Robert Silverberg - Mutazione

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Belzagor: un mondo misterioso, un pianeta preistorico immerso in un clima tropicale di vapori fumanti e di giungle intricate e abitato dai Nildoror, una razza indigena di esseri intelligenti simili ad elefanti, asserviti e schiavizzati dai terrestri durante i giorni dell’imperialismo interstellare, ma ora finalmente di nuovo liberi. Mentre i Nildoror attendono pazientemente la partenza delle ultime colonie umane, Edmund Gundersen, un tempo agente della Compagnia che aveva sottomesso gli abitanti del pianeta, e detentore del potere di vita e di morte, ritorna su questo strano mondo spinto da un intimo senso di colpa e dal desiderio di rivedere la bella Seena, da lui abbandonata dieci anni prima. Ma durante l’avventuroso pellegrinaggio nelle nebbie calde di Belzagor, molti incontri belli e orrendi attendono Gundersen, prima che egli possa osservare il mistico rituale della rinascita dei Nildoror, una cerimonia arcana che pochi terrestri hanno potuto vedere e a cui nessuno è sopravvissuto per riferirne.

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Gundersen raggiunse il termine del corridoio. Appoggiò il palmo contro la pietra fredda, solida. Senza fiato, inzuppato di sudore, si voltò verso l’ultima camera ed entrò.

Dentro di questa vi era un sulidor non ancora addormentato, in piedi fra tre serpenti dei tropici, che si muovevano in pigre spire intorno a lui. Il sulidor era grande, grigio per l’età, un essere di insolita imponenza e dignità.

— Na-sinisul? — chiese Gundersen.

— Sapevamo che prima o poi saresti arrivato, Edmundgundersen.

— Non avrei mai immaginato… non avevo capito… — Gundersen si interruppe, cercando con uno sforzo di riprendere il controllo di sé. Con voce più calma disse: — Perdonami se mi sono intromesso. Ho interrotto l’inizio della tua rinascita?

— Ho ancora molti giorni — disse il sulidor. — Sto soltanto preparando la camera.

— E ne uscirai come nildor.

— Sì — disse Na-sinisul.

— La vita segue un ciclo, dunque, su questo pianeta? Da sulidor a nildor a sulidor a nildor a…

— Sì. Rinascita dopo rinascita.

— Tutti i nildor trascorrono una parte della loro vita come sulidoror? Tutti i sulidoror trascorrono parte della loro vita come nildor?

— Sì. Tutti.

Com’era cominciato? si chiese Gundersen. Come si erano intrecciati i destini di due razze così diverse? Come aveva potuto un’intera specie consentire a una tale metamorfosi? Non riusciva neppure a immaginarselo.

Ma adesso comprendeva perché non aveva mai visto un nildor o un sulidoror piccolo. Disse: — Nascono mai dei piccoli di una razza o dell’altra, su questo mondo?

— Soltanto quando servono per sostituire coloro che non possono più rinascere. Non capita spesso. La nostra popolazione è stabile.

— Stabile, ma continuamente mutevole.

— Secondo uno schema prevedibile — disse Na-sinisul. — Quando riemergerò, sarò Fi’gontor della nona nascita. La mia gente ha atteso trenta rotazioni che mi riunissi a loro; ma le circostanze hanno richiesto che rimanessi tanto a lungo nella foresta delle nebbie.

— Nove rinascite sono un numero insolito?

— Ci sono alcuni fra noi che sono stati qui anche quindici volte. Ci sono alcuni che attendono cento rotazioni per essere chiamati. La chiamata giunge quando vuole; e per coloro che lo meritano, la vita non avrà fine.

— Non avrà… fine…

— Perché dovrebbe? — chiese Na-sinisul. — In questa montagna veniamo purgati dei veleni dell’età, e altrove ci purghiamo dei veleni del peccato.

— Sull’altopiano centrale, cioè.

— Vedo che hai parlato con l’uomo Cullen.

— Sì — disse Gundersen. — Poco prima della sua… morte.

— Sapevo anche che la sua vita era giunta al termine — disse Na-sinisul. — Apprendiamo rapidamente le notizie, qui.

Gundersen disse: — Dove sono Srin’gahar e Luu’khamin e gli altri con cui ho viaggiato?

— Sono qui, in celle non lontane.

— Già rinascono?

— Da alcuni giorni. Presto saranno sulidoror, e vivranno qui a nord, finché non verranno chiamati per riassumere la forma nildor. Così rigeneriamo la nostra anima, iniziando nuove vite.

— Durante la fase sulidoror conservate il ricordo della vostra vita trascorsa come nildor?

— Certamente. Come può l’esperienza essere utile se non viene conservata? Noi accumuliamo saggezza. La nostra capacità di vedere la verità viene acuita dal vedere l’universo ora attraverso gli occhi dei un nildor, ora di un sulidor. Non soltanto nel corpo le due forme sono diverse. Subire una rinascita significa entrare in un nuovo mondo, non soltanto una nuova vita.

Esitando, Gundersen disse: — E quando qualcuno che non è di questo pianeta subisce la rinascita? Qual è l’effetto? Che trasformazione avviene?

— Hai visto Kurtz?

— Ho visto Kurtz — disse Gundersen. — Ma non ho idea di cosa sia diventato.

