Dopo trenta minuti di volo la nave torreggiava sopra la sommità del Monte Opelmer e aveva smesso di andare alla deriva verso est. La provincia giardino di Kail si allungava a sud fino all’orizzonte, con le sue fattorie a strisce che disegnavano un mosaico scintillante, ogni tessera striata di sfumature diverse dal giallo al verde. A ovest c’era il Mare di Otollan; a est l’Oceano Mirlgiver, con le sue distese blu macchiate qua e là di navi a vela.Le montagne ocra di Kolcorron Superiore riempivano il panorama a nord, e la prospettiva faceva apparire compatte le catene, le gole, gli anfratti, i picchi. Alcune aeronavi che percorrevano le rotte commerciali luccicavano come piccoli gioielli ellittici.
Da un’altitudine di circa sei miglia l’aspetto di Mondo era talmente bello e sereno da togliere il fiato. Solo la relativa scarsità di mezzi di trasporto poteva far pensare che quel panorama immerso nella benevola luce del sole, era in realtà un campo di battaglia, un’arena nella quale il genere umano aveva combattuto e perso un duello mortale.
Toller, come ormai d’abitudine quando era immerso nei suoi pensieri, localizzò il curioso oggetto datogli da suo padre e strofinò il pollice sulla liscia superficie. Secondo il ritmo normale della storia, si, chiese quanti secoli sarebbero dovuti passare prima che gli uomini si fossero avventurati nel viaggio verso Sopramondo? E avrebbero mai fatto quello che stavano facendo, se non fossero stati scacciati dai ptertha?
Il pensiero dell’antico e implacabile nemico lo spinse a guardarsi intorno e a controllare la posizione del globo solitario che aveva avvistato poco prima. Era sempre alla stessa distanza dalla nave, e, cosa più significativa, stava mantenendo la sua velocità ascensionale. Poteva essere una prova di sensibilità e volontà? Se era così, perché i ptertha avevano scelto l’uomo come oggetto della loro ostilità? Perché ogni altra creatura su Mondo, con l’eccezione del gibbone di Sorka, era immune dalla pterthacosi?
Quasi avesse percepito il rinnovato interesse di Toller per il globo, Zavotle abbassò il binocolo e disse: — Vi sembra più grande, capitano?
Toller prese il suo binocolo e studiò la sagoma violacea, scoprendo però che la trasparenza vanificava i suoi tentativi di definirne i contorni. — Difficile da dire.
— La piccola notte calerà presto — commentò Zavotle. — Non mi piace l’idea di avere quell’affare sospeso intorno a noi con il buio.
— Non credo si avvicinerà; inoltre la nave ha più o meno la forma di un ptertha, e la nostra risposta a un vento di traverso sarà praticamente la stessa.
— Spero che abbiate ragione — disse Zavotle cupamente.
Dal suo posto al cannone Rillomyner guardò indietro. — Non mangiamo dall’alba, capitano. — Era un giovane pallido e tozzo con un appetito insaziabile anche per il più vile dei cibi. Si diceva addirittura che avesse guadagnato peso da quando erano cominciate le restrizioni alimentari, ingurgitando tutta la roba scadente scartata dai compagni di lavoro. Nonostante ispirasse poca fiducia, era un buon meccanico, e molto fiero delle sue capacità.
— Sono felice di sentire che il tuo intestino è tornato in condizioni normali — disse Toller:
Mi sarebbe dispiaciuto pensare di avergli causato un danno permanente con il mio modo di guidare la nave.
— Non intendevo criticare il decollo, capitano. E solo che sono sempre stato afflitto da uno stomaco debole.
Toller fece schioccare la lingua fingendo comprensione e diede uno sguardo a Flenn. — Sarà meglio che tu dia da mangiare a quest’uomo prima che s’indebolisca troppo.
— Subito, capitano. — Mentre Flenn si alzava la camicia gli si aprì sul petto e lasciò intravedere la testa striata di verde di un carble. Flenn coprì frettolosamente la creatura pelosa con la mano e la spinse di nuovo nel suo nascondiglio.
— Che cos’hai lì? — disse Toller a denti stretti.
