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Bob Shaw: Sfida al cielo

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Bob Shaw Sfida al cielo

Sfida al cielo: краткое содержание, описание и аннотация

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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Era lui il solo a sapere che i suoi motivi erano eminentemente pratici.

— Attacchiamo subito il villaggio Gethano? — Chravell, il più alto dei tenenti, rimise la spada nel fodero. — È a poco più di un miglio verso nord-est, e loro probabilmente hanno sentito il fuoco del cannone.

Leddravohr considerò la questione. — Quanti adulti ci sono ancora nel villaggio?

— Praticamente nessuno, secondo gli esploratori. Sono venuti tutti qui a vedere lo spettacolo. — Chravell diede una breve occhiata in alto agli anonimi brandelli di carne e ossa che penzolavano dalla cima dell’albero sacrificale.

— In questo caso il villaggio ha cessato di essere una minaccia militare ed è diventato un bene economico. Datemi una mappa. Leddravohr prese il foglio che gli porgevano e si appoggiò su un ginocchio per aprirlo sul terreno. La mappa era stata disegnata poco tempo prima da un gruppo di rilevazione aerea e metteva in risalto gli aspetti locali che interessavano ai comandanti Kolcorriani, misura e ubicazione degli insediamenti. Gethani, topografia, fiumi, e, cosa fondamentale dal punto di vista strategico, la distribuzione dei brakka nelle varie fasce boschive. Leddravohr la studiò con attenzione, poi delineò i suoi piani.

Circa venti miglia dopo il villaggio c’era una comunità molto più grande, codificata G31, capace di mettere in campo, secondo la stima, circa trecento uomini abili. Il terreno in mezzo sembrava a dir poco difficile. Era densamente boscoso, intersecato da ripide catene di monti, crepacci e torrenti a regime vorticoso; tutte cose che contribuivano a farne un incubo per i soldati Kolcorriani, tendenzialmente portati alla guerra in pianura.

— I selvaggi devono venire da noi — annunciò Leddravohr. — Una marcia forzata attraverso quel tipo di terreno stancherebbe qualunque uomo, quindi prima arriveranno meglio sarà per noi. Devo dedurre che questo per loro è un posto sacro?

— Il santo dei santi — rispose Railo. — È molto raro trovare nove brakka così vicini.

— Bene! La prima cosa che faremo sarà di buttare giù gli alberi. Date ordine alle sentinelle che lascino che qualche abitante del villaggio si avvicini abbastanza da vedere cosa sta succedendo, polli lascino andare via di nuovo. E appena prima che scenda la piccola notte mandate un distaccamento a bruciare il villaggio, giusto per far capire il messaggio. Se saremo fortunati i selvaggi saranno così esausti, quando arriveranno qui, che avranno appena la forza sufficiente per continuare a correre verso le nostre spade.

Leddravohr concluse la sua esposizione verbale, deliberatamente semplicistica, ridendo e lanciando di nuovo la mappa a Chravell. Era sua opinione che i Gethani di G31, anche se indotti a una difesa affrettata, sarebbero stati ossi più duri degli abitanti del villaggio della pianura. La battaglia futura, oltre a servire da esperienza ai tre giovani ufficiali, avrebbe dimostrato ancora una volta che a quarantanni lui era un soldato migliore di altri che ne avevano la metà. Si alzò respirando profondamente e con piacere, impaziente di vedere il resto di un giorno cominciato bene.

Nonostante lo stato d’animo rilassato, l’abitudine radicata lo spinse a controllare il cielo. Non si vedeva nessun ptertha, ma lui si allarmò per una traccia di movimento che indovinò in una di quelle fette verticali d’azzurro delineate dagli alberi, verso occidente. Tirò fuori il suo binocolo da campo, lo puntò sul più vicino squarcio di luce e subito dopo colse il fugace bagliore di un’aeronave che volava a bassa quota.

Si stava evidentemente dirigendo verso il centro di comando, a circa cinque miglia, nella zona occidentale della penisola. Il vascello era troppo lontano perché Leddravohr ne fosse certo, ma gli sembrava di aver visto l’emblema della piuma e della spada sul fianco. Corrugò la fronte, cercando di immaginare quale circostanza stesse portando uno dei messaggeri di suo padre in una regione così remota.

