Hal Clement - Coesistenza pacifica

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I tecnici erano sconcertati; i diplomatici erano troppo preoccupati per la sorte dei loro rampolli per essere in grado di fornire delle idee costruttive, anche se fossero stati qualificati a darne; ma Raeker credette di avere trovato la risposta.

«Vengono colpiti dalle gocce d’acqua!» gridò.

Doveva avere visto giusto, venne deciso in seguito; ma l’informazione, sul momento, non fu di grande aiuto. Il batiscafo si impennava e sussultava. Il pilota automatico faceva del suo meglio per mantenerlo in linea di volo, ma i comandi aerodinamici erano miseramente inadeguati per questo compito. Almeno due volte l’apparecchio si ribaltò completamente, per quanto poteva giudicare Raeker dalle capriole compiute dal drommiano all’interno della cabina. Fu soltanto la fortuna a impedire al piccolo extraterrestre di toccare qualcuno dei comandi. Per un certo tempo i comandi furono inutili, perché i loro sforzi erano sopraffatti… anche se l’acqua non era molto più densa dell’aria, le enormi gocce bastavano a impedire ogni ragionevole tentativo di regolare il volo. Poi furono inutili perché l’atmosfera non forniva più un punto d’appoggio utilizzabile; l’astronave era stata privata di una buona dose di energia cinetica da parte delle gocce di pioggia, e la sua velocità era nettamente inferiore a quella di volo… bassa com’era, in un’atmosfera sette od ottocento volte più densa di quella della Terra al livello del mare. A questo punto, ovviamente, l’astronave stava cadendo, nel senso più semplice e più antico della parola. Il movimento era ancora irregolare, perché lo scafo veniva ancora colpito dalle gocce; ma la violenza era scomparsa.

La velocità di caduta era sorprendentemente bassa, per un campo a tre G. La ragione era abbastanza semplice… anche con l’atmosfera esterna che riempiva gran parte del suo volume, l’astronave aveva una densità minima. Era uno scafo a forma di sigaro, lungo duecento piedi, e l’unica parte realmente pesante era la sfera di quaranta piedi, al centro, che conteneva il settore abitabile. Probabilmente sarebbero stati evitati dei guasti irreparabili anche se il batiscafo fosse atterrato su un terreno solido; ma in questo caso, la caduta terminò sul liquido.

Liquido reale; non la sostanza instabile che componeva l’atmosfera di Tenebra.

Il batiscafo atterrò ribaltato, ma il suo centro di gravità era abbastanza basso da riportarlo in una posizione più comoda. Il pavimento finalmente smise di ondeggiare, o, per lo meno, fu il drommiano a ritrovare l’equilibrio… dato che la telecamera era incorporata nel quadro di comando, il pavimento era sempre sembrato immobile a coloro che osservavano dallo spazio. Videro il gigante rimettersi cautamente in piedi, e poi avvicinarsi lentamente al sedile della ragazza, e toccarla leggermente sulla spalla. La ragazza si mosse, e cercò di mettersi a sedere.

«Ti senti bene?» I due genitori formularono all’unisono la domanda. Aminadorneldo, che ricordava gli ordini di suo padre, aspettò che fosse Easy a rispondere.

«Credo di sì,» disse lei, dopo un momento, «mi dispiace di avere pianto, babbo; avevo paura. Però non volevo spaventare ‘Mina.»

«Tutto bene, bambina. Sono certo che nessuno può biasimarti, e non credo che la tua reazione abbia avuto molto a che fare con quella del tuo amico. Adesso è importante che siate tutti interi, e che l’astronave sia intatta… penso che, in caso contrario, a quest’ora sareste già morti.»

«Direi che è proprio così,» ammise Sakiiro.

«Il viaggio è stato duro, certo, ma adesso è finito. Dato che siete laggiù, potreste anche dare un’occhiata dagli oblò… siete i primi stranieri che lo fanno. Quando avrete visto tutto quello che c’è da vedere, ditelo al signor Sakiiro, e lui vi farà tornare su. Siamo d’accordo?»

«Certo, babbo.» Easy si passò la mano sul viso segnato dalle lacrime, staccò le cinghie, e finalmente riuscì ad alzarsi in piedi.

