- Non sono ubriaco — mormorò Glo, parlando da un angolo della bocca. — Portami via da qui, ragazzo mio — penso di essere quasi morto.
Fera Rivoo si era adattata bene al suo nuovo stile di vita a Greenmount Peel, ma nessun tentativo di Toller l’aveva mai persuasa a montare a cavallo di un blucorno, e neppure di uno dei più piccoli biancocorni spesso preferiti dalle donne. Di conseguenza, quando Toller voleva uscire dal Peel con sua moglie per prendere una boccata d’aria o semplicemente per cambiare ambiente era obbligato ad andare a piedi. Per lui, il camminare, come forma di esercizio fisico o come modo di viaggiare, era poco interessante, trovava che fosse noioso e che imponesse un ritmo troppo lento, ma Fera lo vedeva come il solo modo per fare un giro nei distretti della città quando non aveva nessuna carrozza a sua disposizione.
— Ho fame — annunciò quando raggiunsero Piazza dei Navigatori, vicino al centro di Ro-Atabri.
:— Certo che ne hai — disse Toller. — Perché dev’essere passata almeno un’ora dalla tua seconda colazione.
Fera gli diede un colpo alle costole con il gomito e gli scoccò un sorrisino malizioso. — Vuoi che conservi la mia energia, vero?
— Ti è mai venuto in mente che potrebbe esserci qualcosa di più nella vita oltre al sesso e al cibo?
— Sì: il vino. — Si riparò gli occhi dal primo sole dell’antigiorno e studiò i chioschi dei pasticceri più vicini, disseminati lungo il perimetro della piazza. — Penso che prenderò un po’ di torta al miele, e forse un sorso di bianco Kailiano per mandarla giù.
Lanciando proteste simboliche Toller provvide agli acquisti, poi entrambi si sedettero su una delle panchine di fronte alle statue di illustri navigatori del passato. La piazza si apriva su un misto di costruzioni pubbliche e commerciali, che per la maggior parte esibivano, in varie sfumature di muratura e mattonelle, il tradizionale disegno Kolcorriano a diamanti interconnessi. I colori degli alberi in fasi del diverso ciclo di maturazione e l’abbigliamento variopinto dei passanti macchiavano gaiamente l’assolato chiaroscuro. Una brezza occidentale rendeva l’aria piacevole e frizzante.
— Devo ammettere — disse Toller sorseggiando un po’ di vino leggero e fresco, — che questo è molto meglio che lavorare con Hargeth. Non ho mai capito perché il lavoro di ricerca scientifica debba sempre includere odori infernali.
— Oh, povera delicata creatura! — Fera si tolse una briciola dal mento. — Se vuoi sapere cos’è davvero la puzza dovresti provare a lavorare al mercato del pesce.
— No, grazie. Preferisco rimanere dove sono — rispose Toller. Erano passati quasi venti giorni dall’improvvisa malattia di Lord Glo, ma Toller stava ancora apprezzando il conseguente cambiamento delle sue condizioni e del suo lavoro. Glo era stato colpito da una paralisi che aveva attaccato la parte sinistra del suo corpo e si era trovato ad aver bisogno di un assistente personale, preferibilmente dotato di buona forza fisica.Quando gli era stato offerto il posto, Toller aveva accettato immediatamente, e si era trasferito con Fera nella spaziosa residenza di Glo, sul lato occidentale di Greenmount. La nuova sistemazione, oltre ad essere stata accolta con sollievo a Mardavan Quays, aveva risolto la difficile situazione in casa Maraquine, e Toller stava facendo uno sforzo coscienzioso per sentirsi soddisfatto. Una tristezza senza luce si impadroniva di lui qualche volta, quando paragonava la sua vita da servo con quella che avrebbe desiderato, ma era qualcosa che teneva sempre per se stesso. C’era di buono che Glo, che aveva trovato in lui un assistente premuroso, appena aveva riacquistato una certa parte della sua autonomia aveva cercato di limitare al massimo le sue richieste.
— Lord Glo sembrava molto indaffarato stamattina — disse Fera. — Sentivo il ticchettio continuo di quell’eliografo da qualunque parte andassi.
Toller annuì. — Ha parlato a lungo con Tunsfo, ultimamente. Credo che sia preoccupato per i rapporti dalle province.
