Glo fece un cenno d’assenso. — Questo è il solo modo per presentare una nuova idea, sapete. Pianta un piccolo seme e poi lascialo… hmm… germogliare.
Toller voltò le spalle, con una gran voglia di ridere nonostante tutto quello che era successo, e portò il cavalletto verso il suo blucorno legato. L’assicurò con una cinghia ai fianchi dell’animale, prese dalle mani di Quate e Locranan le tabelle arrotolate e si preparò a partire. Il sole era un po’ più che a metà strada dal margine orientale di Sopramondo: la durata dell’umiliazione era stata misericordiosamente breve, e lui aveva ancora il tempo di fare una colazione ritardata come primo passo per salvare il resto della giornata. Aveva messo un piede sulla staffa quando suo fratello apparve al suo fianco.
— Ma cos’hai nella testa? — chiese Lain. — Il tuo comportamento a palazzo è stato spaventoso, persino per i tuoi standard normali.
Toller rimase sconcertato. — Il mio comportamento?
— Sì! Nello spazio di pochi minuti ti sei inimicato due degli uomini più pericolosi dell’impero. Come hai fatto?
— È molto semplice — rispose Toller gelido. — Mi sono comportato da uomo.
Lain sospirò esasperato. — Ne discuteremo ancora quando saremo tornati a Greenmount.
— Non ne dubito. — Toller montò sul blucorno e lo incitò a procedere senza aspettare la carrozza. Nella cavalcata di ritorno verso la Casa Quadrata la sua irritazione nei confronti di Lain svanì, quando considerò la poco invidiabile posizione di suo fratello. Il Lord Filosofo stava screditando l’ordine, ma nella sua qualità di membro reale poteva essere destituito solo dal Re. Tentare di allontanarlo sarebbe stato perseguibile come atto di sedizione, e in ogni caso Lain era personalmente troppo leale verso di lui per criticarlo. Quando fosse divenuto di dominio pubblico che Glo aveva proposto di mandare navi su Sopramondo tutti coloro che erano legati a lui sarebbero diventati oggetto di derisione. E Lain avrebbe sopportato tutto in silenzio, ritirandosi ancora di più tra i suoi libri e i suoi diagrammi, mentre il diritto dei filosofi su Greenmount sarebbe diventato ogni giorno più precario.
Quando arrivò a casa la mente di Toller si era stancata dei pensieri astratti e cominciava a preoccuparsi del fatto che aveva fame. Non solo aveva saltato la colazione il giorno precedente, ma non aveva praticamente mangiato niente, e adesso sentiva un vuoto scalpitante nello stomaco. Legò il blucorno nel recinto e, senza scomodarsi a togliergli il carico, entrò subito in casa con l’intenzione di andare direttamente in cucina.
Per la seconda volta quella mattina si trovò inaspettatamente davanti Gesalla, che stava attraversando l’ingresso diretta verso il salone ovest. Si voltò verso di lui, abbagliata dalla luce che veniva dal passaggio a volta, e sorrise. Il sorriso durò solo un attimo, quel tanto che le bastò per riconoscerlo controluce, ma il suo effetto su Toller fu strano. Gli sembrò di vedere Gesalla per la prima volta, una dea dagli occhi luminosi come il sole, e in quell’istante si sentì inesplicabilmente come se avesse perso qualcosa, non beni materiali ma tutto il potenziale della vita stessa. La sensazione svanì in fretta com’era venuta, ma lo lasciò triste e stranamente mite.
— Oh, sei tu — disse Gesalla con voce fredda. — Pensavo che fosse Lain.
Toller sorrise, chiedendosi se avrebbe potuto iniziare un nuovo e costruttivo rapporto con lei.
— Uno scherzo della luce.
— Come mai sei di ritorno così presto?
— Ah… la riunione non è andata secondo il previsto. C’è stata qualche difficoltà. Te ne parlerà Lain; sta venendo a casa anche lui.
Gesalla scosse la testa e si mosse, ancora in piena luce. — Perché non puoi dirmelo tu? È stato qualcosa che ha a che fare con te?
— Con me?
— Sì. Avevo avvisato Lain di non lasciarti gironzolare vicino al palazzo.