— Kurtz è diventato Kurtz — disse il sulidor. — Per la vostra razza non può esistere vera trasformazione, perché non avete una specie complementare. Cambiate, sì, ma diventate solo quello che avete la potenzialità di diventare. Liberate quelle forze che già esistono in voi. Mentre dormiva, Kurtz scelse lui stesso la sua nuova forma. Nessun altro la definì per lui. Non è facile spiegarlo mediante le parole, Edmundgundersen.

— Se io mi sottoponessi alla rinascita, dunque, non mi trasformerei necessariamente in qualcosa di simile a Kurtz?

— No, a meno che la tua anima non sia l’anima di Kurtz, e questo non è possibile.

Cosa diventerei?

— Nessuno può saperlo prima che avvenga. Se desideri scoprire cosa ti farà la rinascita, devi accettare la rinascita.

— Se chiedessi la rinascita, mi verrebbe concessa?

— Ti ho detto quando ci siamo incontrati la prima volta — disse Na-sinisul — che nessuno su questo mondo ti impedirà di fare alcunché. Non sei stato fermato mentre salivi la montagna della rinascita. Non sei stato fermato quando hai esplorato questa caverna. La rinascita non ti verrà negata se senti di doverla provare.

Senza esitare, serenamente, Gundersen disse: — Allora chiedo la rinascita.

16

Silenziosamente, senza mostrare sorpresa, Na-sinisul lo conduce in una cella vuota e gli fa cenno di togliersi i vestiti. Gundersen si spoglia. Le sue dita hanno solo qualche marginale difficoltà con le fibbie e le chiusure. Seguendo le indicazioni del sulidor Gundersen si stende sul pavimento. Come hanno fatto tutti gli altri candidati alla rinascita. La pietra è così fredda che si lascia sfuggire un sibilo quando la sua pelle la tocca. Na-sinisul esce. Gundersen guarda i fungoidi luminescenti, sulla volta lontana del soffitto. La camera è grande abbastanza da contenere comodamente un nildor, a Gundersen, steso sul pavimento, sembra immensa.

Na-sinisul ritorna portando una ciotola fatta con un tronco cavo. La offre a Gundersen. La ciotola contiene un liquido azzurro pallido. — Bevi — dice il sulidor sommessamente.

Gundersen beve.

Il sapore è dolce, come acqua zuccherata. È una cosa che ha già assaggiato, e ricorda dove: alla stazione dei serpenti, anni prima. È il veleno proibito. Vuota la tazza, e Na-sinisul esce.

Due sulidoror che Gundersen non conosce entrano nella cella. Si inginocchiano al suo fianco, uno da una parte e uno dall’altra e iniziano una lenta cantilena, una specie di rituale. Non riesce a capirne una parola. Gli massaggiano il corpo, le loro mani, con i terribili artigli retratti, sono stranamente morbide, come i cuscinetti di un gatto. È teso, ma la tensione svanisce. Sente che la droga fa effetto: un senso di pesantezza alla nuca, al petto, un annebbiamento della vista. Na-sinisul è tornato nella stanza, anche se Gundersen non l’ha visto entrare. Porta con sé una ciotola.

— Bevi — dice, e Gundersen beve.

È un liquido completamente diverso, o forse un diverso distillato del veleno. Ha un sapore amaro, con un fondo di fumo e cenere. Deve fare uno sforzo per arrivare al fondo della ciotola, ma Na-sinisul attende, con silenziosa insistenza, che lui finisca. Ancora una volta il vecchio sulidor esce, all’ingresso della cella si volta e dice qualcosa a Gundersen, ma le parole sono sovraccariche di una spessa pelliccia blu, e non riescono a entrare nelle orecchie di Gundersen. — Cosa hai detto? — chiede il terrestre. — Cosa? Cosa? — Le sue parole emettono pesi di piombo a forma di lacrima, oscuri. Cadono immediatamente a terra e vanno in frantumi. Uno dei sulidoror cantilenanti scopa le parole spezzate in un angolo con rapidi movimenti della coda.

Gundersen sente un suono gocciolante, una spirale scintillante di rumore, come di acqua che scorra nella sua cella. Ha gli occhi chiusi, ma avverte l’umidità roteargli attorno. Ma non è acqua. Ha una consistenza più solida. Una specie di gelatina, forse. Steso sulla schiena, è immerso in essa per parecchi centimetri, e il livello si sta alzando. È fresca ma non fredda, e lo isola ottimamente dalla roccia ghiacciata del pavimento. È consapevole dell’odore lievemente rosa della gelatina, e della sua consistenza solida, come i toni di un fagotto nel registro più basso. I sulidoror proseguono nella loro cantilena. Sente un tubo che gli scivola nella bocca, con un liscio grido da ottavino, e dal suo stretto cannello cola un’altra sostanza, densa e oleosa, che emette il suono di un timpano in sordina quando gli colpisce il palato. Adesso la gelatina ha raggiunto la curva inferiore della sua mascella. Saluta con piacere la sua avanzata. Gli accarezza delicatamente il mento. Il tubo gli viene ritirato dalla bocca, proprio mentre la gelatina gli copre le labbra. — Potrò respirare? — chiede. Un sulidor gli risponde con criptiche frasi sumere, e Gundersen si sente rassicurato.

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