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Bob Shaw: Sfida al cielo

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Bob Shaw Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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Dietro di lui, dominando il cielo a sud, le nove stelle dell’Albero si alzarono sull’orizzonte.

2

Il principe Leddravohr Neldeever si stava abbandonando all’unico passatempo che poteva farlo sentire di nuovo giovane.

Come figlio maggiore del Re, e come capo di tutte le forze militari di Kolcorron, ci si aspettava che si dedicasse principalmente a questioni di politica e di pura strategia militare. Nelle battaglie campali, il suo posto era nelle retrovie, in una postazione di comando estremamente protetta dalla quale poteva dirigere le operazioni restando al sicuro. Ma aveva poca o nessuna propensione a tirarsi indietro e a nominare delegati, nella cui competenza comunque raramente aveva fiducia, per godersi il vero e proprio lavoro di fare il soldato. Praticamente ogni fante e ogni ufficiale inferiore aveva una storia da osteria che raccontava come il principe fosse improvvisamente apparso al suo fianco nel mezzo della battaglia e lo avesse aiutato ad aprirsi la strada verso la salvezza. E Leddravohr incoraggiava il fiorire delle leggende, nell’interesse della disciplina e del morale.

Stava dirigendo l’offensiva della Terza Armata all’interno della Penisola di Loongl, al confine orientale dei possessi Kolcorriani, quando era giunta voce di una forte e inaspettata resistenza in una regione collinare. Le notizie supplementari sull’abbondanza degli alberi di brakka nella zona erano state sufficienti ad attirare Leddravohr in prima linea. Aveva sostituito la sua bianca corazza regale con una fatta di pelle bollita, e si era messo personalmente al comando di parte della spedizione.

Era appena sorta l’alba quando, accompagnato da un sergente maggiore di una certa esperienza di nome Reeff, si fece strada attraverso una bassa foresta verso l’orlo di una radura. Così ad oriente l’antigiorno era molto più lungo del dopogiorno, e Leddravohr sapeva di avere davanti molte ore di luce per organizzare un attacco ed effettuare successivamente un’operazione di raccolta completa. Era una sensazione piacevole sapere che altri nemici di Kolcorron sarebbero presto caduti a sguazzare nel sangue sotto la sua spada. Aprì cautamente l’ultimo schermo di foglie e studiò quello che stava accadendo davanti a lui.

Una zona circolare di circa quattrocento iarde di diametro era stata completamente ripulita della vegetazione tranne che per un boschetto di brakka al centro. Un centinaio di uomini e donne di una tribù Gethana erano raggruppati intorno agli alberi, e la loro attenzione era concentrata su qualcosa che stava in cima a dei sottili tronchi dritti. Leddravohr contò gli alberi e scoprì che erano nove, un numero che aveva legami magici e religiosi con la costellazione dell’Albero.

Alzò il binocolo da campo e vide, come si era aspettato, che il qualcosa sull’albero era una donna nuda. Era piegata in due intorno alla cima del tronco, lo stomaco premuto sull’orifizio centrale, ed era saldamente immobilizzata al suo posto da robuste corde ai polsi e alle caviglie.

— I selvaggi stanno facendo uno dei loro stupidi sacrifici — sussurrò Leddravohr, passando il suo binocolo a Reeff.

Il sergente osservò la scena per un buon minuto prima di restituire il binocolo. — I miei uomini potrebbero adibire la puttana a un uso migliore — disse, — ma questo ci rende la cosa più facile.

Indicò il sottile tubo di vetro assicurato alla sua cintura. Dentro c’era un pezzo di germoglio di canna segnato con un pigmento bianco a intervalli regolari. Uno scarafaggio da passo stava divorando il germoglio da una estremità, muovendosi con il ritmo costante tipico della sua razza.

— È oltre la quinta tacca — disse Reeff. — Le altre coorti saranno in posizione ormai. Dovremmo attaccare mentre i selvaggi sono distratti.

— Non ancora. — Leddravohr continuò a osservare i membri della tribù con il binocolo. — Vedo due guardie ancora rivolte all’esterno. Questa gente sta diventando un po’ più agguerrita, e non dimenticare che hanno copiato l’idea di un cannone da qualche parte. Se non li prendiamo completamente di sorpresa avranno il tempo di spararci addosso. Non so tu, ma io non voglio fare colazione con una roccia volante. La trovo piuttosto indigesta.

