Zavotle studiò l’altimetro, toccò la fune di sgonfiamento guardò dentro il pallone, nella cavità che diventava più scura e misteriosa con l’arrivo del crepuscolo. — Ecco una cosa che potrebbe avere a che fare con l’aria — disse. — Io penso che quello che avete scoperto è che l’aria più leggera fa scendere più lentamente la corona dell’involucro e fa sembrare che stiamo andando più adagio di quanto andiamo in realtà.
Toller soppesò l’idea e sorrise. — L’hai scoperto tu non io, quindi attribuiscitene il merito nella registrazione. Direi che sarai pilota anziano nel tuo prossimo volo.
— Grazie, capitano — disse Zavotle, con aria raggiante.
— Te lo sei guadagnato — Toller toccò Zavotle sulla spalla, chiedendo tacitamente scusa per la sua irritabilità. — A questa velocità avremo passato il segno dei 1300 per l’alba, poi potremo spegnere il bruciatore e vedere come si comporta la nave con i reattori.
Più tardi, mentre si stava sistemando sui sacchi di sabbia per dormire, ripensò ai suoi balordi sbalzi d’umore e identificò la vera causa della sua aggressività. Era stato l’accumularsi di avvenimenti non previsti, il freddo in aumento, lo strano comportamento dell’acqua, le indicazioni sbagliate della velocità del pallone. E la sensazione sempre più netta di aver dato troppo credito alle previsioni degli scienziati. Lain in particolare si era dimostrato in torto ben tre volte, e se il suo supponente intelletto era stato sconfitto così in fretta, ancor prima di varcare i confini della regione misteriosa, chi poteva sapere cosa ci fosse in serbo per quelli che percorrevano il ponte di vetro pericolosamente incrinato verso un altro mondo?
Fino a quel momento, scoprì Toller, era stato istintivamente ottimista verso il futuro, convinto che il volo sperimentato avrebbe portato a una migrazione felice e alla fondazione di una colonia in cui coloro che gli stavano a cuore avrebbero condotto una vita di gioie senza fine. Aveva fatto di tutto per nascondersi che quella visione nasceva soprattutto dal suo egoismo, che il fato non aveva nessun obbligo di portare in salvo, come lui aveva deciso, persone come Lain e Gesalla, che le cose potevano accadere senza tener conto dei suoi desideri, e anche se per lui erano inimmaginabili.
Improvvisamente il futuro si presentava carico di incertezza e di pericoli.
E nel nuovo ordine delle cose, pensò Toller mentre scivolava nel sonno, uno doveva imparare a reinterpretare tutti i tipi di fenomeni. Banalità di tutti i giorni… la tensione di una fune… le bolle in un bricco d’acqua… tutti questi piccoli indizi… avvertimenti sussurrati, quasi troppo deboli da sentire…
La mattina l’altimetro segnava un’altitudine di 1400 miglia, e la scala supplementare diceva che la gravità era scesa a meno di un quarto del normale.
Toller, interessato alla leggerezza del suo corpo, volle fare un salto, e questo fu il suo primo ed ultimo esperimento del genere. Salì molto più in alto di quanto intendesse e per un momento, mentre roteava sospeso in aria, ebbe la terribile sensazione di essersi staccato dalla nave per sempre. La navicella aperta, con le sue pareti all’altezza del petto, gli apparve come una struttura fragile, con i montanti e i pannelli troppo deboli per il loro scopo. Ebbe il tempo di immaginare cosa sarebbe successo se un pezzo di pavimento avesse ceduto quando lui ci fosse atterrato sopra, lanciandolo nell’aria celeste 1400 miglia al di sopra del suo Mondo.
Sarebbe stata una caduta interminabile, in piena consapevolezza, senza niente da fare se non guardare il pianeta distendersi affamato sotto di lui. Anche il più coraggioso degli uomini avrebbe infine dovuto cominciare a urlare.
— Sembra che abbiamo perso un bel po’ di velocità durante la notte, capitano — riferì Zavotle dal posto di pilotaggio. — La fune di sgonfiamento è quasi piatta, anche se, certamente, non ci si può più fare molto affidamento.
— È tempo di usare il reattore, comunque — disse Toller. — Da ora in poi, fino a quando torneremo, useremo il bruciatore solo quanto basta per tenere gonfio il pallone. Dov’è Rillomyner?
