Bob Shaw - Sfida al cielo

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Sfida al cielo: краткое содержание, описание и аннотация

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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“Ancora efficiente”, pensò. “Ma farò ancora solo un altro anno. L’esercito ha già preso troppo da me”.

Indossando un abito borghese blu, si concentrò sulla giornata che lo aspettava. Era il dodicesimo compleanno di suo nipote Hallie, e una parte del rituale previsto per entrare all’accademia militare esigeva che il ragazzo dovesse combattere da solo contro i ptertha. Era un momento importante, e Dalacott ricordava ancora l’orgoglio che aveva provato quando suo figlio, Oderan, aveva superato a suo tempo la stessa prova. La carriera militare di Oderan era stata poi spezzata dalla morte, a trentatré anni, in uno scontro aeronavale a Yalrofac, e toccava a Dalacott rappresentarlo nelle celebrazioni della giornata.

Finì di vestirsi, lasciò la stanza da letto e scese in sala da pranzo, dove nonostante l’ora mattutina trovò Conna Dalacott seduta al tavolo rotondo. Era una donna alta, dal viso aperto, con una figura appena appesantita dall’incipiente mezza età.

— Buon antigiorno, Conna — disse, notando che era sola. — Hallie dorme ancora?

Il giorno del suo dodicesimo compleanno? — La donna fece un cenno del capo verso il giardino recintato, di cui si vedeva un angolo dalla porta-finestra. — È lì fuori da qualche parte, a esercitarsi. Non ha nemmeno guardato la sua colazione.

— È un grande giorno per lui. Per tutti noi.

— Sì. — Qualcosa nel timbro della sua voce diceva a Dalacott che Conna era tesa. — Un giorno meraviglioso.

— So che è stressante per te — disse lui dolcemente — ma Oderan avrebbe piacere di sapere che stiamo facendo del nostro meglio per il bene di Hallie.

Conna gli sorrise calma. — Vuoi sempre solo porridge per colazione? Non posso tentarti con un po’ di salmone? Salsiccia? Torta farcita di carne?

— Sono vissuto troppo a lungo con le razioni militari — protestò lui, preferendo evitare l’argomento. Conna aveva mandato avanti la casa e la sua vita, da sola, in maniera impeccabile, nei dieci anni dalla morte di Oderan, e sarebbe stato quantomeno presuntuoso da parte sua intromettersi nel suo ménage.

— Molto bene — disse lei, cominciando a servirlo da uno dei piatti coperti sulla tavola — ma scordati le razioni militari nel banchetto della piccola notte.

— D’accordo! — Mentre Dalacott mangiava il suo delicato porridge scherzando con la nuora, i suoi pensieri seguivano implacabili un altro corso, e come succedeva spesso da un po’, il ricordo del figlio che aveva perso evocava quello del figlio che non aveva mai rivendicato. Guardando indietro alla sua vita, ancora una volta dovette constatare come spesso le svolte più importanti fossero irriconoscibili come tali, e come alle volte ci si arrivasse partendo da una cosa insignificante.

Se tutti quegli anni prima non avesse abbassato la guardia durante una scaramuccia da niente, a Yalrofac, non avrebbe riportato la grave ferita alla gamba. La ferita lo aveva costretto a una lunga convalescenza nella quiete della provincia di Redant; ed era stato lì, mentre camminava lungo il fiume Bes-Undar, che gli era capitato di trovare il più strano oggetto naturale che avesse mai visto, e che ancora portava con sé ovunque andasse. Era in suo possesso da quasi un anno quando, in una delle sue rare visite alla capitale, l’aveva impulsivamente portato al quartiere scientifico di Greenmount per farlo esaminare e scoprirne eventuali proprietà.

Non aveva scoperto niente sull’oggetto, ma molto su se stesso.

Come soldato di carriera, aveva preso una solisposa quasi come un dovere per la sua posizione, per assicurarsi un erede e per provvedere ai suoi bisogni tra una campagna e l’altra. I suoi rapporti con Toriane erano stati piacevoli, regolari e caldi, e lui si era sempre considerato soddisfatto fino al giorno in cui era entrato nel cortile di una Casa Quadrata a Greenmount, e aveva visto Aytha Maraquine. Il suo incontro con la giovane donna dal corpo sottile, come una miscela di cristalli verdi e porpora aveva prodotto una violenta esplosione di passione e di estasi e, infine, un dolore intensissimo che non avrebbe mai creduto possibile.

