee che segnavano il viso di una donna tenace, che aveva sopportato molto, aveva sofferto molto, ma non aveva mai deposto il suo coraggio. La pelle era tirata sugli zigomi, intorno alla bocca e sul mento, e pareva quasi trasparente, cerulea nella luce della lampada. I capelli luminosi e bellissimi erano completamente grigi. Anni duri, anni infelici, anni magri.

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