— Sì, grazie.
La donna chiamò il robot. Faceva buio, ormai. Una terza luna era apparsa.
A bassa voce Seena disse: — Sono molto felice che tu sia venuto questa sera, Edmund. È stata una meravigliosa sorpresa.
— Kurtz non è qui, adesso?
— No — disse lei. — È via, e non so quando tornerà.
— Com’è stato per lui, vivere qui?
— Credo che sia stato abbastanza felice, in genere. Naturalmente è un uomo molto strano.
— È vero — disse Gundersen.
— Ha qualcosa del santo, penso.
— Un santo oscuro e gelido, Seena.
— Alcuni santi lo sono. Non assomigliano tutti a San Francesco.
— La crudeltà è uno dei caratteri della santità?
— Kurtz vedeva la crudeltà come una forza dinamica. È diventato un artista della crudeltà.
— Anche il marchese de Sade. Ma nessuno l’ha canonizzato.
— Sai cosa voglio dire — disse Seena. — Una volta mi hai descritto Kurtz come un angelo caduto. È esattamente così. L’ho visto fra i nildor, che ballava in mezzo a centinaia di loro, e loro andavano da lui e praticamente lo adoravano. Lui gli parlava, li accarezzava. E faceva la cosa più distruttiva per loro, eppure lo amavano.
— Che genere di cosa distruttiva?
— Non ha importanza. Non credo che approveresti. Lui… gli dava delle droghe, qualche volta.
— Il veleno dei serpenti?
— Qualche volta.
— Dov’è adesso? A giocare coi nildor?
— È ammalato. — Il robot aveva cominciato a servire la cena. Gundersen aggrottò la fronte di fronte alle strane verdure sul piatto. — Sono perfettamente sane — disse Seena. — Le coltivo io stessa, nell’orto. Sono diventata un’esperta.
— Non ricordo di averne mai viste.
— Vengono dall’altopiano.
Gundersen scosse la testa. — Quando ripenso a come eri disgustata dall’altopiano, quanto ti sembrava strano e disgustoso quella volta che atterrammo là…
— Ero una bambina allora. Quando è successo? Undici anni fa? Poco dopo averti conosciuto. Avevo solo vent’anni. Ma su Belzagor è necessario sconfiggere quello che ti spaventa, o si resta sconfitti. Sono tornata sull’altopiano. Più volte. E non l’ho più trovato strano, e così ha smesso di spaventarmi, e così ho cominciato ad amarlo. E ho portato molti dei suoi animali e delle sue piante a vivere qui con me. È così diverso dal resto di Belzagor… tagliato fuori da tutto il resto, quasi alieno.
— Ci sei andata con Kurtz?
— Qualche volta. E qualche volta con Cen Cullen. Ma di solito da sola.
— Cullen — disse Gundersen. — Lo vedi spesso?
— Oh, sì. Lui, Kurtz e io siamo stati una specie di triunvirato. Il mio secondo marito, quasi. In senso spirituale, voglio dire. Anche fisico, qualche volta, ma questo non è molto importante.
— Dov’è Cullen adesso? — le chiese, fissandola negli occhi duri e lucidi.
La sua espressione si incupì. — A nord. Nel paese delle nebbie.
— Cosa ci fa?
— Perché non vai a chiederglielo? — suggerì lei.
— È proprio quello che vorrei fare — disse Gundersen. — In effetti, sto andando nel paese delle nebbie, e questa è solo una fermata sentimentale, lungo la strada. Viaggio con cinque nildor, in cammino per la rinascita. Sono accampati nella macchia, da qualche parte.
Lei aprì una bottiglia di vino muschiato, grigio-verde, e gliene versò un poco. — Perché vuoi andare nel paese delle nebbie? — chiese rigidamente.
— Curiosità. Lo stesso motivo che ha spinto Cullen, immagino.
— Non credo che il suo motivo fosse la curiosità.
— Spiegati meglio.
— Preferisco di no — disse lei.
La conversazione languì. Parlare con lei era come girare in cerchio, pensò Gundersen. Quella sua nuova serenità poteva essere insopportabile. Gli diceva solo quello che voleva dirgli, giocando con lui, godendosi apparentemente il suono della sua dolce voce da contralto nell’aria notturna, senza comunicare alcuna informazione. Quella non era la Seena che aveva conosciuto. La ragazza che aveva amato era stata elastica e forte, ma non astuta o reticente; c’era stata una innocenza in lei che adesso sembrava completamente svanita. Forse Kurtz non era l’unico angelo caduto, su quel pianeta. D’improvviso Gundersen disse: — È sorta la quarta luna!
— Sì. Naturalmente. Cosa c’è di tanto strano?
— Raramente se ne vedono quattro, anche a questa latitudine.
— Succede almeno quattro volte all’anno. Perché sprecare la tua meraviglia? Fra poco sorgerà anche la quinta, e…
Gundersen spalancò la bocca. — È questa la notte, dunque?
— La Notte delle Cinque Lune? Sì.
— