— Chi ti ha detto tutto questo?
— Credimi, ci sono arrivata da sola.
Lui appoggiò la testa su una mano e con l’altra toccò la coscia di Seena, in segno di ammirazione. La sua pelle era asciutta e calda, adesso. Appoggiò la mano sulla carne ferma. Seena non mostrò alcuna reazione. A bassa voce disse: — È troppo tardi per fare un patto?
— Che patto?
— Un patto di non aggressione. Ci siamo lanciati stoccate fin da quando sono arrivato qui. Finiamo le ostilità. Io ti ho nascosto delle cose, e tu ne hai nascoste a me, e a che ci serve? Perché non possiamo semplicemente aiutarci a vicenda? Siamo due esseri umani su un mondo molto più strano e pericoloso di quanto sospetti la maggior parte della gente, e se non possiamo darci un po’ di conforto e di aiuto, che senso hanno i legami umani?
Lei disse sommessamente:
“Oh, amore, siamo a vicenda fedeli:
poiché il mondo, che sembra
stendersi dinanzi a noi come una terra di sogni,
così vario, nuovo e meraviglioso…”
Le parole dell’antica poesia sgorgarono dal pozzo della sua memoria, e Gundersen riprese il verso:
“…non possiede in realtà né gioia, né amore, né luce,
né certezze, né pace, né aiuto nel dolore;
e noi siamo qui come su una pianura oscura
scossi da allarmi confusi di combattimento e di fuga
dove… dove…”
— “Dove eserciti ignoranti si scontrano di notte” — finì Seena per lui. — Sì. È proprio da te, Edmund, dimenticarti un verso proprio nel momento cruciale, nel punto culminante.
— Allora niente patto di non aggressione?
— Mi spiace. Non avrei dovuto dirlo. — Si voltò verso di lui, gli prese la mano appoggiata sulla coscia e se la premette teneramente fra i seni, la sfiorò con le labbra. — D’accordo, abbiamo scherzato. Adesso è finita, e diremo solo la verità, ma incomincia tu. I nildor ti hanno chiesto di portare Ced Cullen fuori dalla zona delle nebbie?
— Sì — disse Gundersen. — Era la condizione per il mio ingresso.
— E tu hai promesso di farlo?
— A certe condizioni, Seena. Se non verrà di sua volontà, non sono obbligato a costringerlo. Ma almeno devo trovarlo. Ho dato la mia parola. Perciò ti chiedo nuovamente di dirmi dove posso cercarlo.
— Non lo so — disse lei. — Non ne ho idea. Potrebbe essere chissà dove.
— È la verità?
— La verità — disse lei, e per un momento la durezza si sciolse dai suoi occhi, e la sua voce fu quella di una donna e non di un violoncello.
— Puoi dirmi almeno perché è scappato, perché lo vogliono tanto?
Seena ci mise un po’ prima di rispondere. Alla fine disse: — Circa un anno fa andò nell’altopiano centrale, per uno dei suoi soliti giri di raccolta. Mi disse che intendeva procurarmi un’altra medusa. Di solito io lo accompagnavo, ma questa volta Kurtz era ammalato, e rimasi a casa. Ced andò in una zona dell’altopiano che non avevamo mai esplorato prima, e qui trovò un gruppo di nildor che prendevano parte a una specie di cerimonia religiosa. Capitò proprio in mezzo a loro e a quanto pare profanò il rito.
— Rinascita? — chiese Gundersen.
— No, la rinascita avviene solo nel paese delle nebbie. Era qualcos’altro, qualcosa di quasi altrettanto importante, pare. I nildor erano furibondi. Ced ne uscì vivo a malapena. Tornò qui e disse che era nei guai, che i nildor lo volevano, che aveva commesso una specie di sacrilegio e che doveva trovare un rifugio. Poi partì verso nord, con una squadra di nildor che gli diede la caccia fin sul confine. Da allora non ho più avuto sue notizie. Non ho contatti con il paese delle nebbie. E questo è tutto quello che posso dirti.
— Non mi hai detto che sorta di sacrilegio ha commesso — osservò Gundersen.
— Non lo so. Non so che genere di rituale fosse, o cosa fece per interromperlo. Ti ho detto solo quanto lui ha detto a me. Ci credi?