— Gli uomini sono pronti per la colazione — disse Nothnalp, togliendosi l’elmetto dal pennacchio arancione per potersi asciugare il sudore dal collo. — Due fette extra di maiale salato non farebbero male, anche con questo caldo.

Leddravohr annuì. — Suppongo che se lo siano meritati.

— Vorrebbero anche cominciare con le donne.

Non finché non metteremo al sicuro la zona. Assicuratevi che sia ben pattugliata, e fate avanzare immediatamente i fanghisti; voglio quegli alberi a terra, e in fretta. — Leddravohr si allontanò dai tenenti e cominciò un giro d’ispezione nella radura. Il rumore predominante era adesso quello delle donne Gethane che gridavano insulti nella loro barbara lingua, ma i fuochi delle cucine stavano cominciando a scoppiettare e si poteva distinguere la voce di Railo che gridava ordini ai capi plotone pronti per uscire di pattuglia.

Vicino alla base di uno dei brakka c’era una bassa piattaforma di legno, imbrattata di verde e giallo con i pigmenti opachi usati dai Gethani. Sulla piattaforma il corpo nudo di un uomo dalla barba bianca, giaceva con il busto coperto di numerose ferite di pugnale. Leddravohr immaginò che il morto fosse il sacerdote che aveva diretto la cerimonia del sacrificio, e la sua supposizione fu confermata quando notò il sergente maggiore Reeff e un soldato semplice che parlavano vicino alla rudimentale impalcatura. Le voci dei due uomini non si sentivano, ma stavano discutendo con la peculiare foga che i soldati riservavano all’argomento denaro, e Leddravohr comprese che stavano per giungere a un accordo. Aprì le cinghie della corazza e si sedette su un ceppo, aspettando di godersi le astuzie che avrebbe inventato Reeff. Un momento dopo il sergente maggiore mise il braccio intorno alle spalle dell’altro e lo guidò fino a lui.

— Questo è Soo Eggezo — disse Reeff. — Un buon soldato. È quello che ha fatto tacere il sacerdote.

— Buon lavoro, Eggezo.

Leddravohr diede uno sguardo gentile al giovane soldato, che evidentemente intimidito dalla sua presenza sembrava avere la lingua legata e non diede nessuna risposta. C’era un silenzio impacciato.

— Signore, avete generosamente offerto una ricompensa di dieci nobili per il sacerdote. — La voce di Reeff assunse una sincerità rauca. — Eggezo mantiene suo padre e sua madre a Ro-Atabri. Del denaro in più significherebbe moltissimo per loro.

— Certamente. — fece Leddravohr aprendo la borsa. Tirò fuori una banconota da dieci nobili e la porse a Eggezo. Aspettò finché le dita del soldato si furono quasi chiuse sul rettangolo blu di tessuto di vetro poi lo rimise in fretta dentro la borsa. Eggezo lanciò al sergente un’occhiata di disagio.

Ripensandoci — disse Leddravohr — questi potrebbero essere più… adatti. — Sostituì la prima banconota con due biglietti verdi da cinque nobili e li porse a Eggezo. Fece finta di non interessarsi a loro mentre i due uomini ringraziavano e correvano via. Avevano percorso a malapena venti passi prima di fermarsi per un’altra conversazione sussurrata, e quando si separarono Reeff stava piegando qualcosa in tasca. Leddravohr sorrise, decidendo di ricordarsi il nome di Reeff per la prossima occasione. Il sergente era il tipo di uomo di cui si sarebbe potuto occasionalmente servire: avido, stupido e del tutto prevedibile. Pochi secondi dopo il suo interesse per Reeff fu cancellato dai suoi pensieri da un grido di allegra protesta proveniente da molte gole Kolcorriane, che gli diceva che erano arrivati i fanghisti pronti a darsi da fare con i brakka.

Leddravohr si alzò in piedi, ansioso come chiunque di evitare di mettersi sottovento rispetto ai fanghisti, e guardò i quattro uomini seminudi sbucare dalla foresta circostante. Portavano grandi zucche vuote appese a gioghi imbottiti ed erano carichi di vanghe e altri attrezzi da scavo. I loro corpi erano striati dalla fanghiglia corrosiva che costituiva lo strumento essenziale del loro lavoro. Ogni loro manufatto era di vetro, pietra o ceramica, perché la fanghiglia avrebbe divorato in fretta tutti gli altri materiali, specialmente il legno di brakka. Anche i loro abiti erano in tessuto di vetro morbido.

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