La nebbia si infittì verso mezzogiorno. La visibilità diminuì, fino a quando Gundersen poté vedere solo otto o dieci metri davanti a lui. Gli alberi giganti divennero degli ostacoli seri; le loro radici aggrovigliate e gli speroni sinuosi erano trappole per i piedi. Avanzò con cautela. Poi entrò in una regione dove grandi massi piatti spuntavano dal terreno, leggermente inclinati, uno dopo l’altro, scivolosi per la nebbia, come gradini che conducevano alla terra successiva. Dovette strisciare sopra di essi, alla cieca, senza sapere quale balzo avrebbe incontrato al termine di ciascun masso. Saltare era un atto di fede: uno dei dislivelli risultò di circa quattro metri, e in conseguenza dell’impatto le caviglie gli formicolarono per un quarto d’ora. Cominciò a sentire la stanchezza nelle cosce e nelle ginocchia. Ma quella sensazione di estasi controllata, pacata e insieme giubilante, rimase con lui.
Pranzò tardi, accanto a una piccola pozza, perfettamente circolare, limpida come uno specchio, circondata da alti alberi dal tronco sottile e chiusa da uno stretto cerchio di nebbia. Era meraviglioso il senso di solitudine, di intimità di quel luogo; era come una stanza sferica con muri di cotone, all’interno della quale era perfettamente isolato da un universo ambiguo. Qui poteva liberarsi della tensione del viaggio, dopo tante settimane passate insieme a nildor e sulidoror, sempre preoccupato di poter offendere in qualche maniera sconosciuta ma imperdonabile. Era riluttante ad andarsene.
Mentre raccoglieva le sue cose, un suono sgradito si intromise nel suo ritiro: il ronzio di un motore, non molto lontano. Schermandosi gli occhi contro il bagliore della nebbia, guardò in alto e dopo un momento scorse la forma di uno scarafaggio aereo che volava appena al di sotto del soffitto di nuvole. Il piccolo veicolo dalla punta tozza si muoveva in un cerchio stretto, come se cercasse qualcosa. Me? si chiese Gundersen. Automaticamente si riparò sotto un albero, anche se sapeva che era impossibile per il pilota vederlo, anche all’aperto. Un momento dopo lo scarafaggio sparì, in un banco di nebbia a ovest. Ma la magia del pomeriggio era stata infranta. Il fastidioso ronzio meccanico riverberava ancora nella mente di Gundersen, distruggendo la pace che aveva appena trovata.
Dopo un’ora di marcia attraverso una foresta di esili alberi con la corteccia rossa, dall’aria gommosa, Gundersen incontrò tre sulidoror, i primi da che si era separato da Se-holomir e Yi-gartigok. Gundersen si sentì a disagio. Gli avrebbero consentito il passaggio? Si trattava evidentemente di cacciatori, che tornavano a un villaggio vicino; due di loro, legata a un palo che tenevano sulle spalle, portavano la carcassa di un grosso erbivoro a quattro zampe, con la pelliccia di nero velluto e lunghe corna ricurve. Provò un attimo di paura istintiva alla vista delle tre creature gigantesche che avanzavano verso di lui attraverso gli alberi; ma con sua sorpresa la paura svanì rapidamente come era giunta. I sulidoror, malgrado il loro aspetto feroce, non costituivano una minaccia. È vero: potevano ucciderlo con un solo colpo del braccio, ma con questo? Non avevano più ragione di attaccarlo di quanta ne avesse lui di bruciarli con la sua torcia. E qui, nel loro ambiente naturale, non sembravano neppure bestiali o selvaggi. Grandi, sì. E potenti. Con zanne e artigli tremendi. Ma naturali, adatti al loro ambiente, e non terrificanti.
— Il viaggiatore ha avuto una buona marcia? — chiese il capo sulidor, quello che non reggeva il peso della preda. Parlò con tono sommesso ed educato, usando il linguaggio dei nildor.
— Il viaggiatore ha avuto una buona marcia — disse Gundersen. Improvvisò un saluto di risposta: — La foresta è stata benevola con i cacciatori?
— Come vedi, i cacciatori sono stati fortunati. Se il tuo cammino ti conduce verso il nostro villaggio, saremo felici di dividere con te la nostra preda, questa sera.
— Vado verso la montagna della rinascita.
— Il nostro villaggio si trova in quella direzione. Vuoi venire?
