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Bob Shaw: Sfida al cielo

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Bob Shaw Sfida al cielo

Sfida al cielo: краткое содержание, описание и аннотация

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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Era davvero l’odore acre del cibo rigurgitato, o era qualcos’altro? Qualcosa di vagamente familiare, che gli dava una sensazione di morte?

“Non perder tempo a pensarci”, si disse. “Leddravohr sta facendo troppa scena. Significa che non ti sta trascinando in una trappola, vuol dire che l’ha già fatta scattare!”.

— Bene, credo che non avrò più bisogno di questo — annunciò il principe. Afferrò la guaina di pelle alla base della sua spada, la sfilò e la lasciò cadere per terra. I suoi occhi erano fissi su Toller, divertiti ed enigmatici.

Toller guardò attentamente la guaina, due strati di pelle con una lacerazione su quello esterno, più leggero. Intorno ai labbri dello strappo c’erano tracce luccicanti di fanghiglia gialla.

Toller guardò la sua spada, riconoscendo finalmente quell’odore putrido: felce bianca. Vide macchie giallastre sulla parte più larga, vicino all’impugnatura, e il legno nero della lama che stava già coprendosi di bolle mentre si dissolveva sotto l’attacco della fanghiglia anti-brakka, lasciata dalla guaina di Leddravohr quando le due spade si erano incrociate all’elsa.

“Accetto la morte”, decise Toller, lasciandosi riprendere dal ritmo ormai frenetico dello scontro, mentre Leddravohr sfrecciava verso di lui, “a patto di non fare il viaggio da solo”.

Alzò la testa e tenne la spada puntata. Il principe scansò la lama e con un colpo la fece saltar via all’altezza del guardamano mandandola a rotolare di lato, e nello stesso movimento roteò la sua spada dirigendola con forza contro il fianco di Toller.

Lui non solo non schivò il colpo, ma vi si gettò contro come fosse stato la massima ambizione della sua vita. Rantolò quando la spada gli si conficcò nel corpo, ma la lasciò penetrare finché Leddravohr non fu a portata di mano. Allora afferrò il coltello da lancio, ancora infilzato nella sua mano e lo guidò in avanti, nello stomaco di Leddravohr, girando la punta. Sul dorso della sua mano sgorgò un fiotto caldo di sangue.

Leddravohr ringhiò e spinse Toller lontano da lui, ritirando la lama dal suo corpo. Lo fissò per diversi secondi, con la bocca aperta, poi lasciò cadere la spada e crollò in ginocchio. Si buttò in avanti appoggiandosi sulle mani e rimase così, a testa bassa, con gli occhi fermi sulla pozza di sangue che si stava raccogliendo sotto il suo corpo.

Toller liberò la mano dal coltello cercando di non pensare al dolore che si stava infliggendo, poi la tenne stretta nello sforzo di ignorare le pulsazioni brucianti della ferita della spada. Il panorama intorno era in totale subbuglio, con le colline assolate che non facevano che spostarsi, avanti e indietro verso di lui. Gettò via il coltello, si avvicinò a Leddravohr con le gambe tremanti e raccolse la spada. Concentrando tutto quello che rimaneva della sua forza nel suo braccio destro, la sollevò in alto.

Leddravohr non alzò lo sguardo ma mosse un poco la testa, mostrando che era consapevole delle sue intenzioni. — Ti ho ucciso, non è vero, Maraquine? — disse con voce strozzata, soffocata dal sangue. — Dammi almeno questa consolazione.

— Mi dispiace. Mi avete appena graffiato — rispose Toller calando come una mannaia la lama nera.

— E questo è per mio fratello… principe!

Si allontanò dal cadavere e con difficoltà spostò lo sguardo sulla sagoma quadrata della navicella. Sarebbe sparita via nella brezza, o sarebbe rimasta lì, unico punto fisso in quell’universo di immagini spezzettate ed evanescenti?

Si mosse per raggiungerla, scoprendo preoccupato che si trovava molto lontano… a una distanza molto più grande di quella tra Mondo e Sopramondo.

