Frank Herbert - Gli occhi di Heisenberg

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Gli occhi di Heisenberg: краткое содержание, описание и аннотация

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In un futuro lontano, una classe dominante di umani geneticamente modificati ottiene l’equivalente dell’immortalità mediante l’uso di droghe. Questa classe dominante tiene l’intera società in stasi grazie alla manipolazione genetica del genoma umano, eliminando ogni sorta di mutazione spontanea dello stesso. Come se non bastasse, solo poche persone attentamente selezionate hanno la possibilità di riprodursi. Tuttavia nelle megalopoli si sviluppano dei movimenti clandestini ed appare una razza di cyborg, opposta agli immortali.

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«Ma dove andrò?» chiese Svengaard.

«Per lei è stato preparato un posto.»

«Ma nessun luogo è al sicuro da loro ,» ribatté Svengaard. Pronunciando quelle parole, per la prima volta si rese conto di quanto fosse intenso il suo risentimento nei confronti degli Optimati.

«Ci sono molti posti sicuri,» spiegò Igan. « Loro fanno solo finta di essere dotati di percezioni super-umane. In effetti, il loro potere si basa sulla tecnologia — macchine e strumenti — e su di un servizio segreto di sorveglianza. Ma le macchine e gli strumenti possono anche essere manomessi, adoperati per scopi affatto diversi. E gli Optimati dipendono dalla Gente per commettere atti di violenza.»

Svengaard scosse la testa. «Quel che mi sta dicendo è assurdo.»

«Tranne un particolare,» replicò Igan. « Loro sono come noi: ognuno dotato di una personalità individuale. E questo lo sappiamo per averlo sperimentato.»

«Ma perché dovrebbero fare le cose di cui li accusa?» protestò Svengaard. «Non è ragionevole. Loro sono buoni con noi.»

«Il loro unico interesse è quello di continuare ad esistere,» gli spiegò Igan. «E sono sempre sull’orlo del baratro. Fino a quando non avvengono cambiamenti significativi nell’ambiente che li circonda, continueranno a vivere… indefinitivamente. Ma non appena avverrà un qualche mutamento significativo, essi diventeranno come noi: soggetti ai capricci della natura. Per essi, capisce, non può esistere alcuna natura, se non sottomessa al loro volere.»

«Non ci credo,» insisté Svengaard. «Loro ci amano e si prendono cura di noi. Consideri quel che hanno fatto per noi.»

«L’ho fatto.» Igan scosse il capo. Svengaard si stava dimostrando ancora più stolido di quanto si fossero aspettati. Rifiutava l’evidenza per rifugiarsi in vecchie formule.

«Voi volete che periscano,» lo accusò Svengaard. «Perché?»

«Perché ci hanno privato della possibilità di evolverci,» rispose Igan.

Svengaard lo fissò. «Cosa?»

«Sono diventati gli unici individui liberi nel nostro mondo,» disse Igan. «Ma gli individui non si evolvono. Al contrario dei popoli. E noi non abbiamo un popolo.»

«Ma la Gente…»

«Certo, la gente! Ma tra di noi, chi ha il permesso di procreare?» Igan scosse la testa. «Lei è un bioingegnere, dannazione! È possibile che non abbia ancora intuito lo schema?»

«Schema? Quale schema? Cosa vuol dire?» Svengaard tentò di alzarsi dalla sedia, maledì i legacci che lo bloccavano. Si sentiva le braccia e le gambe intorpidite.

«Gli Optimati obbediscono ad una sola regola, nel campo della procreazione,» disse Igan. «Il ritorno all’individuo medio. Autorizzano rapporti casuali con gli individui medi proprio per impedire lo sviluppo di individui superiori alla media. E a questi individui viene impedito di procreare.»

Svengaard scosse la testa. «Non ci credo,» ripeté. Ma poteva percepire il dubbio che si infiltrava nella sua mente. Il suo caso, per esempio: qualunque partner avesse scelto, il permesso di procreare gli era sempre stato negato. Aveva controllato di persona gli accoppiamenti genetici, rilevando combinazioni che avrebbe giurato fossero fertili, ma gli Optimati avevano detto di no.

«Lei ora comincia a credermi,» constatò igan.

«Ma consideri le lunghe vite che ci donano,» disse Svengaard. «Io posso aspettarmi di vivere per quasi duecento anni.»