— Non ci sarà davvero un’epidemia, vero, Toller? — Fera si rannicchiò nelle spalle, disgustata, accentuando la fessura tra i seni. — Non sopporto di avere gente malata intorno a me.
Non preoccuparti! Da quello che ho sentito non resterebbero intorno a te molto a lungo; circa due ore, sembra essere la media.
— Toller! — Fera lo fissò in un rimprovero a bocca aperta, con la lingua ricoperta di un bell’impasto di dolce al miele.
— Non c’è niente per cui tu debba agitarti — disse Toller rassicurante, anche se a detta di Glo qualcosa di simile a un’epidemia era scoppiata simultaneamente in otto posti molto distanti fra loro. I primi attacchi erano stati segnalati nelle province palatine di Kail e Middac; poi nelle remote regioni di Sorka, Merrill, Padale, Ballin, Yarlofac e Loongl. Da alcuni giorni non succedeva più niente, e Toller sapeva che le autorità stavano sperando contro ogni ragione che la calamità fosse di natura passeggera, che la malattia si fosse esaurita da sola, che la grande madre Kolcorron e la sua capitale ne sarebbero uscite indenni. Toller poteva capire i loro sentimenti, ma vedeva poche ragioni di ottimismo. Se i ptertha avevano aumentato il loro raggio d’azione e il loro mortale potere fino ai valori terrificanti suggeriti dai dispacci, allora, secondo lui, non c’era la minima possibilità che si fermassero. Il momento di respiro che il genere umano stava godendo poteva anche significare che i ptertha si stavano comportando da nemici intelligenti e spietati che, avendo sperimentato con successo una nuova arma, si ritiravano per consultarsi e mettere a punto una più dirompente offensiva.
— Devo tornare al Peel presto. — Toller vuotò la sua coppa di porcellana e la mise sotto la panchina perché i venditori la ritirassero. — Glo vuole fare il bagno prima della piccola notte.
— Sono felice di non doverti aiutare.
— Ha un suo genere di coraggio, sai. Penso che io non sarei capace di sopportare una vita da storpio, ma quanto a lui, non l’ho ancora sentito lamentarsi una volta.
— Perché continui a parlare di malattie quando sai che non mi piace? — Fera si alzò e lisciò il sottile piumaggio del suo vestito. — Abbiamo il tempo di fare una passeggiata fino alle Fontane Bianche?
— Veloce, però. — Toller prese sua moglie sottobraccio, attraversarono la Piazza dei Navigatori e camminarono lungo i viali affollati che portavano ai giardini municipali. Le fontane scolpite in marmo Padaliano, candide come la neve, riempivano l’aria di una freschezza corroborante. Gruppi di persone, a volte con bambini, stavano passeggiando tra le macchie di luminoso fogliame, e il suono di estemporanee risate sottolineava la serenità idilliaca della scena.
— Suppongo che questo possa essere visto come il compendio della vita civilizzata — commentò Toller. — La sola cosa sbagliata, ma questo è solo il mio punto di vista, è che è troppo… — Si bloccò quando la nota alta e rauca di un corno d’allarme risuonò dalla punta di un tetto vicino e riecheggiò sonora da altre in punti più distanti della città.
— Ptertha! — Toller alzò lo sguardo al cielo.
Fera gli si fece più vicina. — È uno sbaglio, vero, Toller? Non vengono dentro la città.
— Faremmo comunque meglio a metterci al riparo — disse lui spingendola verso le costruzioni a nord dei giardini. La gente intorno stava scrutando il cielo, ma, tale era il potere della convinzione e dell’abitudine, solo qualcuno si stava affrettando a mettersi al coperto. I ptertha erano un implacabile nemico naturale, ma molto tempo prima si era stabilito quasi un compromesso, e l’esistenza stessa della civiltà era stata basata sui modelli di comportamento dei ptertha, presumendoli costanti e prevedibili. Era pressoché impensabile che i globi maligni dessero un’improvvisa, radicale svolta alle loro abitudini, e quanto a questo Toller la pensava come la gente attorno a lui, ma le notizie dalle province avevano piantato semi d’inquietudine nella sua mente. Se i ptertha potevano cambiare in un modo, perché non in un altro?
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