In quel momento la nave stava salendo e sorvolava la periferia occidentale di Ro-Atabri. La configurazione della città era confusa e appannata dal manto di schermi anti-ptertha che la coprivano come una calotta, ma le vedute del Golfo e della Baia di Arle erano come Toller le ricordava dalle escursioni aeree della sua adolescenza. Il loro nostalgico blu svanì in una foschia purpurea vicino all’orizzonte, sul quale brillavano, mitigate dalla luce del sole, le nove stelle dell’Albero.
Guardando in basso, Toller riuscì a vedere il Gran Palazzo sulla riva meridionale del Borann, e si chiese se in quel momento Re Prad fosse alla finestrata guardare il fragile insieme di stoffa e legno che costituiva la sua scommessa con la posterità. Da quando aveva conferito a suo figlio i poteri assoluti, il Re era diventato praticamente un recluso. Qualcuno diceva che era malato, altri che non aveva cuore di andare come un animale furtivo per le strade schiacciate della sua stessa città.
— Osservando il complesso e variegato panorama sotto di lui, Toller fu sorpreso della scarsa emozione che provava. Gli sembrava, dopo aver mosso il primo passo su quella strada di cinquemila miglia verso Sopramondo, di avere staccato le sue ossa dal passato.
Raggiungere il pianeta gemello in un viaggiò successivo e iniziare lì una nuova vita era una cosa che aveva a che fare con il futuro, e al momento il suo presente si esauriva nel minuscolo universo dell’astronave. Il microcosmo della navicella, quattro passi per lato, sarebbe stato il suo unico mondo per più di venti giorni, e lui non poteva prendersi nessun altro pensiero…
Le sue meditazioni furono bruscamente interrotte quando notò un movimento rossastro spostarsi nel cielo piumato di bianco, leggermente a nord-ovest.
— In piedi, Rillomyner — gridò. — È ora che cominci “a guadagnarti la paga.
Il meccanico si alzò e uscì dallo scompartimento passeggeri. — Mi dispiace, capitano, il modo in cui siamo decollati ha fatto qualcosa al mio intestino.
— Vai al cannone se non vuoi star male davvero — disse Toller. — Potremmo presto avere visite.
Rillomyner imprecò e si diresse barcollando verso il cannone più vicino. Zavotle e Flenn seguirono a ruota senza bisogno di aspettare gli ordini. C’erano due armi antiptertha montate su ciascun lato della navicella, con le canne fatte di leggere strisce di brakka unite a tubo da solide corde di vetro e resina. Ognuna disponeva di un deposito di munizioni, capsule di energia di vetro e proiettili di nuovo tipo, fasci di bastoncini di legno incernierati che si aprivano a raggio durante il volo. Richiedevano una maggiore accuratezza di tiro rispetto alle più vecchie armi a dispersione, ma avevano il vantaggio di una maggiore portata.
Toller si rimise al posto di pilotaggio e scaricò vampate intermittenti nel pallone per mantenere la velocità di ascensione.Non era eccessivamente preoccupato del ptertha solitario e aveva dato l’allarme più che altro per svegliare Rillomyner. Per quanto si sapeva, i globi erano in balia delle correnti d’aria nei percorsi a lunga distanza, e si muovevano forse per atto di volontà solo quando erano vicini alla loro preda. Come si attivasse l’impulso che li guidava nelle iarde finali era ancora un mistero, ma c’era una teoria che voleva che il ptertha avesse già cominciato il processo di autodistruzione, creando un piccolo orifizio sulla sua superficie, nel punto opposto rispetto alla vittima. L’espulsione dei gas interni avrebbe spinto il globo in avanti prima che l’intera struttura si disintegrasse e liberasse la sua carica di polvere tossica. Ma la teoria rimaneva a livello di congettura, data l’impossibilità di studiare i ptertha a distanza ravvicinata.
In quel momento il globo era a quasi quattrocento iarde dalla nave e sembrava verosimile che sarebbe rimasto a quella distanza poiché le rispettive posizioni erano governate dallo stesso flusso d’aria. Toller sapeva, comunque, che il solo movimento sul quale i ptertha avevano un certo grado di controllo era quello verticale.
