Bob Shaw - Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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Una donna urlò, poco lontano, alla sua sinistra, e quel suono inarticolato gli sembrò la risposta del mondo reale alle sue meditazioni astratte. Guardò ih quella direzione e vide un ptertha scendere leggero nel cono brillante del sole. Il globo violaceo calò proprio in mezzo a una zona affollata al centro dei giardini, e ora anche gli uomini stavano gridando facendo da contrappunto al pressante squillo dei corni. Fera s’irrigidì per lo shock quando intravide il ptertha nell’attimo estremo della sua esistenza.

— Corri! — Toller le afferrò la mano e scattò in direzione dei palazzi a peristilio delle corporazioni. Nella sua corsa affannosa sul terreno aperto i suoi sensi erano all’erta per stare in guardia da altri globi, ma non c’era più bisogno di cercarli. Erano più che visibili adesso, mentre andavano alla deriva tra i tetti e le cupole e i comignoli nella calma luce del pomeriggio.

Solo pochi cittadini dell’impero Kolcorriano erano vissuti nell’incubo di essere sorpresi all’aperto da uno sciame di ptertha, e nell’ora successiva Toller non solo sperimentò quell’incubo in tutti i suoi aspetti ma andò anche oltre, entrando in nuovi regni di terrore.

Con una nuova, terrificante baldanza i ptertha stavano scendendo a livello della strada, fuori e dentro la città, silenziosi e scintillanti, invadendo giardini e recinzioni, lanciandosi lentamente nelle piazze, nascondendosi all’ombra delle arcate e dei colonnati. Venivano annientati dalla gente in preda al terrore, ma era proprio qui che i limiti dell’antico incubo si rivelavano superati, perché Toller sapeva, con una desolata, muta certezza, che gli invasori rappresentavano la nuova stirpe di ptertha.

I portatori dell’epidemia.

Nello storico dibattito sulla natura dei ptertha, i fautori dell’idea che i globi possedessero un qualche tipo di mente avevano sempre sottolineato il fatto che essi evitavano giudiziosamente le città e i grandi villaggi. Anche gli sciami relativamente numerosi sarebbero stati rapidamente distrutti se si fossero avventurati in un ambiente urbano, specialmente in condizioni di buona visibilità. La spiegazione sarebbe stata che i globi erano meno interessati a futili attacchi, chiara evidenza di attività mentale, e la teoria aveva avuto una certa attendibilità fino a quando il raggio d’azione dei ptertha rispettava una certa distanza.

Ma, come Toller aveva intuito subito, i lividi globi che scendevano su Ro-Atabri erano portatori di una diversa rovina.

Per ognuno che veniva distrutto, molti uomini sarebbero stati colpiti dal nuovo tipo di polvere venefica capace di uccidere anche a grande distanza, e l’orrore non si fermava lì, perché le nuove, spietate regole decretavano che ogni vittima diretta avrebbe contagiato e ucciso, nel breve tempo che gli rimaneva, una dozzina di altre persone.

Passò un’ora prima che il vento cambiasse e ponesse fine al primo attacco su Ro-Atabri, ma in una città dove ogni uomo, donna e bambino era diventato improvvisamente un mortale nemico e andava visto come tale, l’incubo di Toller rischiava di durare molto, molto a lungo…

Uno strato di pioggia insolitamente sottile era caduto durante la notte e ora, nei primi minuti tranquilli dopo l’alba, Toller Maraquine si ritrovò a guardare giù da Greenmount su un mondo sconosciuto. Stralci e brandelli di foschia abbracciavano il terreno e inghirlandavano il panorama sottostante, a tratti oscurando RoAtabri molto più del manto di schermi anti-ptertha installati sopra la città sin dal primo attacco, quasi due anni prima. La sagoma triangolare del Monte Opelmer sbucò a est da una bruma colorata dall’aurora, con le pendici più alte tinte dal sole rosseggiante.

Toller si era svegliato presto, e guidato dall’irrequietezza che ormai lo stava affliggendo sempre di più, aveva deciso di alzarsi e di fare una passeggiata solitaria nei terreni del Peel.

