«Nessuno,» mormorò Lizbeth. Iniziò a piangere con singhiozzi convulsi che le scossero l’intero corpo.
«Guardi cosa le ha fatto!» accusò Harvey.
Igan sospirò, sollevò una mano che stringeva una capsula, la tese verso Harvey. «Le dia questa.»
«Cos’è?» chiese Harvey con voce sospettosa.
«Si tratta soltanto di un sedativo.»
«Non voglio un sedativo,» singhiozzò Lizbeth.
«È per il suo bene, mia cara,» tentò di convincerla Igan. «Se continua così, potrebbe rischiare di perdere l’embrione. È passato troppo poco tempo dall’operazione; dovrebbe rimanere calma e tranquilla.»
«Non vuole prenderlo,» disse Harvey. I suoi occhi sprizzavano rabbia.
«Deve farlo,» insisté Igan.
«No, se non vuole.»
Igan costrinse la sua voce a conservare un tono ragionevole. «Durant, sto solo cercando di salvare le nostre vite. Adesso lei è infuriato e…»
«Ha dannatamente ragione! Sono fuori di me! E sono stufo di ricevere continuamente ordini!»
«Mi perdoni, se la ho offesa in qualche modo, Durant,» disse Igan. «Ma devo avvertirla che la sua attuale reazione è condizionata dal suo schema genetico. Lei ha un istinto protettivo maschile eccessivamente sviluppato. Sua moglie starà benissimo. Il sedativo è innocuo. È isterica poiché il suo senso materno è fin troppo intenso. Sono difetti dei vostri genotipi, ma andrà tutto bene se rimarrete calmi.»
«E proprio lei afferma che noi abbiamo dei genotipi difettosi?» ribatté Harvey. «Scommetto che lei è uno Steri che non ha mai…»
«Basta così, Durant,» intervenne l’altro dottore. Aveva una voce profonda, imperiosa.
Harvey guardò Boumour, notando il viso da elfo e il corpo massiccio. Il dottore appariva imponente e pericoloso, il suo volto era stranamente inumano.
«Non possiamo permetterci di litigare,» tuonò Boumour. «Potremmo essere vicini a qualche posto di blocco. E di sicuro sono dotati di dispositivi d’ascolto.»
«Noi siamo perfetti,» ringhiò Harvey.
«Forse ha ragione,» gli concesse Igan. «Ma entrambi state riducendo le nostre possibilità di fuga. Se a uno di voi cedono i nervi quando incontreremo un posto di blocco, siamo spacciati.» Questa volta tese la mano con la capsula verso Lizbeth. «La prenda, per favore. Contiene soltanto un tranquillante, del tutto innocuo, glielo assicuro.»
Con esitazione, Lizbeth prese la capsula. Era fredda e gelatinosa. Le comunicò una sensazione di disgusto. Volle scagliare quella cosa contro Igan, ma poi Harvey le sfiorò una guancia.
«Forse faresti meglio a prenderla,» le disse il marito. «Per il bene del bambino.»
Lizbeth tese la mano, schiacciò la capsula contro la parte inferiore della lingua, poi la inghiottì. Se Harvey era d’accordo, quella era la cosa giusta da fare. Ma non le piacque l’espressione offesa e perplessa negli occhi del marito.
«Adesso si rilassi,» disse Igan. «Farà effetto molto in fretta — tre o quattro minuti e si sentirà perfettamente tranquilla.» Si sedette di nuovo e lanciò una rapida occhiata a Svengaard. La figura legata era apparentemente ancora priva di sensi; il petto si alzava e si abbassava con ritmo regolare.
Era ormai da molto tempo che Svengaard era sempre più cosciente della fame e del movimento che faceva rotolare il suo corpo contro una superficie solida. E il movimento comunicava anche una sensazione di velocità. Percepiva confusamente un odore di sudore umano, udiva un rombo di turbine. Quel suono stava iniziando a imporsi alla sua coscienza. Dalle palpebre pesanti filtrava una luce fievole. Sentiva di avere un bavaglio in bocca, le braccia e le gambe legate.
Svengaard aprì gli occhi.
Per un istante, non riuscì a mettere a fuoco le immagini, poi si scoprì a fissare un soffitto basso, illuminato da un minuscolo neon, al di sotto del quale si notava la griglia di un comunicatore accanto a una spia color rubino. Il soffitto gli sembrava troppo vicino e sulla destra aveva notato una forma confusa — una gamba tesa su di lui. Il neon emetteva un bagliore giallastro a malapena sufficiente a diradare l’oscurità.
