Wilson Tucker - L'anno del sole quieto

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Brian Chaney, esperto dell’antica Palestina e di manoscritti biblici, viene reclutato per una missione molto rischiosa: la prima esplorazione fisica del futuro, resa possibile dall’invenzione del Veicolo per la Dislocazione nel Tempo, un progetto coperto dal più assoluto segreto. Chaney possiede tutti i necessari requisiti, ma soprattutto uno di essi lo rende l’individuo ideale per un simile compito: egli è infatti l’autore del più completo ed esauriente studio estrapolativo sul nostro futuro. La prima missione è quella di spostarsi di pochi anni per scoprire l’esito di un’imminente elezione presidenziale, tuttavia quest’epoca a noi vicinissima già comincia ad assumere inquietanti connotati, tra cui la degenerazione di una città come Chicago, sconvolta da sanguinosi disordini e divisa a metà da una sconcertante muraglia. Ma il vero obiettivo di Chaney è uno spostamento temporale di vari decenni, dove sarà testimone di un futuro ancora più tragico e disperato, al di là delle sue più pessimistiche previsioni: qui infatti un clima di paura e desolazione, segnato da violentissimi scontri razziali e da una vera e propria guerra civile, dipinge il crepuscolo degli Stati Uniti. Si è forse avverato ciò che aveva preconizzato un profeta ebraico sugli antichi documenti trovati nel Mar Morto, l’Eschatos o “la fine delle cose”, e che Chaney conosce fin troppo bene perchè ne è stato il traduttore? E sarà ancora possibile cambiare il corso di un futuro già annunciato da millenni? Lucido e vibrante, ma al tempo stesso profondamente toccante e umano, questo capolavoro di Wilson Tucker, maestro indiscusso delle avventure temporali, narra di un futuro in cui si ritrovano in una sintesi di rara forza espressiva tutti i temi d’inquietudine del nostro presente.

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Spesso Chaney si era chiesto chi fosse l’anonimo scriba che aveva confezionato quella storia. Il lungo lavoro compiuto sul rotolo gli aveva dato la sensazione di conoscere quasi l’uomo di un tempo cosi remoto, di essere quasi in grado di leggergli nel pensiero. Qualche volta gli era sembrato che l’uomo fosse un novizio nella pratica di quell’arte… un nuovo adepto della setta, non ancora adeguato alla mentalità comune, o magari un prete privato del suo rango e del suo lavoro, per essersi rivelato un anticonformista. Quell’uomo non aveva mai esitato a impiegare il vernacolo aramaico, quando l’aramaico era stato più efficace o più ricco di colore dell’ebraico, e aveva raccontato la sua storia con estro e vivacità, con libertà poetica.

Eschatos:

Il cielo era azzurro, nuovo, e libero di draghi (serpenti alati) quando l’uomo che era due uomini (gemelli?) viveva sulla (sotto la?) terra. L’uomo che era due uomini era in pace col sole e i suoi figli si moltiplicavano (le tribù, o le famiglie, intorno a lui crescevano di numero con il passare del tempo). Egli era conosciuto e accolto con gioia nel Tempio bianco, e là avrebbe potuto vivere. Il suo lavoro lo portava di frequente alla lontana Har-Magedon, dove era ugualmente conosciuto a coloro che vivevano sulla montagna e a coloro che aravano la pianura sotto la montagna; ed egli si mescolava a costoro e li ammaestrava (consigliava, guidava) nella loro vita d’ogni giorno; poiché l’uomo che era due uomini era un uomo saggio. Egli aveva una stanza (una casa?) con (insieme a) una famiglia della montagna e gli bastava soltanto tirare una fune (fare un segno?) per avere cibo e acqua; e il cibo e l’acqua gli venivano dati senza che egli dovesse pagare. (Una forma di compenso per i suoi servigi?)

L’uomo che era due uomini lavorava sulla montagna.

Il suo compito (svolto a intervalli sconosciuti) era oneroso, e consisteva nell’ergersi in piedi sulla cima della montagna e ripulire i cieli spazzandone via gli escrementi (impurità, detriti rimasti dopo la Creazione) che tendevano a radunarsi là. La gente della montagna doveva assisterlo nel suo lavoro, fornendogli dieci cor di acqua (novecento galloni) attinti da un pozzo inesauribile (o cisterna) che si trovava vicino alla base della montagna; e ogni volta il lavoro finiva nel buio e nella luce di un solo giorno (da un tramonto all’altro). Questo compito gli era stato affidato dal profeta egiziano nomade (Mosè?) da più eli cinque volte l’Anno Giubilare (più di duecentocinquant’anni prima); ed era un segno e una promessa che il profeta aveva dato ai suoi figli, le tribù: perché fino a quando i cicli fossero stati puliti il sole sarebbe rimasto quieto, i draghi non sarebbero apparsi nel cielo, e il freddo crudele che paralizzava i vecchi sarebbe stato mantenuto lontano, alla giusta distanza.

Il nuovo profeta che era venuto dopo l’Egiziano (Aronne?) approvò il patto, e il patto fu continuato: dopo di lui, Elia approvò il patto, e il patto fu continuato; e dopo di lui, Sofonia approvò il patto, e il patto fu continuato; dopo di lui, Michea approvò il patto (errore cronologico) e il patto fu continuato. E giunse questo tempo, e i cieli erano puliti, e il popolo prosperava.

L’uomo che era due uomini era una figura prodigiosa. Era figlio (discendente diretto) di Davide.

