Bob Shaw - Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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Guardò con occhio benevolo Flenn che spingeva di nuovo il caròle nel suo caldo santuario dentro i vestiti e si slegava dalla sedia. L’ometto faceva evidentemente fatica a respirare mentre si dirigeva verso la cambusa, ma le sfere nere dei suoi occhi scintillavano di buon umore. Riapparve giusto in tempo per porgere a Toller la piccola fiasca di brandy inclusa negli approvvigionamenti della nave, poi sparì per un lungo periodo, durante il quale si poteva sentirlo trafficare con gli attrezzi da cucina, ansimando e imprecando senza sosta. Toller bevve un sorso di brandy e aveva appena passato la fiasca a Zavotle quando si rese conto che Flenn stava cercando di preparare un pasto caldo.

— Non c’è bisogno di scaldare niente — gridò. — Carne secca e pane saranno sufficienti.

— Va tutto bene, capitano — fu la risposta ansimante di Flenn. — Il carbone è ancora acceso… ed è solo questione di… di sventolarlo abbastanza forte. Vi servirò… un vero e proprio banchetto. Un uomo ha bisogno di un buon… Accidenti!

Subito dopo l’ultima parola dalla cambusa provenne un grande acciottolio di stoviglie. Toller si voltò in tempo per vedere un pezzo di carbone incandescente salire verticalmente nell’aria da dietro la tramezza. Roteando pigramente, avvolto in una fiamma giallo chiaro, salì in alto e sfiorò uno dei pannelli curvi inferiori del pallone. Proprio quando sembrava che fosse stato deviato nel blu senza conseguenze, fu catturato da una corrente d’aria che lo riportò indietro, verso l’intersezione tra l’involucro e un montante di accelerazione. Si fermò proprio nella giuntura, bruciando ancora.

— E mio! — urlò Flenn. — Lo prenderò!

Sbucò all’angolo della navicella, e senza agganciarsi salì sul montante a tutta velocità, usando solo le mani in un curioso salto senza peso. Il cuore e la mente di Toller si gelarono quando vide un fumo brunastro alzarsi dalla stoffa verniciata del pallone. Flenn raggiunse il tizzone ardente, e lo afferrò con la mano guantata. Lo gettò via con un movimento laterale del braccio e improvvisamente anche lui si staccò dalla nave, galleggiando nell’aria sottile. Con le mani che cercavano inutilmente di aggrapparsi al montante, fluttuò lentamente verso l’esterno.

Toller si sentì spaccato da due diversi terrori. La paura della sua personale distruzione tenne il suo sguardo fisso sul pezzo di stoffa fumante finché non vide che la fiamma si era spenta, ma per tutto quel tempo un’altra parte di lui gridava silenziosamente perché il vuoto luminoso che separava Flenn dalla nave aumentava sempre più.

La spinta iniziale del movimento di Flenn non era stata gran cosa, ma lui si era ormai spostato di circa trenta iarde prima che la resistenza dell’aria lo facesse fermare. Stava sospeso nel vuoto azzurro, brillando nella luce del sole che il pallone nascondeva alla navicella, quasi irriconoscibile come essere umano nel misero fagotto dei suoi vestiti di tela di sacco.

Toller andò al parapetto e mise le mani a coppa intorno alla bocca. — Flenn! Stai bene?

— Non preoccupatevi per me, capitano. — L’ometto agitò un braccio e, incredibilmente, riuscì a sembrare contento. — Riesco a vedere bene l’involucro da qui. C’è una zona bruciacchiata tutt’intorno all’attacco del montante, ma la stoffa non è bucata.

— Ti porteremo dentro. — Toller si rivolse a Zavotle e a Rillomyner. — Non è perso. Dobbiamo gettargli una cima.

Rillomyner era piegato in due sulla sedia. — Non posso farlo, capitano — mugugnò. — Non posso guardare.

— Guarderai e farai il tuo lavoro — gli assicurò Toller severamente.

— Io posso aiutare — disse Zavotle, avvicinandosi. Aprì un armadietto e tirò fuori vari rotoli di corda. Toller, impaziente di effettuare il salvataggio, ne afferrò uno. Ne assicurò un’estremità e lanciò il rotolo verso Flenn, ma il movimento gli fece staccare i piedi dal ponte, e quello che voleva essere un lancio potente, risultò debole debole e mal diretto. La fune si srotolò solo per una parte della sua lunghezza e si congelò, inutile, mantenendo ancora la sua ondulazione.