— Ci credo — disse lui. Sorrise. — Adesso giochiamo a un altro gioco, e questa volta comincio io. Ieri sera mi hai detto che Kurtz era in viaggio, che non lo vedevi da molto tempo e non sapevi quando sarebbe tornato. Hai detto anche che era stato ammalato, ma hai subito abbandonato l’argomento. Questa mattina il robot che mi ha portato la colazione ha detto che saresti scesa tardi perché Kurtz era ammalato e tu eri insieme a lui nella sua stanza, come fai sempre a quell’ora. I robot di solito non mentono.
— Il robot non mentiva. Io sì.
— Perché?
— Lo proteggo da te — disse Seena. — Sta molto male, e non voglio che venga disturbato. E sapevo che se ti avessi detto che era qui, avresti voluto vederlo. Non è abbastanza in forze per ricevere visite. È stata una bugia innocente, Edmund.
— Che malattia ha?
— Non ne siamo sicuri. Non è rimasto gran che in fatto di servizio sanitario, su questo pianeta. Ho un diagnostat, ma non mi ha fornito alcun dato utile quando l’ho usato su Kurtz. Potrei definire la sua malattia come una specie di cancro. Soltanto che non è cancro.
— Puoi descrivermi i sintomi?
— A che servirebbe? Il suo corpo ha cominciato a cambiare. È diventato qualcosa di strano, brutto, spaventoso, e non c’è bisogno che entri nei dettagli. Se credi che quanto è successo a Dykstra e Pauleen sia orribile, la vista di Kurtz ti lascerebbe senza parole. Ma non te lo farò vedere. Ho mentito tanto per proteggerlo da te, quanto per proteggere te da lui. Starai meglio se non lo vedi. — Seena si sedette a gambe incrociate sulla roccia, e cominciò a districare le ciocche ingarbugliate di capelli bagnati. Gundersen pensò che non l’aveva mai vista così bella, vestita solo della luce di un sole alieno, la pelle liscia e lucente, il corpo flessibile, pieno, maturo. E la crudezza dei suoi occhi, quella nota discordante? Le era venuta dal vedere ogni mattina l’orrore che era Kurtz? Dopo una lunga pausa Seena disse: — Kurtz viene punito per i suoi peccati.
— Credi davvero che sia così?
— Sì — disse lei. — Credo che esistano cose come i peccati, e che ci sia una punizione per il peccato.
— E che un vecchio con la barba se ne stia lassù in cielo a tenere la contabilità e a dirigere lo spettacolo, dando la giusta punizione per ogni adulterio, ogni bugia, un atto di ghiottoneria, un poco di orgoglio?
— Non ho idea di chi diriga lo spettacolo — disse Seena. — Non sono neanche sicura che ci sia qualcuno a farlo. Non preoccuparti, Edmund, non sto cercando di importare la teologia medievale su Belzagor. Non ti voglio somministrare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e dire che in tutto l’universo valgono certi valori fondamentali. Dico semplicemente che qui su Belzagor viviamo alla presenza di certi principi morali, propri di questo pianeta, e che se uno straniero viene su Belzagor e trasgredisce a qualcuno di questi principi, se ne pente. Questo mondo non è nostro, non lo è mai stato e non lo sarà mai, e noi che viviamo qui siamo in una condizione costante di pericolo, perché non comprendiamo le regole fondamentali.
— Che peccati ha commesso Kurtz?
— Mi ci vorrebbe tutta la mattina per elencarteli — disse lei. — Alcuni erano peccati contro i nildor, e alcuni erano peccati contro il suo spirito.
— Noi tutti abbiamo commesso peccati contro i nildor — disse Gundersen.
— In un certo senso sì. Eravamo orgogliosi e sciocchi, e non siamo riusciti a vederli per quello che erano, e li abbiamo sfruttati. Questo è un peccato, naturalmente, un peccato che i nostri antenati hanno commesso su tutta la Terra molto tempo prima che andassimo nello spazio. Ma Kurtz aveva una capacità più grande di commettere peccati del resto di noi, perché era un uomo più grande. Gli angeli hanno più spazio per cadere, quando cadono.
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