— Bene, forse si sta stancando quanto me delle tue prediche torrenziali. — Toller cercò di smettere di parlare, ma una specie di febbre si era impossessata di lui. — Forse ha cominciato a pentirsi di aver sposato un pezzo di legno secco invece di una vera donna.
— Grazie. Passerò a Lain tutti i tuoi commenti. — Le labbra di Gesalla presero un’espressione ironica, mostrando che, ben lungi dall’essere ferita, era invece compiaciuta di aver provocato il genere di reazione incontrollata che forse avrebbe portato a bandire Toller dalla Casa Quadrata. — Devo dedurne che il tuo concetto di donna vera è incarnato dalla sgualdrina che sta aspettando nel tuo letto in questo momento?
— Puoi desumere… — Toller si accigliò, cercando di far capire che si era completamente dimenticato della sua compagna notturna. — Dovresti frenare la lingua! Felise non è affatto una sgualdrina.
Gli occhi di Gesalla scintillarono. — Il suo nome è Fera.
— Felise o Fera, non è una sgualdrina.
— Non voglio discutere di definizioni con te — disse lei, usando adesso toni fatui, freddi ed esasperanti. — Il cuoco mi ha detto che hai lasciato istruzioni perché alla tua… ospite venisse dato tutto il cibo che desiderava. E se quello che ha già mangiato durante l’antigiorno è un metro di valutazione, dovresti ritenerti fortunato di non doverla mantenere come moglie.
— Ma lo faccio! — Toller lo disse più che altro per ripicca, una frecciata, una reazione automatica, senza curarsi delle conseguenze. — Stavo cercando di dirti che ho dato a Fera lo status di mediamoglie prima di uscire, stamattina. Sono sicuro che imparerai presto ad apprezzare la sua compagnia nella conduzione della casa, e poi saremo tutti amici. Ora, se vuoi scusarmi…
Sorrise, assaporando lo sbigottimento e l’incredulità sul viso di Gesalla, poi si voltò e andò senza fretta verso la scala principale, cercando di nascondere a se stes so l’intontita confusione per quello che uno scatto d’ira aveva fatto alla sua vita. L’ultima cosa, che voleva era la responsabilità di una moglie, fosse anche di quarto grado, e poteva solo sperare che Fera avrebbe rifiutato la proposta che si era impegnato a offrirle.
Il generale Risdel Dalacott si svegliò alle prime luci e, seguendo un’abitudine che raramente aveva trascurato nei suoi senssantotto anni di vita, lasciò il letto immediatamente.
Fece diverse volte il giro della stanza, e il suo passo diventava sempre più sicuro man mano che la rigidezza e il dolore liberavano gradualmente la sua gamba sinistra. Erano passati quasi trent’anni da quel dopogiorno, durante la prima campagna di Sorka, in cui una pesante lancia Merilliana gli aveva spezzato il femore proprio sopra il ginocchio. La ferita lo aveva ciclicamente tormentato, in quei trent’anni, e ora i periodi in cui lo lasciava in pace stavano diventando sempre più brevi e sempre più rari.
Appena fu soddisfatto dalla forma della gamba entrò nell’adiacente stanza da bagno e tirò la leva di brakka smaltato sulla parete. L’acqua calda che schizzò su di lui dal soffitto bucherellato gli ricordò che non si trovava nei suoi spartani alloggiamenti di Trompha. Poi mise da parte quell’irrazionale senso di colpa, e si godette il piacere del calore che lo avvolgeva e gli scioglieva i muscoli.
Dopo essersi asciugato si fermò davanti a uno specchio fissato al muro, fatto di due strati di vetro chiaro con indici di rifrazione diversi, e passò a un’attenta valutazione della sua immagine. Nonostante l’età avesse lasciato inevitabili segni sul corpo un tempo energico, l’austera disciplina del suo modo di vivere l’aveva quanto meno mantenuto snello. Il suo viso lungo, pensieroso, si era coperto di profonde rughe, ma il grigio che si era fatto strada nei suoi corti capelli si confondeva con il loro color biondo, e il suo aspetto complessivo era quello di chi gode di ottima forma e salute.
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