Ed essi risposero: — Tu non sei il primo della tua razza a uscire intatto dalla rinascita.
Sì. Ricordava. Cullen aveva detto che c’erano stati altri, alcuni trasformati in mostri, altri di cui non si era saputo più nulla.
— Dove siete? — chiese.
Essi glielo dissero, ma lui non comprese, poiché quello che dissero fu che si erano lasciati i corpi alle spalle. — Anch’io mi sono lasciato il corpo alle spalle? — chiese. E loro dissero di no, che lui portava ancora la sua carne, poiché così aveva scelto, e loro avevano scelto altrimenti. Poi si ritrassero da lui.
— Senti i cambiamenti? — chiese Ti-munilee.
— I cambiamenti sono dentro di me — disse Gundersen.
— Sì. Ora sei in pace.
E, sorpreso dalla gioia, si rese conto che era così. Le paure, i conflitti, le tensioni, erano sparite. Il senso di colpa era sparito. Il dolore era sparito. La solitudine era sparita.
Ti-munilee disse: — Sai chi ero quando ero Srin’gahar? Protenditi verso di me.
Gundersen si protesse. Dopo un momento disse: — Tu eri uno di quei sette nildor a cui non ho permesso di andare verso la rinascita, tanti anni fa.
— Sì.
— Eppure mi hai trasportato sulla tua schiena fino al paese delle nebbie.
— Il mio tempo era nuovamente giunto — disse Ti-munilee — ed ero felice. Ti avevo perdonato. Ricordi che quando siamo arrivati al paese delle nebbie c’era un sulidor arrabbiato al confine?
— Sì — disse Gundersen.
— Era un altro dei sette. Era quello che hai toccato con la tua torcia. Aveva avuto la sua rinascita, alla fine, e ancora ti odiava. Adesso non più. Domani, quando sarai pronto, protenditi verso di lui, e ti perdonerà. Lo farai?
— Lo farò — disse Gundersen. — Ma mi perdonerà veramente?
— Tu sei rinato. Perché non dovrebbe perdonarti? — disse Ti-munilee. Poi il sulidor chiese: — Dove andrai ora?
— A sud. Per aiutare la mia gente. Per prima cosa per aiutare Kurtz, per guidarlo verso una nuova rinascita. Poi gli altri. Coloro che sono disposti ad aprirsi.
— Posso condividere il tuo viaggio?
— Conosci la risposta.
Lontano, l’anima nera di Kurtz si mosse e pulsò. Aspetta, disse Gundersen. Aspetta. Non soffrirai a lungo.
Una folata di vento freddo colpì il fianco della montagna. Fiocchi scintillanti di neve rotearono davanti alla faccia di Gundersen. Sorrise. Non si era mai sentito così libero, così leggero, così giovane. La visione di un’umanità trasformata lampeggiò dentro di lui. Sono l’emissario, pensò. Sono il ponte sul quale loro passeranno, sono la resurrezione e la vita. Sono la luce del mondo; colui che mi seguirà non camminerà al buio, ma avrà la luce della vita. Un nuovo comandamento vi trasmetto: che vi amiate l’un l’altro.
Disse a Ti-munilee: — Andiamo, allora?
— Sono pronto quando tu sei pronto.
— Adesso.
— Adesso — disse il sulidor, e insieme cominciarono a scendere la montagna battuta dal vento.
FINE