— Il carro è arrivato, nonno — gridò Hallie, bussando alla portafinestra. — Siamo pronti per andare sulla collina.

— Arrivo. — Dalacott fece un cenno con la mano al ragazzo biondo che nel patio stava ballando per l’eccitazione. Hallie era alto e robusto, ben capace di tenere in mano le grandi bacchette anti-ptertha che tintinnavano appese alla sua cintura.

— Non hai finito il tuo porridge — disse Conna alzandosi, con un tono pratico che non riusciva affatto a nascondere la sua emozione.

— Sai, non c’è assolutamente ragione che tu ti preoccupi — disse lui. — Un ptertha che si sposta sul terreno aperto, alla luce del giorno, non rappresenta una minaccia per nessuno. È un gioco da bambini, e in ogni caso starò vicino a Hallie per tutto il tempo.

— Grazie. — Conna si rimise seduta, fissando il suo piatto ancora intatto, finché Dalacott ebbe lasciato la stanza.

Lui uscì nel giardino che, come era normale in campagna, era cintato da alti muri sormontati da schermi anti-ptertha, che potevano essere chiusi in alto durante la notte, o quando calava la nebbia. Hallie venne correndo verso di lui, ricreando l’immagine di suo padre alla stessa età, e gli prese la mano. Camminarono verso il carro nel quale aspettavano tre uomini, amici di famiglia, che sarebbero stati i testimoni dell’entrata del ragazzo nell’età adulta. Dalacott, che aveva rinnovato la loro conoscenza la sera precedente, scambiò con loro i debiti saluti mentre lui e Hallie prendevano posto sulle panche imbottite del grande carro. Il cocchiere schioccò la frusta sui quattro blucorni e il veicolo si allontanò.

— Oho! Abbiamo qui un esperto veterano? — disse Geliate, un mercante in pensione, sporgendosi in avanti per dare un colpetto a una bacchetta anti-ptertha a forma di “Y” che spiccava tra le armi di Hallie in mezzo a quelle classiche Kolcorriane a forma di croce.

— È Balliniana — rispose il ragazzo con fierezza, accarezzando il legno levigato e finemente decorato dell’arma, che Dalacott gli aveva regalato un anno prima. — Vola più lontano delle altre. Efficace a trenta iarde. Anche i Gethani le usano. I Gethani e i Cissoriani.

Dalacott restituì i sorrisi indulgenti suscitati dallo sfoggio di conoscenza del ragazzo. Su Mondo, bacchette di una forma o di un’altra, come difesa contro i ptertha, erano in uso sin dai tempi antichi praticamente dappertutto, e si erano sempre rivelate efficaci. I globi misteriosi scoppiavano come bolle di sapone una volta raggiunta la distanza mortale per un uomo, ma prima mostravano una sorprendente capacità di resistenza. Un proiettile, una freccia e persino una lancia potevano passare attraverso un ptertha senza causargli alcun danno; il globo avrebbe soltanto tremolato un attimo mentre riparava i fori nella sua pelle trasparente. Ci voleva un’arma rotante, qualcosa di dirompente, per poterne disgregare la struttura e disperdere nell’aria la sua polvere velenosa.

Anche le bolas si erano dimostrate valide contro i ptertha, ma erano difficili da controllare e troppo pesanti per essere portate in quantità, mentre una bacchetta da lancio multilama era piatta, leggera, e facilmente trasportabile. Era fonte di meraviglia per Dalacott che persino gli indigeni più primitivi avessero imparato che fabbricando ogni lama con una punta arrotondata e un’altra appiattita si otteneva un’arma capace di sostenersi in aria come un uccello, e che volava molto più in là di un normale proiettile. Senza dubbio era stata questa proprietà quasi magica ad indurre gente come i Balliniani a prodigare tanta cura nell’intaglio e nella decorazione delle loro bacchette. Per contrasto, i più pratici Kolcorriani preferivano un modello più semplice a quattro lame, più adatto alla produzione in serie perché costituito da due barre dritte unite insieme al centro.

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