La spia iniziò a lampeggiare freneticamente.
«Un posto di blocco!» sibilò Igan. «Silenzio, tutti quanti!»
Il velivolo iniziò a rallentare. Le turbine diminuirono i giri e il loro rombo si trasformò in un lamento. Infine l’hovercraft si fermò, mentre le turbine si spegnevano con un sussurro.
Lo sguardo di Svengaard esaminò in un lampo il luogo in cui si trovava. Alla sua destra, sopra di lui, una panca… su cui erano sedute due persone. Un bordo metallico sporgeva dal supporto della panca accanto la sua guancia. Con cautela, Svengaard mosse la testa verso il bordo, sentì attraverso la benda che la sua carne era entrata in contatto con esso. Spinse delicatamente la testa in avanti e il bavaglio si abbassò leggermente. Il bordo gli graffiò la guancia, ma Svengaard ignorò il dolore. Un’altra leggera spinta e il bavaglio si abbassò ancora di una frazione di millimetro. Svengaard si guardò intorno, vide sopra di lui, alla sua sinistra, il volto di Lizbeth. La donna aveva gli occhi chiusi, le mani che le coprivano la bocca. Sembrava terrorizzata.
Svengaard mosse ancora una volta la testa.
In lontananza, da qualche parte, si udirono delle voci: domande rivolte in tono tagliente, mormoni di risposta.
Le mani di Lizbeth smisero di coprirle la bocca, rivelando labbra che si muovevano senza emettere un suono.
Le voci adesso tacevano.
Lentamente, l’hovercraft iniziò a muoversi.
Svengaard voltò bruscamente la testa. La benda che teneva al suo posto il bavaglio si spezzò. Svengaard lo sputò via e urlò, «Aiuto! Aiuto! Sono prigioniero! Aiuto!»
Igan e Boumour balzarono in piedi per la sorpresa. Lizbeth urlò, «No! Oh, no!»
Harvey si scagliò in avanti, sferrò un pugno contro la mascella di Svengaard, mentre con l’altra mano gli tappava la bocca. Rimasero immobili, in una terribile attesa, mentre l’hovercraft continuava a guadagnare velocità.
Igan emise un respiro tremulo, fissò lo sguardo negli occhi di Lizbeth, che avevano assunto un’espressione selvaggia.
Dal comunicatore provenne la voce dell’autista: «Cosa è successo? Non sapete neppure osservare le precauzioni più semplici?»
Il tono di voce accusatorio, ma nel contempo privo di emozioni, gelò Harvey. Si chiese perché l’autista si fosse rivolto loro in quel modo, invece di annunciare se erano stati scoperti oppure no. Poi si rese conto che Svengaard giaceva svenuto sotto di lui. Sperimentò l’impulso selvaggio di strozzarlo seduta stante, ebbe quasi l’impressione di stringere tra le mani la gola dell’uomo.
«Ci hanno sentito?» sussurrò Igan.
«Apparentemente no,» rispose l’autista, con voce resa gracchiante dal comunicatore. «Non noto alcun segno d’inseguimento. Presumo che eviterete di commettere di nuovo una simile imprudenza. Per favore, mi spieghi cosa è successo.»
«Svengaard si è svegliato prima di quanto ci aspettassimo.»
«Ma era imbavagliato.»
«In qualche modo… è riuscito a liberarsi del bavaglio.»
«Forse dovreste ucciderlo. È ovvio che con lui il ricondizionamento non funzionerà.»
Harvey si allontanò da Svengaard. Ora che il Cyborg aveva ventilato quella prospettiva, lui non aveva più alcuna voglia di uccidere Svengaard. Harvey si chiese chi fosse colui che si trovava nella cabina di guida. I Cyborg sembravano tutti uguali, grazie alla loro intelligenza computerizzata tanto lontana da quella umana, ma l’autista era ancora più distaccato del solito.
«Rifletteremo… su cosa fare,» rispose Igan.
«Svengaard è stato neutralizzato?»
«Sì, è svenuto. Ora non darà più fastidi.»
«Certo non grazie a lei,» commentò Harvey fissando Igan. «Era proprio sopra di lui.»
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