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Bob Shaw: Sfida al cielo

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Bob Shaw Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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C’era sempre Leddravohr.

— Sei preoccupato per le colline? — chiese Gesalla. Si era messa in ginocchio, fuori dalla Visuale di Leddravohr, e teneva una mano pronta sulla leva del bruciatore.

— Possiamo legarla — disse Toller. — Così non avrai bisogno di continuare a tenerla.

— Toller, sei preoccupato per le colline?

— Sì. — Prese un pezzo di corda da un armadietto e fissò in basso la leva. — Se riuscissimo a superare le colline potremmo stancare il suo blucorno. Però non so se riusciremo a raggiungere un altezza sufficiente.

— Non ho paura, sai. — Gesalla gli sfiorò la mano. — Se preferisci scendere e affrontarlo adesso, va bene.

— No, staremo su il più a lungo possibile. Abbiamo da bere e da mangiare, e possiamo risparmiare le nostre forze mentre Leddravohr perde lentamente le sue. — Le rivolse quello che sperava fosse un sorriso rassicurante. — E poi, la piccola notte arriverà presto, e questo è un vantaggio per noi, perché il pallone andrà meglio nell’aria più fresca. Possiamo ancora riuscire a fondare la nostra piccola colonia personale su Sopramondo.

La piccola notte era più lunga che su Mondo, e quando fu passata, la navicella era a circa duecento piedi di quota, il che era più di quanto Toller si fosse aspettato. Le pendici delle colline senza nome scorrevano via sotto la nave, e nessuna delle cime che riusciva a scorgere sembrava abbastanza alta da grattar via la nave dal cielo.

Consultò la mappa che aveva disegnato durante la navigazione.

— C’è un grande lago a circa dieci miglia dopo le colline — disse. — Se riuscissimo a volarci sopra dovremmo poter…

— Toller! Credo di vedere un ptertha! — Gesalla gli afferrò il braccio, puntando un dito verso sud. — Guarda!

Toller mise giù la mappa, alzò il binocolo e scrutò la fetta di cielo che lei gli indicava. Stava per contestare la sua affermazione quando colse un accenno di rotondità, una mezzaluna appena accennata di luce solare che scintillava su qualcosa di trasparente.

— Penso che tu abbia ragione — disse. — E non ha colore. Ecco che cosa voleva dire Lain. Non ha colore perché… — passò il binocolo a Gesalla — puoi vedere qualche albero di brakka?

— Non sapevo che si potesse vedere così bene con il binocolo!

— Gesalla parlava con entusiasmo infantile e sembrava quasi in viaggio di piacere mentre studiava il fianco della collina. — La maggior parte di quegli alberi non somiglia a niente che io abbia già visto, ma mi sembra che ci siano anche dei brakka. Sì, sono sicura. Brakka! Come può essere, Toller?

Pensando che lei cercasse di non pensare a quello che sarebbe inevitabilmente successo, lui rispose: — Lain ha lasciato scritto che brakka e ptertha vanno insieme. Forse le scariche dei brakka sono così potenti da sparare i loro semi in alto… no, è solo il polline, vero? Forse i brakka crescono dappertutto, su Oltremondo come su qualunque altro pianeta.

Lasciando Gesalla alle sue osservazioni con il binocolo, si appoggiò alla ringhiera e riprese a osservare Leddravohr, l’implacabile inseguitore. Per ore il principe era rimasto sprofondato sulla sella, dando l’impressione di essere addormentato, ma ora, come preoccupato che la sua selvaggina potesse sfuggirgli, si era seduto dritto. Non aveva l’elmetto, ma si riparava gli occhi con le mani, guidando il blucorno attraverso gli alberi e le macchie di boscaglia che striavano la china che stava salendo. Lontano, a est, la zona di atterraggio e la fila dei palloni in arrivo si confondevano in un blu sfuocato, ed era come se Gesalla, Toller e Leddravohr avessero l’intero pianeta a loro disposizione.

Sopramondo era una vasta arena assolata, pronta per loro dall’inizio del tempo.