«Diavolo, quando toglieranno l’energia? Non mi piacciono tutte queste gravità,» fece notare lei.

«Sei costretta a sopportarle, finché non ti tireremo su,» rispose suo padre.

«Lo so. Stavo solo scherzando. Uhm! Sembra che fuori sia notte; non vedo niente.»

«È notte, se vi trovate nelle vicinanze della macchina,» rispose Raeker. «Ma per i tuoi occhi, anche se fosse giorno le cose non cambierebbero. Neppure Altair può far penetrare in quell’atmosfera abbastanza luce per gli occhi umani. Dovrai usare le luci.»

«Va bene.» La ragazza guardò il quadro di comando, sul quale aveva già individuato i commutatori delle luci; poi, tra la meravigliata approvazione dei tecnici, volle sapere con sicurezza da Sakiiro se quelli erano veramente i commutatori desiderati. Sakiiro ammise più tardi che le sue speranze di salvare la coppia aumentarono notevolmente, in quel momento.

Una volta accese le luci, i due bambini si avvicinarono agli oblò.

«Non c’è molto da vedere,» dichiarò Easy. «Sembra che siamo caduti in un lago, o in un oceano. È liscio come il vetro; niente onde. Direi che si tratta di roba solida, se lo scafo non fosse parzialmente immerso. Dal cielo stanno scendendo dei grossi globi nebulosi, a perdita d’occhio, ma sembra che svaniscano prima di toccare la superficie. È tutto quello che posso vedere.»

«Sta piovendo,» disse semplicemente Raeker. «Il lago è probabilmente di acido solforico. Direi che a questa ora di notte sarà alquanto diluito, ed è più caldo dell’atmosfera, in modo da far svanire le gocce. Non possono esserci delle onde; non c’è vento. Tre nodi orari significano un uragano, su Tenebra.»

«Con tutta quell’energia calorifica in circolazione?» fece, non senza sbalordimento, Rich.

«Sì. Non ha nulla su cui lavorare… uso la parola nel suo senso fisico. Non si verifica un sufficiente cambiamento di volume quando l’atmosfera cambia di temperatura, e anche quando cambia di stato, per creare le differenti pressioni necessarie alla creazione dei venti. Tenebra è probabilmente il posto più calmo che possiamo trovare in qualsiasi atmosfera di qualsiasi pianeta della galassia.»

«Questo contraddice le sue osservazioni sui terremoti, che ho avuto modo di sentire qualche tempo fa?» Questo dava la misura della rinnovellata fiducia di Aminadabarlee sul fatto di poter parlare di qualcosa di diverso dal suo tema preferito della stupidità umana.

«Niente affatto,» ammise Raeker, «e devo anzi ammettere, Easy, che c’è la possibilità che voi incontriate delle onde, se restate a galleggiare in quel punto abbastanza a lungo. Comunque, non potremo mai chiamarle «tempesta», e le onde non vi porteranno mai in luoghi più interessanti. Temo che lei abbia visto tutto quello che c’è da vedere, amica mia; a questo punto, potrebbe anche tornare indietro e venire debitamente recuperata dalla squadra di soccorso.»

«Va bene. Solo vorrei sapere che cosa farà volare questo ordigno, e se il viaggio di ritorno sarà tribolato come quello di andata.»

«Non lo sarà. Salirete verticalmente, e molto più lentamente. Praticamente, salirete su di un pallone. L’atmosfera locale è composta precipuamente di acqua, con un numero sufficiente di ioni allo stato libero per renderla un’ottima conduttrice. La maggior parte del vostro scafo è divisa in celle, e ogni cella è ulteriormente divisa in due da una membrana flessibile. In questo momento, queste membrane sono appiattite contro una parete di ogni cella dalla pressione atmosferica. Quando lei farà entrare in azione il processo di elettrolisi, una parte dell’acqua verrà scomposta; l’ossigeno sarà pompato all’esterno dello scafo, ma l’idrogeno verrà liberato dall’altra parte della membrana e gradualmente farà uscire l’aria dalle celle. Il vecchio batiscafo si serviva del medesimo principio, solo che non aveva bisogno delle membrane per impedire ai due fluidi di mescolarsi.»

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