Le turbine si spensero con un gemito e il veicolo si adagiò al suolo. L’autista uscì dalla cabina di guida, una figura massiccia e tarchiata e con braccia artificiali adattissime al compito che l’attendeva. Strappò via uno dei pannelli laterali e cominciò a gettare il carico in un profondo burrone invaso da piante di cicuta.
All’interno del loro nascondiglio, Igan balzò in piedi, avvicinò la bocca al comunicatore e sibilò, «Dove siamo?»
Silenzio.
«È una domanda stupida,» commentò Harvey. «Come fa a sapere perché si è fermato?»
Igan ignorò l’insulto. Dopo tutto, chi lo aveva pronunciato era soltanto un rozzo appartenente alle classi inferiori. «Sta spostando il carico,» disse Igan. Si sporse verso Harvey e batté la mano contro una parete del nascondiglio. «Cosa sta succedendo lì fuori?»
«Oh, si sieda,» esclamò Harvey. Poggiò una mano sul petto di Igan e spinse. Il medico barcollò all’indietro, finendo sulla panca sul lato opposto.
Igan fece per scagliarsi contro Harvey, il volto scuro per la rabbia, gli occhi sfavillanti, ma Boumour lo trattenne e disse con voce tonante, «Calma, amico Igan.»
Igan si rimise a sedere. Lentamente il suo volto assunse un’espressione paziente. «È strano,» rifletté, «come le emozioni si impongano nonostante…»
«Passerà,» fece Boumour.
Harvey cercò la mano di Lizbeth, le segnalò, «Il petto di Igan — è convesso e duro come plasmeld. L’ho sentito attraverso la giacca.»
«Pensi che sia un Cyborg?»
«Respira in modo normale.»
«E prova ancora emozioni. In lui leggo della paura.»
«Sì… ma…»
«Staremo attenti.»
Boumour disse, «Durant, lei dovrebbe nutrire maggiore fiducia nei nostri confronti. Il Dottor Igan ha dedotto che l’autista non starebbe scaricando il veicolo, se non fosse convinto che siamo al sicuro.»
«E come sappiamo che sta scaricando?» replicò Harvey.
Un’espressione cauta turbò il viso di solito tranquillo di Boumour.
Harvey la interpretò, poi sorrise.
«Harvey!» gli segnalò Lizbeth. «Pensi che…»
«No, là fuori c’è il nostro autista,» la rassicurò il marito con lo stesso sistema. «Dall’odore, direi che siamo in qualche riserva naturale. Inoltre non abbiamo sentito nessun rumore di lotta. Ed è impossibile catturare un Cyborg senza lottare.»
«Ma dove siamo?» gli chiese Lizbeth.
«Tra le montagne,» la informò Harvey. «E considerato il viaggio, ho l’impressione che siamo molto lontani dalle strade più trafficate.»
Improvvisamente il loro nascondiglio sussultò e si spostò di lato. Il neon si spense. Nell’oscurità, la parete alle spalle di Harvey venne staccata. L’uomo strinse a sé Lizbeth, si voltò, fissò un panorama buio… illuminato soltanto dalla luna… e la forma massiccia dell’autista, profilata contro le luci lontane della megalopoli. La luna inargentava le cime degli alberi sotto di loro e nell’aria aleggiava l’odore resinoso degli aghi di pino sollevati dal passaggio dell’hovercraft. I dintorni erano immersi in un silenzio profondo, come se la natura stesse studiando quegli intrusi.
«Uscite,» ordinò l’autista.
Il Cyborg si girò. Harvey scorse i suoi lineamenti, improvvisamente illuminati dal chiaro di luna, esclamò, «Glisson!»
«Le porgo i miei saluti, Durant,» disse Glisson.
«Perché è stato scelto proprio lei?» gli chiese Harvey.
«E perché no?» ribatté Glisson. «Ora scendete di lì.»
Harvey protestò, «Ma mia moglie non è in grado di…»
«So delle condizioni di sua moglie, Durant. Ma è passato del tempo dall’intervento che ha subito. Può camminare, se non si sforza troppo.»
Igan mormorò nell’orecchio di Harvey, «Sua moglie non avrà problemi. La faccia alzare con gentilezza e la sorregga.»
«Io… sto bene,» disse Lizbeth. «Ecco.» Poggiò un braccio sulla spalla di Harvey. Insieme, scesero a terra.
