— Cosa ha fatto Kurtz ai nildor? Li ha uccisi? Sezionati? Frustati?
— Questi sono peccati contro il corpo — disse Seena. — Ha fatto di peggio.
— Dimmi.
— Sai cosa succedeva alla stazione dei serpenti, a sud dello spazioporto?
— Ci sono stato per qualche settimana, con Kurtz e Salamone — disse Gundersen. — Molto tempo fa, quando ero appena arrivato, quando tu eri ancora una bambina sulla Terra. Ho visto loro due chiamare i serpenti dalla giungla e mungerli del veleno, e dare il veleno da bere ai nildor. E bere loro stessi il veleno.
— E cosa è successo allora?
Gundersen scosse la testa. — Non sono mai riuscito a capirlo bene. Quando l’ho provato con loro ho avuto l’illusione che noi tre ci trasformassimo in nildor. E che i tre nildor si fossero trasformati in noi. Avevo la proboscide, quattro zampe, zanne, aculei. Tutto sembrava diverso; vedevo attraverso occhi nildor. Tutto sembrava differente. Poi è finita e mi sono ritrovato nel mio corpo, e ho provato un orribile senso di vergogna, di colpa. Non riuscivo a capire se si era trattata di una vera metamorfosi dei corpi, o solo di allucinazione.
— Era allucinazione — gli disse Seena. — Il veleno ti aveva aperto la mente, l’anima, facendoti entrare nella coscienza del nildor mentre il nildor entrava nella tua. Per un certo tempo quel nildor ha creduto di essere Edmund Gundersen. Un sogno del genere è una grande estasi per un nildor.
— È questo il peccato di Kurtz, dunque? Dare l’estasi ai nildor?
— Il veleno dei serpenti — disse Seena — è usato anche nella cerimonia della rinascita. Quello che tu, Kurtz e Salamone facevate là nella giungla era una versione molto, molto , edulcorata della rinascita. E lo stesso valeva per i nildor. Ma era una rinascita blasfema per loro, per molte ragioni. Primo, perché si teneva nel posto sbagliato. Secondo, perché era compiuta senza gli appropriati rituali. Terzo, perché i celebranti che guidavano i nildor erano uomini, non sulidoror, e in tal modo l’intera faccenda diventava una perversa parodia dell’atto più sacro che questo pianeta conosca. Dando il veleno a quei nildor, Kurtz li tentava a immischiarsi in qualcosa di diabolico, letteralmente diabolico. Pochi nildor sanno resistere a quella tentazione. Lui trovava piacere nel farlo… sia nelle allucinazioni che gli dava il veleno, sia nel tentare i nildor. Credo che godesse della tentazione ancor più che delle allucinazioni, e questo fu il suo peccato peggiore, poiché attraverso essa condusse nildor innocenti in quella che su questo pianeta passa per dannazione. In vent’anni trascorsi su Belzagor ha allettato centinaia, forse migliaia di nildor a condividere una tazza di veleno con lui. Alla fine la sua presenza è diventata intollerabile, e la sua sete di male è diventata la fonte della sua distruzione. E adesso si trova qui, né vivo né morto, non più un pericolo per alcunché su Belzagor.
— Tu credi che l’aver messo in scena l’equivalente locale di una messa nera abbia condotto Kurtz al destino che cerchi di nascondermi?
— Io lo so — replicò Seena. Si alzò in piedi, si stirò voluttuosamente e lo chiamò con un cenno. — Torniamo alla stazione, adesso.
Come se quella fosse la prima alba del tempo, camminarono nudi nel giardino, vicini, il calore del sole e il calore del corpo di Seena che lo eccitavano suscitando una specie di febbre in lui. Per due volte fu sul punto di gettarla a terra e di prenderla fra quei cespugli alieni, e per due volte si trattenne, senza sapere il perché. Quando furono a una decina di metri dalla casa, sentì nuovamente il desiderio montargli dentro, e si voltò verso di lei, appoggiandole una mano sul seno. Ma lei disse: — Dimmi un’altra cosa.
— Se posso.
— Perché sei tornato su Belzagor? Veramente. Cosa ti attira nella terra delle nebbie?
Lui disse: — Se credi nel peccato, devi credere anche nella redenzione dal peccato.
— Sì.