Toller la ritirò e mentre la stava riavvolgendo Zavotle lanciò un’altra cima, ugualmente senza successo. Rillomyner, che mormorava debolmente a ogni respiro, lanciò una corda di vetro più sottile. Si stese del tutto, quasi nella giusta direzione, ma era troppo corta.

— Buono a niente! — lo canzonò Flenn, apparentemente indifferente alle migliaia di miglia di vuoto che si aprivano sotto di lui.

— La tua vecchia nonna saprebbe fare meglio, Rillo.

Toller si tolse i guanti e fece un nuovo tentativo di lanciare un ponte nel vuoto, ma anche se si era legato a un tramezzo la fune irrigidita dal freddo non si dipanò nel modo giusto. Fu mentre la stava ritirando a bordo che notò un particolare allarmante. All’inizio, Flenn si trovava molto più in alto in relazione alla nave, a livello dell’estremità superiore del montante di accelerazione, ma ora era solo leggermente al di sopra del bordo della navicella.

Una rapida riflessione disse a Toller che Flenn stava cadendo. Anche la nave stava cadendo, ma finché ci fosse stato calore dentro al pallone sarebbe rimasta relativamente frenata, e sarebbe scesa più lentamente di un oggetto solido. Così vicini al punto medio le velocità relative erano irrilevanti, ma Flenn era ugualmente catturato dalla gravità di Sopramondo, e aveva cominciato la lunga discesa verso la superficie.

— Hai notato cosa sta succedendo? — disse Toller a Zavotle a bassa voce. — Abbiamo tempi di caduta diversi.

Zavotle ci pensò su. — Sarebbe di qualche utilità usare i laterali?

— Cominceremmo soltanto a ruotare.

— Siamo nei guai — disse Zavotle. — Prima di tutto Flenn danneggia il pallone, poi si mette in condizione di non poterlo riparare.

— Non penso proprio che l’abbia fatto apposta — Toller si rivolse a Rillomyner. — Il cannone! Trova un peso che possa andare nel cannone. Forse potremmo sparare una cima.

In quel momento Flenn, che era rimasto calmo, sembrò notare il suo graduale spostamento rispetto alla nave e a tirare le appropriate conclusioni. Cominciò ad agitarsi e a contorcersi, fece movimenti esagerati, come se stesse nuotando, che in altre circostanze sarebbero stati comici. Scoprendo che niente aveva effetto si mise di nuovo tranquillo, tranne per un involontario movimento della mano quando la seconda fune lanciata da Zavotle non riuscì a raggiungerlo.

— Comincio ad aver paura, capitano. — Sebbene Flenn stesse gridando, le parole arrivavano deboli, come se le sue energie si disperdessero nell’immensità circostante. — Dovete riportarmi a casa.

— Ti riporteremo. C’è… — Toller lasciò che la frase svanisse. Stava per assicurare a Flenn che c’era un sacco di tempo, ma temeva che la sua voce suonasse poco convincente. Stava diventando evidente che non solo Flenn si stava spostando più in basso della navicella, ma anche che, per le immutabili leggi della fisica, stava guadagnando velocità. L’accelerazione era quasi impercettibile, ma gli effetti erano cumulativi. Cumulativi e letali.

Rillomyner toccò il braccio di Toller. — Non c’è niente che possa entrare nel cannone, capitano, ma ho unito due pezzi di corda di vetro e l’ho legata a questo. — Gli porse un martello con una grande testa di brakka. — penso che lo raggiungerà.

— Bravo — disse Toller, apprezzando il modo in cui il meccanico nell’emergenza stava vincendo la sua acrofobia. Si fece da parte per lasciare che Rillomyner facesse il suo lancio. Il meccanico assicurò l’estremità libera della corda di vetro alla ringhiera, valutò le distanze e scagliò il martello nello spazio.

Toller vide immediatamente che aveva commesso l’errore di mirare in alto, pensando di compensare una forza di gravità che non c’era. Il martello si tirò dietro la corda e si fermò nell’aria a poche tormentose iarde sopra Flenn, che muoveva le braccia come un mulino a vento in un futile tentativo di raggiungerlo. Rillomyner scosse leggermente la corda nel tentativo di spostare il martello verso il basso, ma riuscì solo a tirarlo su, a breve distanza dalla nave.

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