21

La parete posteriore della grotta era quasi del tutto nascosta da uri mucchio di grossi sassi e frammenti di roccia scivolati giù da un camino naturale nel corso dei secoli. Toller continuava a guardarlo, perché sapeva che gli abitanti di Sopramondo vivevano lì dentro. Non li aveva mai visti, in realtà, e perciò non sapeva se somigliassero a uomini o ad animali, ma era assolutamente convinto della loro presenza perché usavano lanterne.

La luce delle lanterne filtrava dalle fessure del mucchio di pietre, ad intervalli di tempo che non erano in sincronia con l’avvicendarsi del giorno e della notte. Toller amava pensare che gli abitanti di Sopramondo si occupassero delle loro faccende lì dentro, al sicuro nella loro fortezza sassosa, senza nessun interesse per quello che poteva accadere nell’universo circostante.

Nel suo delirio, anche nei momenti in cui si sentiva perfettamente lucido, una piccola lanterna continuava talvolta a brillare nel cuore della catasta. In quei momenti non ne ricavava nessun piacere, anzi, preoccupato per la sua sanità mentale, fissava il punto di luce e gli ordinava di sparire, perché non c’era posto per lui nel mondo razionale. Qualche volta obbediva in fretta, in altre occasioni ci impiegava delle ore, ma comunque lui se ne rallegrava con Gesalla., divenuta per lui un filo vitale che lo teneva unito alla normalità.

— Bene, io penso che tu non sia abbastanza in forze per viaggiare — disse Gesalla con fermezza — quindi non c’è motivo di continuare questa discussione.

— Ma mi sono ripreso quasi completamente — protestò Toller, agitando le braccia per dimostrare la sua affermazione.

— La lingua è la sola parte di te che si sia ripresa, e anche quella sta facendo troppo esercizio. Stai zitto un momento e lasciami continuare il mio lavoro. — Gli voltò la schiena e prese un ramoscello per mescolare la pentola dove stava bollendo le sue fasciature.

Dopo una settimana, le ferite al viso e alla mano non avevano praticamente più bisogno di cure, ma lo squarcio sul fianco continuava a sanguinare. Gesalla lo puliva e gli cambiava le bende ogni poche ore, ad un ritmo che rendeva necessario riutilizzare le magre scorte di tamponi e fasce che lei era riuscita a mettere insieme.

Toller non aveva nessun dubbio che sarebbe morto se non fosse stato per le attenzioni di lei, ma quella gratitudine era velata dalla preoccupazione per la sua sicurezza. Pensava che la confusione, nella zona di atterraggio della flotta doveva essere pari a quella della partenza, ma gli sembrava quasi un miracolo che lui e Gesalla non fossero stati molestati, da allora, e per così tanto tempo. Ogni giorno che passava, con la febbre che diminuiva, il suo senso di pericolo aumentava.

“Ce ne andremo da qui in mattinata, amore mio”, pensò. “Che tu sia d’accordo o no”.

Si sdraiò sul giaciglio di trapunte piegate, cercando di frenare la sua impazienza, e lasciò vagare lo sguardo sul panorama che gli offriva la bocca della caverna. Pendii erbosi, macchiati qua e là di gruppi di alberi sconosciuti, scendevano dolcemente per circa un miglio verso ovest, sino alle sponde di un grande lago dalle acque color indaco luccicanti di gioielli di sole. Le rive a nord e a sud erano coperte di foreste, bande alternate e zigzaganti di un colore che, come su Mondo, era un mosaico di milioni di macchioline di tinte diverse che andavano dal verde tenue al rosso scuro, a indicare alberi in differenti periodi del ciclo di foliazione. A occidente il lago si estendeva fino all’orizzonte, dove si alzavano eterei triangoli blu di montagne lontane, su cui un cielo limpido incorniciava il disco del Vecchio Mondo.

Era una scena che Toller trovava indicibilmente bella, e nei primi giorni, guardandola dall’interno della caverna, era stato incapace di distinguerla con certezza dalle visioni del suo delirio. Di quei giorni aveva ricordi lacunosi e confusi. Gli ci era voluto del tempo per capire che non era riuscito a far fuoco con il cannone, e che Gesalla aveva autonomamente deciso di andare a cercarlo. Lei ne parlava come di un cosa di scarsa importanza, affermando che se avesse vinto Leddravohr sarebbe andato a cercarla. Toller sapeva che non era così.

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