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Bob Shaw: Sfida al cielo

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Bob Shaw Sfida al cielo

Sfida al cielo: краткое содержание, описание и аннотация

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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— Sì, signore. Grazie, signore. — Lague cercò di buttarsi ai piedi di Hlawnvert, ma l’uomo al suo fianco lo tirò su con uno strattone. — Non c’è niente di cui preoccuparsi, signore. Non ho preso la polvere.

A un ordine del tenente i due uomini lo liberarono e Lague camminò lentamente all’indietro per rientrare nei ranghi. La fila si aprì per fargli spazio, lasciando un vuoto più grande del necessario, creando una tangibile barriera. Toller immaginò che l’aviere avrebbe trovato ben poca comprensione nei successivi due giorni, che erano il tempo necessario perché i primi effetti del veleno dei ptertha diventassero visibili.

Il capitano Hlawnvert salutò il tenente, lasciandogli il compito di terminare l’ispezione, e risalì il pendio verso Sisstt e Toller. Chiazze di colore trasparivano fra i riccioli della sua barba e le macchie di sudore sulla giubba erano diventate più grandi. Guardò su, verso l’alta volta del cielo, dove il margine orientale di Sopramondo aveva cominciato a illuminarsi mentre il sole si muoveva alle sue spalle, e fece un gesto impaziente come ordinando al sole di sparire più in fretta.

— C’è troppo caldo per questo tipo di seccature — ringhiò. — Ho una lunga strada da percorrere e l’equipaggio sarà praticamente inutilizzabile finché quel codardo piagnucoloso non sarà buttato fuori bordo. Bisognerà cambiare i regolamenti di servizio se queste nuove voci non saranno smentite al più presto.

— Ah… — Sisstt si sforzava di tenersi eretto, lottando per riguadagnare la sua compostezza. — Nuove voci, capitano?

— Si dice che alcuni soldati semplici, giù a Sorka, siano morti dopo aver toccato vittime dei ptertha.

— Ma la pterthacosi non è contagiosa.

— Questo lo so — disse Hlawnvert. — Solo un cretino senza spina dorsale ci penserebbe due volte, ma questo è quello che troviamo per gli equipaggi aerei, oggigiorno. Pouksale era uno dei miei pochi uomini affidabili e l’ho perso per quella vostra dannata nebbia.

Toller, che stava osservando un piccolo corteo funebre che raccoglieva i resti di Pouksale, sentì di nuovo un senso di fastidio per la ripetizione dell’accusa e per il servilismo del suo capo.— Non dovete continuare a incolpare la nostra nebbia, capitano — disse dando a Sisstt uno sguardo significativo. — Non c’è nessuno qui che abbia l’autorità di discutere i fatti.

Hlawnvert lo attaccò immediatamente. — Cosa volete dire con questo?

Toller fece un lento, amichevole sorriso. — Voglio dire che tutti noi abbiamo un quadro ben chiaro di quello che è successo.

— Qual è il vostro nome, soldato?

— Toller Maraquine. E non sono un soldato.

— Non siete un… — Lo sguardo d’ira di Hlawnvert lasciò il posto ad un altro di malizioso divertimento.— Cos’è questa storia? Cosa succede qui?

Toller rimase impassibile mentre lo sguardo del capitano assimilava i particolari anomali del suo aspetto: i capelli lunghi e gli abiti grigi da filosofo combinati con l’altezza e la muscolatura tipiche di un guerriero. Anche già il portare una spada lo distingueva dal resto della sua casta. Solo la mancanza di cicatrici e dei tatuaggi di campagne militari lo differenziava nell’aspetto fisico da un membro di sangue puro dell’ordine militare.

Lui studiò Hlawnvert a sua volta, e la sua antipatia crebbe mentre seguiva il processo mentale così chiaramente rispecchiato dal viso florido del capitano. Hlawnvert non era stato capace di mascherare la sua ansia per una possibile accusa di negligenza, ed ora si sentiva sollevato ritenendosi abbastanza al sicuro. Qualche vaga allusione alla sua carriera di sfidante era tutta la difesa di cui aveva bisogno nella rigida gerarchia a piramide di Kolcorron. Le sue labbra si contrassero mentre faceva una scelta nel repertorio di sarcasmi a sua disposizione.

“Vai avanti” pensò Toller, proiettando il messaggio silenzioso con tutta la forza del suo essere. “Dì le parole che metteranno fine alla tua vita”.

