Bob Shaw - Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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— C’è qualcosa che non va, capitano? — disse Zavotle, appena visibile nell’oscurità.

— Niente. Un piccolo crampo, tutto qui. Bada tu al bruciatore per un po’. Il regime che vogliamo è quattro-venti.

Toller si accostò al parapetto e si sporse dalla ringhiera. “Cosa mi sta succedendo?”, pensò. “Lain ha detto che stavo interpretando un ruolo. Ma come faceva a saperlo? Il nuovo, freddo, imperturbabile Toller Maraquine… l’uomo che ha bevuto troppo al calice dell’esperienza… che guarda i principi dall’alto in basso… che non ha paura del baratro tra i due mondi… e che quando la solisposa di suo fratello non fa niente di più che toccargli il braccio, si lascia immediatamente andare a fantasie da adolescente! Lain è riuscito, con la sua spaventosa sensibilità, a vedermi come il traditore che sono? È per questo che mi si è rivoltato contro?”

L’oscurità sotto la nave era assoluta, come se Mondo fosse già stato abbandonato da tutta l’umanità, ma quando Toller guardò verso il pianeta una linea sottile di fuoco rosso, verde e viola apparve all’orizzonte occidentale, allargandosi e diventando sempre più brillante. Sbocciò improvvisamente una macchia di luce pura, si aprì sul suo pianeta così in fretta da far fermare il cuore, ricreando gli oceani, e le terre emerse, e i loro colori, e tutti gli intricati dettagli.Toller si fece indietro, quasi aspettandosi un’inesorabile esplosione dopo che il cono d’ombra avesse raggiunto la nave sommergendola subito di un’annientante luce solare, e si affrettò a guardare verso l’orizzonte occidentale. Sopramondo aveva completato il suo transito giornaliero su Kolcorron, e Toller sentì di essere anche lui uscito dal buio, da una sua personale e privata piccola notte della mente.

“Non preoccuparti, fratello Lain”, pensò. “Anche con il pensiero, non ti tradirò mai”.

Ilven Zavotle lasciò il bruciatore e puntò gli occhi a nord-est.

— Cosa pensate adesso del globo, capitano? È più grande? Più vicino? O entrambe le cose?

— Potrebbe essere un po’ più vicino — ammise Toller, felice di avere un altro argomento su cui concentrare i suoi pensieri, mentre a sua volta puntava sul ptertha il suo binocolo. Riesci a sentire che la nave balla un po’? Possono esserci degli spostamenti di aria più calda o più fredda, dopo la piccola notte, e magari il ptertha ne ha avuto vantaggio.

— È sempre al nostro stesso livello, anche se abbiamo cambiato velocità.

— Sì. Penso che voglia noi.

— Io so cosa voglio io — annunciò Flenn, passando vicino a Toller diretto alla toletta. — Sto per avere l’onore di inaugurare una certa lunga discesa, e spero che tutto atterri proprio sul vecchio Puehilter. — Aveva nominato un supervisore meschino e tiranno, piuttosto impopolare fra i tecnici di volo della SAS.

Rillomyner fece un grugnito di approvazione. — Almeno avrà davvero qualcosa di cui lamentarsi, una volta tanto.

— Sarà peggio quando ci andrai tu; dovranno evacuare tutta Ro-Atabri quando comincerai a bombardarla.

— Stai attento a non cadere nel buco — grugnì di nuovo Rillomyner che non aveva gradito il riferimento alle sue debolezze intestinali. — Non è stato progettato per i nani.

Toller non fece nessun commento a quello scambio di battute. Sapeva che lo stavano saggiando per vedere che tipo di clima avrebbe imposto durante il viaggio. Se avesse interpretato il regolamento alla lettera, avrebbe dovuto proibire categoricamente qualunque tipo di scherzo tra l’equipaggio, per non parlare della volgarità, ma lui era interessato unicamente a cose come l’efficienza, la lealtà e il coraggio. In. due ore la nave sarebbe arrivata più in alto di qualunque altra mai, a parte quella del mitico Usader di cinque secoli prima, entrando in una regione di cose strane e sconosciute, e lui non dimenticava che il suo piccolo gruppo di avventurosi avrebbe potuto aver bisogno di tutta la solidarietà umana possibile.