— Si chiama Tinny, capitano. — Flenn tirò fuori il caròle e lo cullò nelle braccia. — Non avevo nessuno cui lasciarla.
Toller sospirò esasperato. — Questa è una missione scientifica, non un… Ti rendi conto che la maggior parte dei comandanti butterebbe fuori quest’animale?
— Giuro che non darà nessun fastidio, capitano.
— Sarà meglio. Ora occupati del pranzo.
Flenn sorrise. Agile come una scimmia sparì nella cambusa per preparare il loro primo pasto. Era abbastanza piccolo da restare completamente nascosto dal tramezzo intrecciato che agli altri dell’equipaggio arrivava al petto. Toller tornò ad occuparsi dei fatti suoi, cercando di impadronirsi meglio del controllo de la nave.
Deciso ad aumentare la velocità, prolungò le fiammate da tre a quattro secondi e verificò la risposta del pallone. Passarono diversi minuti prima che la spinta aggiuntiva superasse l’inerzia delle molte tonnellate di gas, ma infine la fune di sgonfiamento si allentò sensibilmente. Soddisfatto della nuova velocità di salita, circa diciotto miglia all’ora, passò a familiarizzare con il bruciatore, cercando qualcosa nel suo ritmo — quattro minuti acceso e venti spento — che entrasse a far parte della sua coscienza, che andasse al passo con i suoi orologi interni, cuore, polmoni. Aveva bisogno di coglierne la più piccola variazione anche nel sonno, quando Zavotle lo sostituiva ai comandi.
Il pranzo che Flenn aveva preparato aveva attinto alle limitate riserve fresche ed era più abbondante di quanto Toller si aspettasse: fette di carne abbastanza magra in salsa, legumi, focacce di grano fritte e boccali di tè verde bollente. Mentre mangiava Toller staccò il bruciatore, permettendo alla nave di salire, libera e silenziosa, con la spinta accumulata. Il calore emanato dalla camera di combustione si mescolò ai vapori aromatici della cambusa, trasformando la navicella in un’oasi casalinga galleggiante in un universo di vuoto azzurro.
A metà del pasto calò la piccola notte con un fugace sprazzo di colori iridati che lasciarono il posto a un’oscurità improvvisa. Mentre gli occhi dell’equipaggio si abituavano alle nuove condizioni di luce il cielo fiammeggiò di vita tutto intorno. Gli uomini reagirono alla mancanza di terra sotto i piedi con vivaci manifestazioni di cameratismo.Aleggiava una tacita impressione che si stessero formando amicizie per la vita, e in quell’atmosfera ogni aneddoto era interessante, ogni millanteria credibile, ogni scherzo estremamente divertente. E anche quando le chiacchiere infine si spensero a poco a poco, la comunicazione continuò su un altro piano.
Toller non poteva partecipare più di tanto perché non poteva abbandonare i comandi, ma era ugualmente eccitato. Dalla sua posizione seduta il bordo della navicella gli arrivava giusto a livello degli occhi il che significava che non poteva vedere niente se non enigmatici mulinelli di luce, piatte code nebbiose di comete, e stelle, e stelle, e sempre più stelle. L’unico suono era l’occasionale scricchiolio di una fune, l’unico movimento percettibile quello delle meteore che scendevano lentamente scrivendo i loro messaggi sulla lavagna della notte.
Poteva facilmente immaginarsi alla deriva nelle profondità luminose dell’universo, e d’improvviso, inaspettatamente, gli venne il desiderio ardente di avere accanto una donna, una presenza femminile che in qualche modo avrebbe dato al viaggio un significato. Gli sarebbe piaciuto essere con Fera in quel momento, ma poi pensò che la sua permeante carnalità si sarebbe male accordata con il suo stato d’animo. Non era Fera la donna giusta… una donna capace di esaltare gli aspetti mistici di quell’esperienza… una donna come…
Toller cancellò in fretta quell’immagine, subito, con ansia. Per un attimo la sensazione del corpo sottile di Gesalla Maraquine l’aveva aggredito in modo scioccante. Saltò in piedi, sentendosi colpevole e confuso, alterando l’equilibrio della navicella.
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