Bob Shaw - Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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Le migliaia di miglia d’aria che separavano i due mondi avevano sempre réso difficile per gli astronomi dire molto di più oltre al fatto che c’era un continente all’equatore dell’emisfero visibile. Si era sempre creduto, in parte per ragioni religiose, che Sopramondo somigliasse molto a Mondo, ma c’era sempre la possibilità che fosse inospitale, perché la potenza dei telescopi non bastava a cogliere gli aspetti della superficie al di là di un certo limite. Un’altra possibilità, un articolo di fede per la Chiesa, un caso controverso per i filosofi, era che Sopramondo fosse già abitato.

Come potevano essere gli abitanti di Sopramondo? Costruivano città? E come avrebbero reagito a una flotta di navi aliene che veniva giù dal cielo?

Le divagazioni di Toller s’interruppero bruscamente quando lui si rese conto che il freddo era molto aumentato, in quei pochi minuti. Intanto gli si era avvicinato Flenn, che stringeva al petto il cucciolo di caròle e stava visibilmente tremando. La faccia dell’ometto aveva una sfumatura di blu.

— Il freddo mi sta uccidendo, capitano — disse sforzandosi di fare il suo solito sorriso. — È peggiorato tutto d’un colpo.

— Hai ragione. — Toller si sentì allarmato all’idea di aver attraversato un’invisibile linea di pericolo nell’atmosfera, poi gli venne un’ispirazione. — È da quando abbiamo spento il bruciatore. Il soffio di ritorno del gas migligno ci teneva caldi.

— Non solo — aggiunse Zavotle. — C’era anche l’aria che veniva giù dall’involucro caldo.

— Dannazione! — Toller guardò accigliato i disegni geometrici del pallone. — Questo significa che dobbiamo mettere più calore, là dentro. Abbiamo un sacco di cristalli d’energia quindi saremmo a posto, ma potremmo avere qualche problema dopo.

Zavotle annuì, con aria malinconica. — La discesa.

Toller si morse le labbra mentre, ancora una volta, si trovava ad affrontare difficoltà che gli scienziati della SAS non avevano previsto. Per un veicolo ad aria calda, l’unico modo di perdere quota era perdere calore, calore che però era vitale per l’equipaggio, e a rendere peggiore la situazione c’era il fatto che la direzione del flusso dell’aria si sarebbe invertita durante la discesa, portando la già scarsa quantità di calore a disperdersi verso l’aito, lontano dalla navicella. La conclusione era che avrebbero dovuto passare diversi giorni in condizioni molto peggiori di quelle presenti, con il pericolo reale di morire di freddo.

E questo poneva un dilemma che andava risolto.

Il fatto che così tanto dipendesse dal risultato del volo sperimentale era un motivo valido per andare avanti e avanti, anche con il rischio di superare il punto limite del non ritorno? O avevano il dovere morale di essere prudenti e di tornare con la loro sudata riserva di sapere?

— Questo è il tuo giorno fortunato — disse Toller a Rillomyner, che lo stava osservando nella sua solita posizione supina dai sacchi di uno scompartimento passeggeri. — Volevi lavorare per tenere occupata la mente, ora puoi farlo. Trova il modo di deviare un po’ del calore dal tubo di scappamento del bruciatore giù dentro la navicella.

Il meccanico si tirò a sedere con espressione perplessa. — Come si può fare, capitano?

— Non lo so! È il tuo lavoro far funzionare cose come questa. Monta un imbuto, o qualcosa del genere, e comincia immediatamente: sono stanco di vederti sempre lì sdraiato come una scrofa gravida. Gli occhi di Flenn scintillarono.

— Che modo è questo di parlare al nostro passeggero, capitano?

— Anche tu, hai passato troppo tempo sul tuo posteriore — gli disse Toller. — Hai aghi e fili nelle tua attrezzatura?

— Sì, capitano. Aghi grandi, aghi piccoli, fili e cordicelle sufficienti per montare una nave a vela.

— Allora comincia a svuotarci sacchi di sabbia e fai delle giacche con la stoffa. Avremo anche bisogno di guanti.

— Lasciate fare a me, capitano — disse Flenn. — Sistemerò tutti come dei re. — Evidentemente contento di avere qualcosa di costruttivo da fare, Flenn ricacciò il caròle sotto i vestiti, andò al suo armadietto e cominciò a rovistare nei vari scompartimenti. Stava fischiando in vibrato tremolante.