Reeff sorrise apprezzando la battuta. — Aspetteremo finché l’albero non scoppia.

— Non ci vorrà molto. Le foglie in alto si stanno già accartocciando. — Leddravohr guardò con interesse la prima delle quattro coppie di foglie gigantesche che si innalzava dalla normale posizione orizzontale e si arrotolava intorno al tronco. Il fenomeno succedeva circa due volte l’anno per tutto il periodo di maturità di un brakka allo stato selvatico, ma lui, come nativo di Kolcorron, l’aveva visto raramente. Nel suo Paese, permettere che un brakka si scaricasse da solo era considerato uno spreco di cristalli di energia.

Ci fu una breve pausa dopo che le foglie della cima si furono chiuse, poi il secondo paio tremò e oscillò lentamente verso l’alto. Leddravohr sapeva che sotto, nel terreno, la sezione che divideva la camera di combustione dell’albero stava cominciando a dissolversi. Presto i verdi cristalli di pikonio estratti dal suolo dal sistema di radici superiori si sarebbero mescolati con quelli di alvelio purpureo raccolto dal sistema inferiore. Il calore e il gas così generati sarebbero rimasti stabili solo per poco, poi l’albero avrebbe scagliato il suo polline nel cielo con un’esplosione udibile nel raggio di molte miglia.

Prono sul letto di morbida vegetazione, Leddravohr sentì un calore pulsante all’inguine e si accorse che si stava eccitando sessualmente. Puntò il binocolo sulla donna legata in cima all’albero, cercando di cogliere qualche dettaglio del seno o delle natiche. Fino a quel momento era rimasta così immobile che lui aveva pensato che fosse incosciente, forse drogata, ma il movimento delle enormi foglie sotto di lei sembrava averle ricordato che la sua vita stava per finire.Sebbene le corde fossero strette troppo saldamente per permetterle qualunque reale tentativo di lotta, aveva cominciato a ruotare la testa da una parte all’altra, facendo svolazzare i lunghi capelli neri che le nascondevano il viso.

— Stupida puttana! — bisbigliò Leddravohr. Aveva limitato i suoi studi sulle tribù Gethane a una valutazione delle loro capacità militari, ma riteneva che la loro religione fosse il solito poco ispirato guazzabuglio di superstizioni dei Paesi arretrati di Mondo. Con ogni probabilità la donna si era realmente offerta come vittima volontaria per il rito di fertilità, credendo che il suo sacrificio le avrebbe garantito la reincarnazione come principessa su Sopramondo. Dosi generose di vino e fungo secco potevano rendere temporaneamente più persuasive idee di questo genere, ma non c’era niente come l’imminenza della morte per indurre a modelli di pensiero più razionali.

— Potrà anche essere una stupida puttana, ma mi piacerebbe averla sotto di me in questo momento — ringhiò Reeff. — Non so quale scoppierà prima, se quell’albero o il mio.

— Te la darò quando avremo finito il nostro lavoro — disse Leddravohr con un sorriso. — Quale metà prenderai per prima?

Reeff fece una smorfia nauseata, pieno di ammirazione per il modo in cui il principe poteva eguagliare il meglio dei suoi uomini in ogni branca dell’arte militare compresa l’oscenità. Leddravohr rivolse la sua attenzione alle sentinelle Gethane. Il suo binocolo da campo mostrava, come aveva previsto, che stavano lanciando sguardi sempre più frequenti verso l’albero sacrificale, sul quale la terza coppia di foglie aveva cominciato ad alzarsi. Lui sapeva che c’era una semplice ragione botanica per il comportamento dell’albero, poiché le foglie in posizione orizzontale sarebbero state strappate via dal rinculo della scarica di polline, ma il simbolismo sessuale era potente e irresistibile. Leddravonr confidava nel fatto che le guardie Gethane avrebbero fissato l’albero quando il momento culminante fosse arrivato. Mise via il binocolo e strinse fermamente la spada mentre le foglie abbracciavano il tronco con un perfetto tempismo, e l’ultimo paio cominciava ad incresparsi. Il frustare dei capelli della donna si era fatto frenetico e le sue grida erano vagamente udibili anche al margine della radura, mescolate al salmodiare di una voce maschile da qualche parte, al centro dell’assemblea tribale.

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