— Qui, capitano. — Il meccanico emerse dall’altro reparto passeggeri. La sua figura tozza era piegata in due, e lui si teneva stretto alle tramezze con lo sguardo fisso sul pavimento.
— Cos’hai, Rillomyner? Ti senti male?
— Non sto male, capitano. Io… io non voglio semplicemente guardare fuori.
— Perché no?
— Non posso, capitano. Sento come qualcosa che mi spinge oltre il fianco della nave. Ho paura di finire fuori.
— Sai che questo non ha senso, vero? Toller pensò al suo stesso momento di paura incontrollabile e divenne subito più comprensivo. — Questo influirà sul tuo lavoro?
— No, capitano. Il lavoro mi sarà d’aiuto.
— Bene! Fai un’accurata ispezione dei reattori, principale e laterali, e assicurati che il flusso dei cristalli sia regolare; non possiamo permetterci nessun contraccolpo a questo punto.
Rillomyner fece il saluto al pavimento, e andò a prendere i suoi attrezzi a testa bassa. Seguì un’ora di pace, senza il rumore ritmico del bruciatore, mentre Rillomyner ne controllava i comandi, alcuni dei quali erano in comune con il reattore principale. Flenn preparò e servì una colazione di farina d’avena guarnita di piccoli cubi di maiale salato, lamentandosi continuamente del freddo e della difficoltà di mantenere acceso il fuoco in cambusa. Il suo umore migliorò un po’ quando seppe che Rillomyner non avrebbe mangiato, e trascurando per una volta le prese in giro sui suoi problemi intestinali sottopose il meccanico a un fuoco di fila di battute sui rischi del cadere nel vuoto.
Coerente con la sua millanteria, Flenn sembrava indifferente alle inquietanti fessure di cielo che brillavano attraverso gli interstizi del pavimento. Alla fine del pasto andò addirittura a sedersi sul parapetto della navicella, con un braccio negligentemente gettato intorno a un montante di accelerazione, continuando a prendere in giro l’infelice Rillomyner. Anche se Flenn si era legato, vederlo appollaiato lì appoggiato a uno schienale di cielo provocò una tale morsa di ghiaccio allo stomaco di Toller che ne sopportò la vista solo per qualche secondo, prima di ordinargli di scendere.
Quando Rillomyner ebbe finito il suo lavoro e fu tornato a sdraiarsi sui sacchi di sabbia, Toller si rimise al posto di comando. Mise in moto il reattore tenendolo acceso per due secondi, a lunghi intervalli, e studiando gli effetti sul pallone. Ogni spinta suscitava sinistri scricchiolii dei montanti e del sartiame, ma l’involucro risultava molto meno danneggiato che nelle accensioni sperimentali a bassa quota. Incoraggiato, Toller provò i vari tempi e finalmente li sistemò su un ritmo di due-quattro, ottenendo un effetto di impulso continuo senza eccessive sollecitazioni. Un breve getto di gas dal bruciatore ogni due o tre minuti tenne gonfio il pallone e fece in modo che la corona non si flettesse troppo sotto le diverse pressioni dell’aria.
— Si maneggia bene — disse a Zavotle, che stava diligentemente scrivendo sul giornale di bordo.
Sembra che noi due avremo un lavoro più comodo nei prossimi giorni, finché si assesta l’instabilità.
Zavotle sollevò gli occhi. — Comodo per le orecchie, anche.
Toller fece un cenno d’assenso con la testa. Sebbene ogni volta il reattore restasse acceso un minuto in più del bruciatore, prima il suo scarico non finiva dentro la grande cavità del pallone, che ne moltiplicava l’eco. Dava un rumore più basso, meno fastidioso, che veniva assorbito in fretta dai circostanti oceani di silenzio.
Con la nave che si comportava tanto docilmente, e secondo le previsioni Toller cominciò a pensare che i cattivi presagi della notte fossero stati nient’altro che un sintomo della sua crescente stanchezza. Si soffermava sull’idea che in appena sette o otto giorni, se tutto andava bene, avrebbe visto da vicino un altro pianeta. La nave non poteva atterrare su Sopramondo, in realtà, perché questo avrebbe comportato l’asportazione del pannello di sgonfiamento, e senza nessuna attrezzatura di gonfiaggio non sarebbe stata in grado di ripartire. Ma sarebbe arrivata a poche iarde dalla superficie, sollevando il velo del mistero sulla realtà del pianeta gemello.
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