Accettò l’offerta, poiché la notte era vicina e un vento teso sibilava fra gli alberi. Il villaggio sulidoror era piccolo, addossato ai piedi di una scoscesa parete a mezz’ora di cammino verso nord-est. Gundersen vi trascorse una notte piacevole. Gli abitanti erano cortesi, quantunque distanti, ma in una maniera del tutto priva di ostilità. Gli diedero un angolo in una capanna, cibo e bevande, e lo lasciarono solo. Non ebbe l’impressione di essere il membro di una razza disprezzata di conquistatori scacciati, alieno e indesiderato. Sembravano considerarlo semplicemente un viandante bisognoso di rifugio, senza preoccuparsi della specie a cui apparteneva. Trovò la cosa piacevole. Naturalmente i sulidoror non avevano le stesse ragioni di risentimento dei nildor, dal momento che quegli abitanti della foresta non erano mai stati effettivamente resi schiavi dalla Compagnia; ma lui si era sempre immaginato una rabbia latente nei sulidoror, e la loro tranquilla gentilezza era una felice smentita di questa immagine, che, sospettava ora Gundersen, era stata forse una proiezione dei suoi sensi di colpa. Il mattino gli portarono frutta e pesci, e lui prese congedo.
Il secondo giorno di viaggio da solo non fu piacevole come il primo. Il tempo era cattivo, freddo e umido, spesso nevicava, con una nebbia densa che gravava sulla terra. Perse gran parte della mattina intrappolandosi in un cul-de-sac, con una lunga catena di colline alla sua sinistra, un’altra alla destra, e un largo lago che apparve d’improvviso davanti a lui. Attraversarlo a nuoto era impensabile: avrebbe dovuto trascorrere forse parecchie ore nelle sue acque gelide, e non sarebbe sopravvissuto. Perciò dovette compiere un lungo e faticoso giro verso ovest, superando la catena più bassa di colline, e si ritrovò a tal punto fuori strada che a mezzogiorno non era arrivato più a settentrione di quanto non lo fosse stato la sera prima. La vista della montagna della rinascita, avvolta nella nebbia, lo spinse avanti, e per un paio d’ore, nel pomeriggio, ebbe l’illusione di aver recuperato il tempo perso al mattino, solo per scoprire di essere bloccato da un rapido e ampio fiume che scorreva da ovest a est, evidentemente quello che formava il lago che l’aveva bloccato in precedenza. Non osò attraversare a nuoto neppure questo: la corrente l’avrebbe trascinato chissà dove prima che riuscisse a raggiungere la riva opposta. Perse invece più di un’ora seguendo il fiume a monte, finché non raggiunse un punto dove poteva guadarlo. Era ancora più largo, in quel punto, ma il letto appariva molto più basso, e qualche sollevamento geologico aveva gettato attraverso la corrente una fila di massi, come una collana. Una dozzina di essi emergevano, circondati da una schiuma bianca, gli altri, benché sommersi, erano appena visibili sotto la superficie. Gundersen cominciò la traversata. Riuscì a saltare da un masso all’altro rimanendo asciutto, fin quasi a un terzo del cammino. Poi dovette entrare nell’acqua fino alle caviglie, scivolando e a tentoni. La nebbia lo avvolse. Avrebbe potuto essere solo nell’universo, senza nulla davanti e dietro di sé se non confuse masse bianche. Non vedeva né gli alberi né la riva, neppure i massi che lo attendevano. Si concentrò completamente nel tenersi in piedi e mantenere la direzione giusta. Avendo messo un piede in fallo, scivolò e cadde nel fiume fino alle ascelle, sbattuto dalla corrente, talmente confuso per un momento che non riuscì ad alzarsi in piedi. Tutta la sua energia era dedicata a tenersi aggrappato alla roccia angolosa sotto di sé. Dopo qualche minuto, riuscì a trovare la forza per rimettersi in piedi, e avanzò barcollando, finché non trovò un masso che emergeva di circa mezzo metro sull’acqua. Si inginocchiò su di esso, intirizzito e inzuppato, tremante. Trascorsero forse cinque minuti. Con la nebbia che lo opprimeva, non riuscì ad asciugarsi, ma almeno riprese fiato, e poté ricominciare la traversata. Allungando la punta di uno stivale, trovò un altro masso emergente, davanti a sé. Passò su questo. Ce n’era un altro. Poi un altro. Adesso era facile. Avrebbe raggiunto la riva opposta senza più bagnarsi. Affrettò il passo e attraversò altri due massi. Poi, attraverso uno squarcio nella nebbia, intravide la riva.
Читать дальше