Bob Shaw - Sfida al cielo

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Sfida al cielo: краткое содержание, описание и аннотация

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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— Io spero — disse Ondobirtre mentre riempiva di nuovo il bicchiere degli adulti, — che tutti i presenti abbiano notato l’aspetto insolito dell’uscita di questa mattina.

Gehate sbuffò. — Sì. Tu non ti sei attaccato al brandy prima che noi altri ci arrivassimo vicino.

— Non è questo — disse Ondobirtre gravemente, rifiutando la provocazione. — Pensate pure che io sia un idiota, ma in tutti gli anni in cui siamo venuti a testimoniare alla prova, avete mai visto una volta che tre globi siano apparsi prima che i blucorni avessero smesso di scoreggiare dopo la salita? Vi sto dicendo, cari amici dalla vista corta, che i ptertha sono in aumento. Infatti, a meno che non sia in preda ai fumi dell’alcol, abbiamo un’altra coppia di visitatori.

La compagnia si voltò a guardare lo spazio tra le due reti e vide che altri due ptertha erano scesi dall’oscurità del tetto di nuvole e stavano fiutando per trovare la strada lungo le barriere di corda.

— Sono miei — gridò Gehate correndo in avanti. Si fermò, si bilanciò e scagliò due bacchette in rapida successione, distruggendo entrambi i globi con facilità. La polvere macchiò l’aria per un attimo.

— Qui ti volevo! — Urlò Gehate. — Non hai bisogno di essere tirato su come un soldato per imparare a difenderti. Posso ancora insegnarti due o tre cose, giovane Hallie!

Hallie restituì il bicchiere a Ondobirtre e corse vicino a Gehate, ansioso di competere con lui. Dopo il secondo brandy anche Dalacott e Thessaro li raggiunsero e fecero a gara nel distruggere ogni globo che appariva, smettendo solo quando la nebbia si ritirò dall’estremità del cunicolo e i ptertha la seguirono verso quote più alte. Dalacott era impressionato: nello spazio di un’ora erano scesi nel cunicolo circa quaranta globi, molti più di quanti sarebbe stato ragionevole aspettarsi. Mentre gli altri stavano raccogliendo le loro bacchette in vista della partenza, ne discusse con Ondobirtre.

— È quello che sto dicendo da tanto tempo — disse l’altro, che era rimasto a bere brandy tutto il tempo e si faceva sempre più pallido e imbronciato. — Ma tutti pensano che io sia un idiota.

Quando la carrozza fu di ritorno a Klinterden, il sole era ormai vicino al margine orientale di Sopramondo, e la festa della piccola notte in onore di Hallie stava per cominciare.

I veicoli e gli animali degli ospiti vennero riuniti nel cortile anteriore della villa, mentre un certo numero di bambini giocava nel giardino. Hallie, primo a saltare giù dalla carrozza, corse in casa a cercare sua madre. Dalacott lo seguì a passo più calmo, dato che il dolore alla gamba era tornato per la lunga immobilità cui l’aveva costretto la carrozza. Aveva poco entusiasmo per le grandi feste né lo attraeva troppo il resto della giornata, ma sarebbe stato scortese da parte sua non restare per la notte. Un’aeronave militare lo avrebbe preso a bordo il giorno successivo per riportarlo al quartier generale della Quinta Armata a Trompha.

Conna lo salutò con un caldo abbraccio quando entrò in casa. — Grazie per esserti preso cura di Hallie — disse. — È stato così superbo come dice?

— Assolutamente! Una splendida prestazione. — Dalacott era contento di vedere che Conna ora aveva un’aria allegra e serena. — Ha fatto in modo che Gehate fosse tutt’orecchie, te lo garantisco.

— Ne sono felice. Ora, ricorda quello che mi hai promesso a colazione. Voglio vederti mangiare, non solo piluccare il cibo.

— L’aria fresca e l’esercizio mi hanno fatto venire fame — mentì Dalacott. Lasciò la nuora a dare il benvenuto ai tre testimoni e andò nella parte centrale della casa, affollata di uomini e donne che conversavano animatamente in piccoli gruppi. Contento che nessuno avesse notato il suo arrivo, prese con calma un bicchiere di succo di frutta dal tavolo dei bambini e si avvicinò a una finestra. Da quel punto poteva vedere un buon tratto di strada verso ovest, in un panorama di terra coltivata che sfumava all’orizzonte in una fila di basse colline verde-blu. Le strisce di campi mostravano una successione di morbide tinte, dal verde chiaro delle nuove piantagioni al giallo scuro delle messi mature per la mietitura.