Il suo capo era d’oro finissimo e i suoi occhi erano brillanti come (parola mancante; probabilmente gemme), il petto e le braccia erano di purissimo argento, il corpo era di bronzo, le gambe di ferro, e i piedi parte erano di ferro e parte di creta (intera descrizione presa di peso da Daniele). L’uomo che era due uomini non invecchiava, la sua età non cambiava mai, ma un giorno, mentre egli lavorava sulla montagna, ed era intento al suo compito, venne abbattuto da un segno. Un masso si staccò dalla montagna e rotolando cadde su di lui, schiacciandogli i piedi e sbriciolando la creta, che fu portata via del vento; ed egli cadde sulla terra, terribilmente ferito. (Di nuovo, un intero pezzo preso da Daniele.) Il lavoro si fermò. La gente della montagna lo trasportò a valle e lo consegnò alla gente della pianura, e la gente della pianura lo trasportò al Tempio bianco, dove i sacerdoti e i medici lo posarono nella sua ferita (lo seppellirono?).

Passò così il primo Anno Giubilare, e il secondo (un secolo), ed egli non apparve al suo posto sulla montagna. La sua stanza (casa) non fu preparata per lui, perché i nuovi figli avevano dimenticato; il popolo non attingeva acqua e il pozzo (cisterna) si inaridiva; i cieli non erano più puliti. Molti escrementi e molti detriti si radunarono nei cicli sopra Har-Magedon. E là fu visto il primo drago, e un altro, e i draghi erano generati e si moltiplicavano nei detriti e negli escrementi, fino a quando i cieli non furono oscurati dalle loro ali e rimbombarono del loro tuono. Un freddo raggelante discese sopra la terra e ci fu ghiaccio sopra i fiumi e i torrenti. Le tribù erano esigue (spopolate) e affamate; le tribù combattevano tra di loro per conquistare il cibo, e venne il tempo in cui l’ospitalità non fu più onorata nel paese, e parenti e viaggiatori furono scacciati o gettati nel deserto per essere di pasto agli sciacalli. I messaggeri (?) si fermarono e non ci fu più traffico tra le tribù e le città delle tribù, e le strade furono ricoperte di sterpi e d’erba.

I giovani persero la fede dei loro padri e costruirono una muraglia intorno alla tribù, e poi un’altra e un’altra ancora, fino a quando le muraglie non furono cento e cento ancora di numero, e ogni casa fu divisa e isolata dalla casa del vicino, e le famiglie furono divise tra di loro. I giovani fecero costruire delle grandi muraglie e non ci fu traffico tra un luogo e l’altro; le città caddero in miseria e si fecero guerra, e il sole non fu più quieto.

Una pestilenza discese dai detriti della Creazione accumulatasi sopra Har-Magedon, escrementi dei draghi che coprirono la terra come una nebbia viscida prima dell’alba. La pestilenza era un’orribile malattia dell’occhio, del naso, della gola, della testa, del cuore e dell’anima di un uomo, e la pelle di quest’uomo cadeva; la pestilenza dava agli uomini una somiglianza con le quattro bestie, e gli uomini erano orrendi e disgustosi nella loro infelicità, e i loro fratelli fuggivano davanti a loro in preda al terrore.

E con questo la voce di Michea gridò, dicendo che era giunta la fine dei giorni; e la voce di Eliseo gridò, dicendo che era giunta la fine dei giorni; e lo spirito e il fantasma di Ezechiele gridò, e fu visto entro le mura della città, e fu udito nelle sue lamentazioni versare lacrime amare, perché era giunta la fine dei giorni.

E così fu.

(La riga seguente del testo era composta da una sola parola, un’espressione aramaica clic indicava oscurità, o tempo, o generazione. Poteva venire tradotta come “Interregno”.)

L’uomo che era due uomini si alzò dal suo letto (tomba?) nel mondo sotterraneo (regno dei morti? regno degli Inferi?), e ciò che vide nella terra gli riempì il cuore di collera. Egli ruppe la terra del Tempio (emerse dalla tomba sotto il Tempio? O all’interno?) e si fece avanti in preda ad altissimo sdegno, per bandire i draghi dalla montagna. Egli alzò la sua verga e colpi le muraglie, dicendo alle famiglie di andare libere e di vivere; diede cibo e conforto al viaggiatore e lo ammaestrò, e guidò la sua mano fino alla tenda e fece tornare l’ospitalità sulla terra; egli disse ai suoi parenti di entrare nella sua (stanza? casa?) e di riposare; si mise al lavoro senza fermarsi per porre fine alla triste miseria che aveva invaso la terra.

E quando il sole fu di nuovo quieto, l’uomo che era due uomini lavorò per riempire il pozzo (cisterna) e ripulì i cieli dagli escrementi e dai detriti. I draghi fuggirono dai loro sudici nidi, e la pestilenza fuggì con loro in un’altra parte del mondo. L’uomo sollevò lo sguardo verso il Tempio ed ecco, egli vide una grande, accecante luce gialla riempire i cieli da un bordo all’altro del mondo: e quella luce gialla accecante era un segno e una promessa dei santi profeti a colui che aveva lavorato, e quella promessa diceva che il mondo era ritornato nuovo, e che era in pace e più nulla lo turbava. I fiori sbocciavano ovunque e i vigneti si curvavano per il peso dei grappoli e frutti deliziosi apparivano ovunque. Il sole era quieto.

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