Igan li seguì, chiese, «Dove siamo?»
«Da qualche parte, diretti verso qualche altro posto,» replicò Glisson. «Come sta il nostro prigioniero?»
Boumour gli rispose dall’interno del nascondiglio. «Sta rinvenendo. Aiutatemi a farlo uscire.»
«Perché ci siamo fermati?» chiese Harvey.
«Dobbiamo affrontare una salita molto ripida,» disse Glisson. «Meglio sbarazzarci del carico. L’hovercraft non è fatto per un lavoro del genere.»
Boumour e Igan li superarono trasportando Svengaard, che deposero contro un tronco d’albero sul ciglio del sentiero.
«Aspettate qui, mentre sgancio il rimorchio,» disse Glisson. «E riflettete su Svengaard; forse dovremmo abbandonarlo.»
Sentendo pronunciare il nome, quest’ultimo aprì gli occhi, si scoprì a fissare le luci lontane della megalopoli. Gli faceva male la mascella, a causa del pugno sferratogli da Harvey, e la testa gli pulsava. Aveva fame e sete. Le mani legate avevano ormai perso ogni sensibilià. Un intenso odore di aghi di pino colpì le sue narici. Starnutì.
«Forse dovremmo davvero sbarazzarci di Svengaard,» disse Igan.
«Io penso di no,» replicò Boumour. «È un uomo istruito, un possibile alleato. E avremo bisogno di uomini istruiti.»
Svengaard diresse lo sguardo verso il punto da cui provenivano le voci. Gli altri erano accanto all’hovercraft, una sagoma lunga e argentea davanti a un tozzo rimorchio. Poi si udì un rumore metallico. Il rimorchio scivolò all’indietro per almeno due metri prima di fermarsi contro un monticello di terriccio.
Glisson ritornò, si accovacciò accanto a Svengaard. «Qual è la vostra decisione?» chiese il Cyborg. «Lo porteremo con noi oppure lo uccideremo?»
Harvey deglutì, sentì che Lizbeth gli stringeva la mano.
«Portiamolo con noi ancora per un po’,» propose Boumour.
«A patto che non ci crei altri problemi,» intervenne Igan.
«Potremmo sempre usare parti della sua anatomia,» disse Glisson. «Oppure possiamo ricavare un clone e condizionarlo.» Il Cyborg si alzò. «Non è necessario prendere una decisione immediata. Meglio rifletterci sopra con calma.»
Svengaard rimase in silenzio, gelato dalla impassibile crudeltà delle parole del Cyborg. Che uomo duro e brutale , pensò. Un tipo spietato, pronto a ogni violenza. Un vero killer.
«Bene, allora salite tutti in cabina,» ordinò Glisson. «Abbiamo un lungo…» Il Cyborg si interruppe e fissò la megalopoli.
Svengaard si girò verso i grappoli di luci bianco-azzurre, che ardevano gelide in lontananza. Un bagliore giallo era comparso tra le luci alla sua sinistra. Un altro fiorì dietro il primo: un gigantesco falò profilato contro le lontani montagne illuminate dal chiaro di luna. Altri bagliori spuntarono sulla destra. Un’ondata di ultrasuoni scosse il corpo di Svengaard e trasse una lamentosa dissonanza metallica dalla carrozzeria del veicolo.
«Cosa sta succedendo?» sibilò Lizbeth.
«Silenzio!» ordinò Glisson. «Tutti zitti e osservate.»
«Dèi della vita,» mormorò Lizbeth. «Cosa c’è?»
«La megalopoli sta morendo,» spiegò Boumour.
Un’altra ondata di ultrasuoni scosse l’hovercraft.
«Fa male,» si lamentò Lizbeth.
Harvey l’attirò a sé, mormorò, «Che siano dannati!»
«Quassù fa male,» commentò Igan con tono freddamente scientifico. «Ma laggiù uccide.»
Una nebbia verde stava emergendo dalla boscaglia a una decina di chilometri di distanza. Fuoriusciva e scendeva verso il basso come un mare furioso, sotto l’impassibile luce della luna, sommergendo ogni cosa: le colline, le luci simili a gemme, i bagliori dorati.
«Pensavate che avrebbero usato la nebbia della morte?» chiese Boumour.
« Sapevamo che l’avrebbero usata,» rispose Glisson.
«Suppongo fosse prevedibile che avrebbero deciso di sterilizzare l’intera zona,» disse Boumour.
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