Inoltre, quello stesso argomento aveva dato il via a una dozzina di battute ugualmente pesanti nei quartieri degli ufficiali, sin da quando la pianta della navicella era stata resa pubblica. Lui stesso aveva tratto un certo divertimento dalla frequenza con cui la bassa forza gli aveva ricordato che la toletta non doveva essere usata fino a quando le correnti occidentali non avessero portato la nave abbastanza lontana dalla base.

E lo scoppio del ptertha lo colse di sorpresa.

Stava fissando la sua immagine ingrandita, quando il globo semplicemente, cessò di esistere, e in assenza di uno sfondo contrastante neanche uno sbuffo di polvere ne ricordò la posizione. Nonostante la sua fiducia nella loro capacità di fronteggiare la minaccia, ne fu sollevato. Dormire lassù la prima notte, sarebbe stato già abbastanza difficile, senza doversi anche preoccupare delle capricciose correnti d’aria che potevano portare il silenzioso nemico a distanza mortale.

— Prendi nota che il ptertha è appena scoppiato — disse a Zavotle, e messo di buon umore, aggiunse un commento personale: segna che questo è successo dopo circa quattro ore di volo… proprio quando Flenn stava usando la toletta… ma probabilmente non c’è nessuna connessione tra i due avvenimenti.

Toller si svegliò poco dopo l’alba al suono di una discussione animata che veniva dal centro della navicella. Si mise in ginocchio sui sacchi di sabbia e si massaggiò le braccia, cercando di capire se il freddo che sentiva era freddo vero o solo la conseguenza di un sonno disturbato. Il boato intermittente del bruciatore gli aveva permesso solo brevi sonnellini, e ora non si sentiva molto più fresco che se fosse stato di guardia tutta la notte. Sempre in ginocchio andò all’apertura del tramezzo dello scompartimento passeggeri e guardò fuori il resto dell’equipaggio.

— Dovreste dare un’occhiata a questo, capitano — disse Zavotle, alzando la sua testa a pera. — L’indicatore di quota funziona davvero!

Toller infilò le gambe nell’angusto passaggio e andò alla postazione del pilota, dove Flenn e Rillomyner stavano in piedi vicino a Zavotle. L’altimetro era attaccato a una tavoletta e consisteva in una scala graduata verticale. Aveva in cima un piccolo peso sospeso a una delicata molla a spirale, fatta con un truciolo di brakka sottile come un capello. La mattina precedente, all’inizio del volo, il peso era in fondo, vicino al segno più basso della scala, ma ora era molte tacche più alto.

Toller fissò intensamente l’indicatore. — Qualcuno l’ha manomesso?

— Nessuno lo ha toccato — lo rassicurò Zavotle. — Significa che tutto quello che ci hanno detto deve essere vero. Tutto perde peso mentre saliamo! Stiamo diventando più leggeri!

— Dovevamo aspettarcelo — disse Toller, non volendo ammettere che in cuor suo non aveva mai del tutto digerito quella nozione, nemmeno quando Lain aveva perso ore di tempo per fargliela entrare in testa.

— Sì, ma significa anche che fra tre o quattro giorni non peseremo più niente. Potremo fluttuare nell’aria come… come… ptertha! È tutto vero, capitano!

— Quanto dice che siamo alti?

— Circa trecentocinquanta miglia, e questo concorda con i nostri calcoli.

— Non mi sento affatto diverso — dichiarò Rillomyner. — Io dico che la molla si è allungata.

Flenn annuì. — Anch’io.

Toller voleva un momento per riordinare i suoi pensieri. Andò sul fianco della navicella e fu preso da un attimo di vertigine quando vide Mondo come non l’aveva mai visto prima, un’immensa convessità circolare, una metà quasi buia, l’altra uno sfavillare brillante di oceano blu e di continenti e isole vagamente sfumate.

“Sarebbe tutto diverso se stessi salendo nello spazio aperto dal centro di Chamteth”, echeggiò la voce di Lain nella sua mente. “Ma viaggiando tra i due pianeti raggiungerai presto una zona media, leggermente più vicina a Sopramondo che a Mondo, in effetti, dove l’attrazione gravitazionale di ciascun pianeta cancella l’altra. In condizioni normali, con il carico più pesante del pallone, la nave avrebbe la regolarità di un pendolo, ma in questo caso, completamente priva di peso, non avrà alcuna stabilità e dovrai usare i reattori laterali per controllare la sua posizione”.

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