I suoi pensieri furono interrotti da un rumore improvviso, qualcosa che sbatteva su in alto. Il rumore fu seguito da un’ondata di calo re soffiato dalla bocca del pallone, e lui capì che la nave era andata a finire nella corrente d’aria turbolenta di una cresta secondaria. La navicella cominciò bruscamente a ballonzolare e a ondeggiare. Toller guardò la cresta principale, distante duecento iarde circa in linea d’aria. Sapeva che se fossero riusciti a superarla avrebbero avuto tutto il tempo di recuperare, ma proprio guardando la barriera di roccia si rese conto che la loro situazione era senza speranza.

La nave, già così restia a prendere il volo, non si reggeva più nell’aria, e puntava con decisione verso il fianco della collina.

— Aggrappati a qualcosa! — gridò Toller. — Stiamo andando giù!

Liberò la leva di estensione strappando i legacci e spense il bruciatore. Pochi secondi dopo la navicella comincio a strisciare sulla cima degli alberi. I rumori si fecero più forti e la navicella avanzò a strappi, affondando sempre più in mezzo ai rami e ai tronchi. Il pallone che si sgonfiava si lacerò con una serie di scricchiolii e di schiocchi, impigliandosi negli alberi e frenando il movimento laterale della nave. I cavi di carico si allentarono e si staccarono in due punti e la navicella cadde verticalmente poi si ribaltò su un fianco scagliando praticamente fuori i suoi due occupanti in mezzo a una cascata di trapunte e di piccoli oggetti. Incredibilmente, dopo la rovinosa caduta dalla cima degli alberi, Toller si trovò comodamente disteso su un tappeto di muschio. Si voltò e tirò giù Gesalla, che era rimasta aggrappata a un montante, e l’aiutò a sedersi vicino a lui.

— Devi andartene da qui — disse in fretta. — Vai dall’altra parte della collina e trova un posto dove nasconderti.

Gesalla gli buttò le braccia al collo. — Voglio rimanere con te, potrei aiutarti.

— Credimi, non mi saresti di nessun aiuto. Se il nostro bambino sta crescendo dentro di te, devi dargli l’opportunità di vivere. Se Leddravohr mi uccide forse non ti inseguirà, soprattutto se è ferito.

— Ma… — Gesalla spalancò gli occhi quando vide sbucare il blucorno del principe ad una certa distanza — ma non saprò cos’è successo.

— Se vinco sparerò un colpo di cannone — la fece girare e la allontanò con tale forza che lei fu costretta a mettersi a correre per non perdere l’equilibrio. — Torna solo se senti il cannone.

Toller la seguì con gli occhi finché non fu scomparsa nel manto di alberi. Aveva sguainato la spada e si stava guardando intorno in cerca di uno spazio aperto per combattere, quando si rese conto che i suoi schemi di comportamento erano talmente radicati da fargli vedere lo scontro con Leddravohr come un duello formale.

“Come puoi pensare una cosa simile quando sono in gioco altre vite?”, si rimproverò, colpito dalla propria vanità. “Cosa c’entra l’onore con il semplice compito di estirpare un cancro?” Guardò la navicella che dondolava lentamente, cercò di capire in che modo Leddravohr si sarebbe avvicinato, e si diresse a un riparo formato da tre alberi che crescevano tanto vicini da sembrare usciti dalla stessa radice. La stessa eccitazione che aveva provato altre volte, vergognosamente e inspiegabilmente sessuale, cominciò a impadronirsi di lui.

Calmò il suo respiro, mise da parte tutte le emozioni e cercò di ragionare: “Leddravohr era qui vicino un minuto fa, quindi perché finora non l’ho visto?”

Conoscendo già la risposta,, voltò la testa e lo vide a circa dieci passi di distanza.

Il principe aveva appena lanciato il suo coltello. La velocità e la distanza impedirono a Toller di schivarlo o di farsi da parte. Poté solo sollevare la mano sinistra e parare il coltello con il palmo. La lama nera si conficcò tra le ossa in tutta la sua lunghezza con tanta forza che la mano fu spinta all’indietro e la punta del coltello gli lacerò la pelle proprio sotto l’occhio sinistro.

L’istinto naturale sarebbe stato di guardarsi la mano ferita, ma Toller l’ignorò e si mise in posizione di guardia con la spada giusto in tempo per affrontare Leddravohr, che dopo il lancio era partito di corsa all’attacco.

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