— Non ha importanza — disse Toller accarezzando i capelli di Gesalla che si stava chinando a lenire il fuoco che gli bruciava il fianco.
— Conoscevate mio fratello, e quello che era? — Sì.
— Molto bene. Dimenticatevi di me. È mio fratello che vive nel mio corpo, ed è lui che parla con la mia voce… — Toller gli disse tutto, lottando tra conati di vomito e accessi di debolezza, dipingendo con fervore il quadro incredibile del tormentato triangolo tra specie umana, brakka e ptertha. Descrisse il rapporto simbiotico tra gli alberi e i globi, ricorrendo all’ispirazione e all’immaginazione quando gli veniva meno una conoscenza reale.
Come in tutti i casi di vera simbiosi, entrambi i partiti traevano vantaggio da quell’associazione. I ptertha si riproducevano negli alti strati dell’atmosfera, nutrendosi con ogni probabilità di minute tracce di pikonio e alvelio, o di gas migligno, o di polline di brakka, o magari di una qualche combinazione di tutto quanto. In cambio i ptertha scovavano tutti gli organismi che minacciavano il benessere dei brakka. Con le forze cieche della mutazione casuale, modificavano la loro struttura interna fino a che si imbattevano in una tossina efficace. A quel punto, e su quella base, si dedicavano a perfezionare un’arma capace di distruggere quella che per loro era una minaccia, per cancellare tutto quanto, dal loro punto di vista, non meritava di esistere.
La strada che si apriva al genere umano su Sopramondo imponeva di trattare i brakka con il dovuto rispetto. Gli immigrati, pena una nuova tragedia, dovevano utilizzare solo gli alberi morti per trarre materiali e cristalli, e se ne volevano di più dovevano arrangiarsi a sviluppare dei sostituti o a modificare di conseguenza il loro modo di vivere.
In caso contrario, la storia dell’umanità su Mondo si sarebbe inevitabilmente ripetuta su Sopramondo…
— Ammetto di essere impressionato — disse Chakkel quando Toller ebbe finalmente finito di parlare. — Non c’è alcuna prova che quanto dite sia vero, ma è degno di seria considerazione. Fortunatamente per la nostra generazione che ha già vissuto la sua parte di sofferenze, non c’è alcun bisogno di prendere una decisione affrettata. Abbiamo abbastanza di che preoccuparci, nel frattempo.
Non ditelo nemmeno — l’aggredì Toller. — Siete voi quello che comanda… siete voi che avete l’opportunità… la responsabilità unica… — Sospirò e smise di parlare, cedendo ad una stanchezza che gli sembrava offuscare anche il cielo.
— Conservate le vostre forze per un’altra volta — disse gentilmente Chakkel. — Dovrei lasciarvi riposare adesso, ma prima di andarmene mi piacerebbe sapere un’altra cosa. Tra voi e Leddravohr c’è stato un bel duello?
— Era quasi bello… fino a che non ha distrutto la mia spada con fanghiglia per brakka.
— Ma avete avuto ugualmente la meglio.
— Era già scritto — disse Toller con il misticismo che può derivare da una malattia o da una stanchezza totale. — Era destino che prevalessi su di lui.
— Forse lui lo sapeva. Toller obbligò i suoi occhi a rimanere fissi sulla faccia di Chakkel. — Non so cosa voi…
— Mi chiedo se Leddravohr avesse veramente interesse per tutto questo, per il nostro nuovo inizio da pionieri coraggiosi — disse Chakkel. — Mi domando se non vi abbia inseguito, da solo, perché aveva scoperto che voi eravate la sua Strada Luminosa.
— Forse — sussurrò Toller, — ma non è molto importante per me.
— Avete bisogno di riposare. Chakkel si alzò e si rivolse a Gesalla. — Badate a quest’uomo, per il mio bene quanto per il vostro; ho del lavoro per lui. Penso che sarà meglio non muoverlo per qualche giorno ancora, ma sembrate abbastanza ben messi qui. Avete bisogno di provviste?
— Ci farebbe comodo avere più acqua fresca, Maestà — disse Gesalla. — A parte questo, abbiamo tutto quello che ci serve.