Hlawnvert esitò, come intuendo il pericolo, e di nuovo il filo dei suoi pensieri fu chiaramente leggibile. Voleva umiliare e screditare il villano di dubbia origine che aveva osato criticarlo, ma non se questo comportava un serio rischio. E chiamare aiuto sarebbe servito solo a fare di una sciocchezza un incidente molto più grave, che avrebbe sottolineato proprio la magagna che lui voleva nascondere. Alla fine, decisa la tattica da adottare, uscì in un sogghigno forzato.

— Se non siete un soldato dovreste fare attenzione a portare quella spada — disse giovialmente. — Potreste sedervici sopra e farvi male.

Toller si rifiutò di facilitargli le cose. — La spada non è un pericolo, per me.

— Mi ricorderò il vostro nome, Maraquine — disse Hlawnvert a voce bassa. In quel momento l’addetto a scandire il tempo della stazione suonò il corno che segnava l’inizio della piccola notte, modulando la doppia nota che veniva usata in caso di alta attività dei ptertha. Ci fu un fuggi-fuggi generale tra gli addetti al pikonio verso la sicurezza delle costruzioni. Hlawnvert si allontanò da Toller, mise un braccio intorno alle spalle di Sisstt e lo condusse in direzione dell’aeronave.

— Venite a bere qualcosa nella mia cabina — disse. — Troverete piacevole e comodo stare lì dentro con il portello chiuso e potrete ricevere in privato gli ordini di Lord Glo.

Toller si strinse nelle spalle e scosse la testa mentre i due uomini si allontanavano. L’eccessiva familiarità del capitano era già di per sé una violazione del codice di comportamento, e la sua sfacciata ipocrisia nell’abbracciare un uomo che aveva appena buttato a terra era a dir poco un insulto. Accordò a Sisstt lo status di un cane, che acconsentiva ad essere frustato e coccolato secondo il capriccio del suo padrone. Ma il capo della stazione, fedele ai suoi colori, sembrava non farci caso. Un’improvvisa risata di Hlawnvert simile a un barrito fece capire che Sisstt aveva già cominciato con le sue battute scherzose, gettando le basi per la versione dell’incontro che poi avrebbe fatto circolare tra il personale, aspettandosi di essere creduto. “Al capitano piace che la gente pensi che è un vero orco, ma quando lo conoscerete bene quanto lo conosco io…”

Di nuovo Toller si ritrovò a chiedersi quale fosse la natura della missione di Hlawnvert. Quali nuovi ordini potevano essere tanto urgenti e importanti da indurre Lord Glo a inviare un corriere speciale invece di servirsi del trasporto normale? Stava forse per succedere qualcosa che avrebbe rotto la noia mortale della vita nella remota stazione? O era sperare troppo?

Mentre da occidente scendeva l’oscurità, Toller guardò su verso il cielo e vide un ultimo violento guizzo di sole svanire dietro l’incombente immensità di Sopramondo. Mentre la luce diminuiva bruscamente, le zone del cielo senza nubi si riempirono di stelle, comete e spirali dal nebuloso splendore. La piccola notte stava cominciando, e sotto il suo manto i globi silenziosi dei ptertha avrebbero presto lasciato le nuvole per spostarsi lentamente in basso, fino a livello del terreno, alla ricerca della loro preda naturale.

Guardandosi intorno, Toller si accorse di essere l’unico ancora all’aperto. Tutto il personale della base si era ritirato all’interno della stazione e l’equipaggio dell’aeronave era al sicuro sottocoperta. Poteva essere tacciato di incoscienza perché si attardava fuori così a lungo, ma era una cosa che faceva piuttosto spesso. Il flirtare con il pericolo aggiungeva sapore alla sua monotona esistenza ed era un modo di dimostrare la sostanziale differenza tra lui e un tipico membro di una famiglia di filosofi. Anche stavolta la sua andatura era più lenta e indifferente che mai mentre percorreva il dolce declivio che portava alla costruzione dei sovrintendenti. Era possibile che lo stessero tenendo d’occhio, e il suo codice personale gli dettava che più grande era il rischio di essere assalito da un ptertha meno impaurito sarebbe dovuto sembrare. Quando raggiunse la porta si fermò ancora un attimo, nonostante la sensazione di lento movimento alle sue spalle, poi sollevò il chiavistello ed entrò.

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