«Questo grazie alla scienza medica, e non agli Optimati,» replicò Igan. «La chiave è una somministrazione estremamente accurata di enzimi. Unita ad una vita pianificata in cui le emozioni sono ridotte al minimo, a esercizi ginnici ad hoc e a una dieta personalizzata. Procedimenti che potrebbero essere applicati alla maggior parte delle persone.»

«Una vita infinita?» sussurrò Svengaard.

«No! Ma una vita lunga, molto più lunga di adesso. Io, per esempio, sto per raggiungere i quattrocento anni, e come me ce ne sono molti. Quasi quattrocento meravigliosi anni,» disse, ricordando la maligna definizione di Calapine… e il risolino di Nourse.

«Lei… quattrocento anni?» chiese Svengaard.

«Concordo che sono nulla paragonati alle molte migliaia della loro vita,» disse Igan. «Quasi tutti noi potremmo raggiungere quell’età, ma loro non lo permettono.»

«Perché?» volle sapere Svengaard.

«In questo modo, possono offrire vite più lunghe ai loro fedeli servitori,» spiegò Igan, «come ricompensa per i servigi resi. In caso contrario, non avrebbero alcun mezzo per comprarci. E lei lo sapeva! Proprio per questo li ha serviti per tutta la vita.»

Svengaard abbassò lo sguardo sulle proprie mani legate. È questa la mia vita? si chiese. Mani legate? Chi comprerà le mie mani legate?

«E avrebbe dovuto sentire Nourse ridacchiare per i miei miseri quattrocento anni,» disse Igan.

«Nourse?»

«Sì! Nourse della Tuyere, Nourse il Cinico, Nourse che ha vissuto per più di quarantamila anni! Perché crede che Nourse sia un Cinico? Altri Optimati sono più vecchi, molto più vecchi. Ma quelli non sono Cinici.»

«Non capisco,» ammise Svengaard. Fissò Igan, sentendosi debole, battuto, incapace di controbattere la forza di quelle parole, di quelle idee.

«Dimentico che lei non è della Centrale,» disse Igan. «Gli Optimati identificano se stessi in base a quelle poche emozioni che decidono di provare. Sono Decisionisti, Emotivi, Cinici, Edonisti ed Effeti. Per arrivare all’edonismo passano attraverso una fase cinica. Ma i membri della Tuyere perseguono già il proprio piacere personale, e questo non è un buon segno.»

Igan studiò Svengaard, soppesando l’effetto provocato dalle proprie parole. Si trovava di fronte a una creatura che si elevava a malapena rispetto al livello mentale medio della Gente. Era un uomo medievale. Per lui, la Centrale e gli Optimati costituivano il primum mobile che controllava il sistema celeste. Oltre la centrale si stendeva l’empirea dimora del Creatore… e per gli Svengaard di quel mondo esisteva poca differenza tra un Optimate e il Creatore. Erano entrambi più in alto della luna, e totalmente privi di difetti.

«Dove possiamo fuggire?» chiese Svengaard. «Non possiamo nasconderci da nessuna parte. Loro controllano le forniture di enzimi. L’istante stesso in cui uno di noi entrerà in uno dei Dispensatorii Farmaceutici, sarà la fine.»

«Abbiamo le nostre fonti di approvvigionamento,» replicò Igan.

«Ma perché volete me?» domandò Svengaard. Contino a fissare i legacci.

«Perché lei è un individuo speciale,» spiegò Igan. «Perché Potter la vuole al suo fianco. Perché lei sa dell’embrione dei Durant.»

L’embrione , pensò Svengaard. Ma qual è il significato di quell’embrione? Tutto sembra ruotare intorno ad esso.

Sollevò gli occhi, incontrò lo sguardo di Igan.

«Lei trova difficile considerare gli Optimati nel modo in cui glieli ho descritti,» commentò Igan.

«Sì.»

«Sono una piaga,» dichiarò Igan. «Sono una malattia che affligge l’intera umanità.»

Svengaard rabbrividì per l’amarezza che aveva percepito nella voce dell’altro.

«Saul ha cancellato l’esistenza di migliaia di persone, Davide quella di decine di migliaia, ma gli Optimati hanno cancellato il nostro futuro,»

Un uomo grande e grosso si avvicinò al tavolo, si fermò voltando le spalle a Svengaard.

«Ebbene?» chiese. Anche se aveva pronunciato una sola parola, fu chiarissimo che la sua voce aveva un inquietante tono d’urgenza. Svengaard tentò di osservare il suo volto, ma non ci riuscì a causa dei legacci che lo bloccavano. Per lui l’uomo rimase un’ampia schiena coperta da una giacca grigia.

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