— Sì. — Chakkel la fissò per un attimo. — Prenderò il vostro blucorno, perché ne abbiamo sette in tutto e bisogna iniziare la riproduzione quanto prima possibile, ma metterò delle guardie nelle vicinanze. Chiamatele quando siete pronti ad andar via. Va bene?
— Sì, Maestà, siamo in debito.
— Ho fiducia che il vostro paziente si ricorderà di tutto questo quando si sarà ristabilito. — Chakkel si voltò e raggiunse i soldati che lo aspettavano, muovendosi con l’inconfondibile sicurezza di chi risponde alla chiamata del proprio destino.
Più tardi, quando tornò il silenzio sulle pendici della collina, Toller si svegliò e guardò Gesalla che riordinava e metteva a posto la sua raccolta di foglie e di fiori. Li aveva sparpagliati per terra davanti a lei, e ora, pensosa, muoveva silenziosamente le labbra disponendo ciascuna specie in un suo ordine arbitrario. Alla sue spalle sfolgorava, quasi insostenibile, la luce, vivida e pura di Sopramondo.
Toller si tirò su cautamente. Gettò uno sguardo al mucchio di frammenti sul retro della caverna, poi voltò in fretta la testa per non rischiare di vedere luccicare la solita lanterna. Solo quando avesse smesso di splendere del tutto avrebbe saputo per certo che la febbre l’aveva completamente abbandonatole fino a quel momento non desiderava affatto che gli si ricordasse quanto era stato vicino a perdere la vita e tutto ciò che Gesalla rappresentava per lui.
Lei alzò lo sguardo dai suoi strani giochi. — Hai visto qualcosa lì dietro?
— Non c’è niente — rispose lui, accennando un sorriso. — Proprio niente.
— Ma ti ho visto fissare quelle rocce, prima. Qual è il tuo segreto?
Tutta presa, inventando un nuovo gioco solo per lui, Gesalla gli si inginocchiò a fianco per condividere la sua visuale. Quel gesto portò i loro volti molto vicini, e lui vide i suoi occhi spalancarsi per la sorpresa.
— Toller! — La voce di lei era quella di un bambino, tranquilla di meraviglia. — C’è qualcosa che luccica là dentro!
Si alzò in piedi con tutta la velocità di cui il suo corpo leggero era capace e corse in fondo alla caverna.
Paralizzato da uno strano timore, Toller tentò di gridare un avvertimento, ma la sua gola era secca e non riusciva a emettere alcun suono. E Gesalla stava già togliendo le pietre più esterne. Poteva solo guardare muto mentre lei scavava nel cumulo, sollevava qualcosa di pesante e lo portava fuori, alla luce, all’ingresso della caverna.
Si inginocchiò accanto a lui, posandogli in grembo la sua scoperta. Era una semplice, grossa scaglia di roccia grigio scuro, ma diversa da qualunque altra roccia lui avesse mai visto prima. Tutt’intorno, e all’interno, identica alla pietra e tuttavia completamente diversa, c’era una larga banda di materiale bianco, ma più che bianco, che rifletteva la luce del sole come le acque di un lago lontano nell’alba.
— È bella — sospirò Gesalla. — Ma che cos’è?
— Non… — torcendosi per il dolore Toller raggiunse i suoi abiti, mise una mano in una tasca e ne tirò fuori lo strano oggetto datogli da suo padre. Lo mise vicino alla pietra scintillante di Gesalla, solo per confermare ciò che già sapeva. Identici.
Lei gli tolse la pepita dalle mani e fece scorrere la punta di un dito sulla sua superficie lucida. — Dove lo hai preso?
— Mio padre… il mio vero padre… me lo ha dato a Chamteth proprio prima di morire. Mi ha detto di averlo trovato molto tempo fa. Prima che io nascessi. Nella provincia di Redant.
— Mi sento strana. — Gesalla rabbrividì, e guardò il nebbioso, enigmatico e vigile disco del Vecchio Mondo. — Non è stata la nostra prima migrazione, vero Toller? È già accaduto prima?
— Penso di sì. Forse molte volte. Ma la cosa importante per noi è assicurarsi che mai… — La stanchezza l’obbligò a lasciare la frase in sospeso.
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