Prima di tutto passò lungo gli schermi difensivi interni, controllando che le reti fossero al loro posto. Prima del furibondo attacco della calamità, solo le case rurali avevano avuto bisogno di barriere anti-ptertha, e all’epoca semplici reti e graticci erano più che sufficienti, ma improvvisamente, sia in città che in campagna, era diventato necessario erigere schermi più elaborati che creavano una zona di sicurezza di almeno trenta iarde intorno alle aree protette. Un singolo strato di reti era ancora sufficiente per la maggior parte delle zone chiuse, perché le tossine dei ptertha venivano portate via orizzontalmente nel vento, ma era vitale che lungo i perimetri ci fossero schermi doppi, ben distanziati e sostenuti da solide impalcature.

Lord Glo aveva ricompensato Toller affidandogli, oltre ai suoi compiti normali, l’incarico delicato e qualche volta pericoloso di supervisionare la costruzione degli schermi del Peel e di qualche altro palazzo del quartiere dei filosofi. La sensazione di fare finalmente qualcosa di importante e di utile lo aveva reso meno turbolento, e i rischi di lavorare all’aperto gli avevano dato soddisfazioni di un genere tutto particolare. Il solo contributo significativo di Borreat Hargeth all’armamento anti-ptertha era stata una bacchetta da lancio dall’aspetto strano, a forma di “L”, che volava più in fretta e più lontano di quella tradizionale a forma di croce, e che nelle mani di un uomo abile poteva distruggere i globi a più di quaranta iarde. Nei suoi giri d’ispezione Toller si era esercitato a lungo con la nuova arma, e si faceva vanto di non aver perso nessun operaio a causa dei ptertha.

Questa fase della sua vita lo aveva calato in un clima generale di oppressione, comunque, e ora, nonostante tutti i suoi sforzi, aveva la sensazione di essere stato preso come un pesce nella rete che proprio lui aveva contribuito a costruire. Considerando che più di due terzi della popolazione dell’impero era stata spazzata via dalla nuova forma di pterthacosi, si sarebbe dovuto ritenere fortunato a essere vivo e in buona salute, con cibo, riparo e una donna sana con cui dividere il letto, ma nessuna di queste considerazioni poteva compensare la tormentosa sensazione di stare sprecando la sua esistenza. Istintivamente rigettava l’insegnamento della Chiesa secondo cui avrebbe avuto una serie infinita di reincarnazioni davanti a lui, alternate tra Mondo e Sopramondo; gli era stata concessa una vita sola, un prezioso, breve intervallo di consapevolezza, e la prospettiva di gettare al vento quello che ne rimaneva gli era intollerabile.

Nonostante la briosa freschezza dell’aria del mattino, Toller si sentì il torace pesante e i polmoni sotto sforzo, come se stesse per soffocare. Sentendosi vicino a un attacco di panico irrazionale, cercò disperatamente uno sfogo fisico per le sue improvvise emozioni, e reagì come non aveva più fatto sin dal suo esilio nella peni sola di Loongl. Aprì un cancello nello schermo interno del Peel, attraversò la zona di sicurezza e andò verso lo schermo esterno, fermandosi sul pendio non protetto di Greenmount. Una striscia di pascolo, legalmente assegnata all’ordine filosofico molto tempo prima, si stendeva davanti a lui per un bel pezzo e la parte più bassa si perdeva tra alberi e foschia. L’aria era quasi completamente immobile, quindi c’erano poche probabilità di imbattersi in un globo vagante, ma la sfida simbolica aveva un effetto calmante sulla pressione psicologica che si era andata accumulando dentro di lui.

Sganciò una bacchetta da ptertha dalla cintura e si stava preparando a scendere ancora più giù dalla collina quando la sua attenzione fu attirata da un movimento ai margini del pascolo. Un cavaliere solitario stava sbucando dal bosco che separava la proprietà dei filosofi dall’adiacente distretto cittadino di Silarbri. Toller tirò fuori il suo cannocchiale, un bene prezioso, e con il suo aiuto riconobbe nel cavaliere un corriere al servizio del Re, che ne portava sul petto il simbolo bianco e blu con la piuma e la spada.

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