— Bene. Anch’io ho un peccato sulla mia coscienza. Forse non grave come quelli di Kurtz, ma sufficiente a disturbarmi, e sono tornato qui per un atto di espiazione.
— Come hai peccato? — chiese lei.
— Ho peccato contro i nildor nel modo normale dei terrestri, collaborando a renderli schiavi, trattandoli con sufficienza, non riuscendo a comprendere la loro intelligenza e la loro complessità. In particolare ho peccato impedendo a sette nildor di arrivare in tempo alla rinascita. Ricordi quando crollò la diga di Monroe, e arruolai a forza quei pellegrini per i lavori? Usai una torcia a fusione per costringerli a obbedire, e per colpa mia persero la rinascita. Non sapevo che se fossero arrivati in ritardo avrebbero perso il loro turno, e anche se l’avessi saputo, non avrei pensato che importava. Un peccato dentro un peccato dentro un peccato. Me ne andai da qui sentendomi macchiato. Quei sette nildor mi tormentavano nei miei sogni. Ho capito che dovevo tornare e cercare di purificare la mia anima.
— Che genere di espiazione hai in mente? — chiese lei.
Lui ebbe difficoltà a incontrare i suoi occhi. Li abbassò, ma fu ancora peggio, perché la nudità di Seena lo turbò ancora di più, nella luce del sole fuori della stazione. Si costrinse a rialzare gli occhi.
Disse: — Ho deciso di scoprire cos’è la rinascita, e prendervi parte. Intendo offrirmi ai sulidoror come candidato.
— No.
— Seena, che c’è? Tu…
Lei tremava. Le guance le si erano infuocate, e il rossore si diffuse fino ai suoi seni. Si morse le labbra e gli girò le spalle di scatto. — È una follia — disse. — La rinascita non è cosa per i terrestri. Come puoi pensare di espiare qualcosa immischiandoti in una religione aliena, abbandonandoti a un processo su cui nessuno di noi sa niente…
— Devo, Seena.
— Non essere pazzo.
— È un’ossessione. Tu sei la prima persona a cui ne abbia mai parlato. I nildor con cui sto viaggiando non lo sanno. Non posso fermarmi. Devo a questo pianeta una vita, e sono qui per pagare. Devo andare, quali che siano le conseguenze.
Seena disse: — Entra nella stazione con me. — La sua voce era piatta, meccanica, vuota.
— Perché?
— Vieni.
Lui la seguì in silenzio. Lei lo condusse fino al piano di mezzo dell’edificio, in un corridoio bloccato da uno dei robot guardiani. A un cenno della donna, il robot si fece da parte. Sulla soglia di una porta in fondo all’edificio, lei si fermò e appoggiò la mano sullo scanner. La porta si aprì, e lei gli fece cenno di entrare con lei.
Gundersen sentì il grugnito che aveva sentito la sera prima, e questa volta non ci fu alcun dubbio nella sua mente che si trattava di un grido soffocato di tremendo dolore.
— Questa è la stanza dove passa il suo tempo Kurtz — disse Seena. Tirò una tenda che divideva la stanza. — E questo è Kurtz.
— Non è possibile — mormorò Gundersen. — Come… come…
— Come ha fatto a diventare così?
— Sì.
— Invecchiando cominciò a sentire rimorso per i crimini commessi. Soffriva grandemente per la sua colpa, e l’anno scorso decise di intraprendere un atto di espiazione. Decise di andare nel paese delle nebbie e di sottoporsi alla rinascita. Questo è ciò che mi hanno riportato. Questo è l’aspetto che assume un essere umano, Edmund, dopo che si è sottoposto alla rinascita.
Ciò che Gundersen vide era apparentemente umano, e probabilmente un tempo era perfino stato Jeff Kurtz. L’assurda lunghezza del corpo era senza dubbio propria di Kurtz, poiché la figura nel letto sembrava lunga una volta e mezzo un uomo normale, come se una sezione extra di vertebre, e magari un secondo paio di femori fossero stati inseriti. Anche il cranio era chiaramente quello di Kurtz: la grande calotta bianca, le arcate sporgenti. Queste erano ancora più prominenti di quanto Gundersen ricordasse. Si levavano al di sopra degli occhi chiusi come barricate a guardia di qualche invasione da nord. Ma le fitte sopracciglia nere che avevano coperto quelle arcate erano sparite. E così pure le sopracciglia lunghe, quasi femminili.
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