Mentre guardava, le colline e i campi più distanti scintillarono di tutti i colori dell’iride, poi la luce bruscamente si attenuò. La banda scura dell’ombra di Sopramondo correva sul paesaggio a velocità orbitale, immediatamente seguita dal suo cono d’ombra. Ci volle appena la frazione di un minuto perché il veloce muro di oscurità raggiungesse e avvolgesse la casa: la piccola notte era iniziata. Era un fenomeno che Dalacott non si era, mai stancato di guardare. Mentre i suoi occhi si adattavano alle nuove condizioni di luce, il cielo sembrò fiorire di stelle, spirali indistinte e comete, e lui si ritrovò a chiedersi se davvero ci fossero, come alcuni asserivano, altri mondi abitati che ruotavano attorno a soli lontanissimi. In passato l’esercito aveva assorbito troppe delle sue energie mentali per lasciargli modo di pensare seriamente a cose del genere, ma di recente aveva trovato conforto nell’idea che poteva esistere un’infinità di pianeti, e che su uno di essi poteva esserci un’altra Kol corron, identica a quella che conosceva sotto ogni aspetto tranne uno. Era possibile che esistesse un altro Mondo, sul quale le persone amate che aveva perduto erano ancora vive?

L’odore evocativo di candele e di lanterne a olio appena accese portò indietro i suoi pensieri alle poche notti preziose che aveva passato con Aytha Maraquine. Nel primo periodo d’ardore Dalacott era sicuro, con assoluta certezza, che avrebbero vinto tutte le difficoltà, superato tutti gli ostacoli che sbarravano la strada del loro eventuale matrimonio. Aytha, che aveva il grado di solisposa, avrebbe dovuto sopportare il duplice peso di divorziare da un marito malato e di risposarsi infrangendo la più grande di tutte le barriere sociali, quella che separava la classe militare da tutte le altre. Lui avrebbe dovuto far fronte allo stesso tipo di problemi, con l’ulteriore complicazione che il divorzio da Toriane, figlia di un governatore militare, avrebbe rischiato di mettere in pericolo la sua stessa carriera.

Ma niente di tutto ciò aveva importanza per Dalacott nella sua passione febbrile. Poi era venuta la campagna Paladiana, che sarebbe dovuta essere breve ma che in realtà lo aveva costretto a rimanere separato da Aytha per quasi un anno. Poi era arrivata la notizia che lei era morta dando alla luce un figlio maschio. Il primo impulso di Dalacott era stato quello di rivendicare il bambino, mantenendo la parola data ad Aytha, ma poi erano intervenute le fredde voci della logica e dell’interesse personale. Che scopo c’era a macchiare il buon nome di Aytha, e nello stesso tempo pregiudicare la sua carriera e portare l’infelicità nella sua famiglia? Non ne avrebbe beneficiato nemmeno il ragazzo: molto meglio per Toller crescere tra le comodità e l’affetto di parenti e amici materni.

Alla fine Dalacott aveva scelto la razionalità. Non aveva neppure cercato di vedere suo figlio, e gli anni erano scivolati via, e le sue capacità lo avevano portato all’alto grado di generale. Ora, in quella tarda fase della sua vita, tutta la storia pareva emergere da un sogno e non gli portava più dolore, tranne il fatto che altre domande e dubbi avevano cominciato a turbare le sue ore di solitudine. Nonostante le sue affermazioni solenni, aveva realmente inteso sposare Aytha? Non si era sentito sollevato, magari inconsciamente, quando la morte di lei aveva eliminato la necessità di prendere una decisione in un senso o nell’altro? In breve, lui, il generale Risdel Dalacott, era l’uomo che aveva sempre creduto di essere? O era un…?

— Sei qui! — esclamò Conna, avvicinandosi con un bicchiere di vino di grano che mise a forza nella sua mano libera togliendogli dall’altra il succo di frutta. — Devi unirti agli ospiti, sai. Altrimenti sembrerà che ti consideri troppo famoso e importante per accettare i miei amici.

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