Toller lo guardò per un momento, poi si rivolse a Zavotle, che si stava soffiando sulle mani per Scaldarle. — Sei ancora preoccupato di ritrovarti in condizioni di assenza di peso?

Gli occhi di Zavotle divennero diffidenti. — Perché lo chiedete, Capitano?

— Dovresti essere… è come se dovessi tirare a sorte tra la bufera e la neve.

Poco prima della piccola notte del quinto giorno di volo, l’altimetro registrava 2.600 miglia di quota e gravità zero.

I quattro membri dell’equipaggio erano rannicchiati nelle loro sedie di vimini intorno all’unità di propulsione, con i piedi rivolti verso la calda base del tubo del reattore. Erano imbacuccati in rozzi abiti di tela di sacco marrone che confondeva le loro forme umane e nascondeva il faticoso ansare del loro petto nel respirare quell’aria gelida e rarefatta. Nella navicella i soli seghi di vita erano i fili di vapore del fiato degli uomini, mentre fuori le meteore guizzavano nelle infinità di blu profondo, unendo brevemente e accidentalmente stella con stella.

— Bene, eccoci qui — disse Toller, rompendo un lungo silenzio. — Abbiamo superato la parte più dura del viaggio, abbiamo tenuto testa a tutte le più spiacevoli sorprese che il cielo ci ha mandato addosso, e siamo ancora in buona salute. Direi che possiamo permetterci un po’ di brandy con il prossimo pasto.

Gli rispose un altro lungo silenzio, come se anche il pensiero fosse congelato in quell’inattività, poi Zavotle disse: — Sono ancora preoccupato per la discesa, capitano, anche con il calorifero.

— Se siamo sopravvissuti finora possiamo andare avanti. — Toller diede uno sguardo all’apparecchio di riscaldamento che Rillomyner aveva progettato e installato con un po’ di assistenza da parte di Zavotle. Consisteva in sezioni tubolari di brakka piegate a S, tenute insieme da corde di vetro e argilla refrattaria. Un’estremità entrava nella bocca del bruciatore, l’altra era assicurata al pavimento, vicino alla postazione di pilotaggio. Una piccola parte dei getti d’aria del bruciatore veniva incanalata verso il basso attraverso il tubo, mandando il caldo gas migligno a soffiare nella navicella, e alzava sensibilmente la temperatura. II bruciatore, necessariamente, sarebbe stato usato meno durante la discesa, ma Toller pensava che il calore sarebbe stato sufficiente ai loro bisogni nei due giorni più duri.

— È ora del rapporto medico — disse, facendo segno a Zavotle di prendere nota. — Come vi sentite tutti?

— Io mi sento ancora come se stessimo cadendo, capitano. — Rillomyner si teneva aggrappato alla sua sedia. — Ho la nausea.

— Come potremmo cadere se non abbiamo peso? — disse Toller cercando di farlo ragionare e di ignorare nel contempo lo sfarfallio che sentiva nello stomaco. — Dovrai abituartici. E tu, Flenn?

— Io sto bene, capitano; l’altitudine non mi dà fastidio. — Flenn diede un colpetto al caròle a righe verdi rannicchiato contro il suo petto, con la sola testa che sporgeva attraverso un buco dei vestiti. — Anche Tinny sta bene. Ci aiutiamo a riscaldarci l’un l’altro.

— Io credo di essere in condizioni decenti, tutto considerato. — Zavotle fece un’annotazione nel giornale di bordo scrivendo goffamente con la mano coperta dal guanto, e gettò uno sguardo di rimprovero a Toller. — Devo annotare che siete in buone condizioni, capitano? Non solo di salute?

— Sì, e tutto il tuo sarcasmo non mi farà cambiare idea. Rovescerò la nave immediatamente dopo la piccola notte. — Toller sapeva che il copilota era ancora fermo nella sua opinione, che gli aveva esposto, per cui, dopo aver passato il punto di gravità zero, avrebbero dovuto aspettare a spegnere la nave per un giorno intero o anche di più. Il ragionamento era che facendo così avrebbero superato più in fretta la zona di freddo più intenso, e con il calore del pallone a proteggerli dal gelo. Anche Toller la considerava una buona idea, ma non si sentiva né l’autorità né la responsabilità di metterla in pratica.

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