L’osservazione attraverso telescopi calibrati aveva dimostrato che un ptertha poteva governare la propria posizione aumentando o diminuendo le dimensioni, alterando così la sua densità, e Toller era interessato a portare avanti un doppio esperimento che avrebbe potuto essere utile alla flotta di migrazione.
— Non perderlo di vista — disse a Zavotle. — Sembra che si stia tenendo alla nostra stessa quota, e se è così vuol dire che può sentire la nostra presenza già a quella distanza. Voglio anche scoprire quanto può salire prima di doversi fermare.
— Molto bene, capitano. — Zavotle alzò il suo binocolo e lo puntò diligentemente sul ptertha.
Toller diede un’occhiata al suo mondo circoscritto, immaginandosi quanto si sarebbe ristretto con un pieno carico di venti persone. Il reparto passeggeri consisteva in due stretti scompartimenti isolati da alte tramezze situati ai lati opposti della navicella per ragioni di equilibrio. Ognuno avrebbe dovuto ospitare nove persone, stipate al massimo, senza avere possibilità né di sdraiarsi né di muoversi comodamente, e alla fine del lungo viaggio le loro condizioni fisiche non sarebbero state certo invidiabili.
Un angolo della navetta ospitava la cambusa, e quello diametralmente opposto una rudimentale stanza da bagno, in pratica un buco nel pavimento più qualche sanitario. Le quattro postazioni dell’equipaggio erano in mezzo, attorno al bruciatore e al reattore di propulsione, rivolto verso il basso. La maggior parte del poco spazio rimanente era occupato dalle casse di pikonio e alvelio, anch’esse ai lati opposti della navicella, dalle scorte di viveri e da contenitori di attrezzi vari.
Toller poteva prevedere che il viaggio interplanetario, come tante altre avventure gloriose passate alla storia, si sarebbe svolto in un clima di squallore e degradazione, un vero e proprio test di resistenza fisica e mentale al quale non tutti sarebbero sopravvissuti. In contrasto con la navicella angusta e spartana, la parte superiore dell’astronave era spaziosa in modo quasi offensivo, imponente, una forma gigantesca senza sostanza. I pannelli di lino dell’involucro erano stati dipinti di marrone scuro per assorbire il calore del sole e guadagnare di conseguenza una spinta maggiore, ma quando Toller guardò dentro, attraverso la bocca del pallone, poté vedere la luce riflessa dalla stoffa. Le cuciture e i nastri di carico orizzontali e verticali formavano una trama geometrica di linee nere e facevano risaltare l’ampiezza delle curvature. Lassù c’era la cupola di garza di una cattedrale tra le nuvole, impossibile da associare all’umile lavoro manuale di tessitori e cucitori.
Soddisfatto della stabilità della nave e della sua ascesa graduale, Toller diede ordine di ritirare i quattro montanti di accelerazione e di assicurarli agli spigoli della navicella. Flenn portò a termine il compito in pochi minuti, e in quel modo l’insieme del pallone e della navicella raggiunse il limite massimo di leggerezza e rigidità strutturale compatibile con le modeste forze che avrebbe dovuto fronteggiare quando sarebbero entrati in azione il reattore di propulsione o quelli di governo.
Attaccata con un gancio volante alla stazione di pilotaggio c’era la fune di sgonfiamento, dipinta di rosso, che attraversava il pallone fino alla corona, un pannello in cima che poteva essere rimosso per svuotare in fretta tutta la mongolfiera. Oltre a costituire un dispositivo d’emergenza, la corda rossa era anche un rudimentale indicatore della velocità di salita, che si afflosciava quando un flusso d’aria verticale spingeva in basso la corona. Toller passò un dito sulla fune e stimò che stavano salendo a circa dodici miglia l’ora, aiutati dal fatto che il gas migligno era un po’ più leggero dell’aria anche da freddo. Quella velocità sarebbe quasi raddoppiata, più tardi, grazie al reattore di propulsione, quando fossero entrati nell’atmosfera rarefatta quasi senza gravità del punto medio.
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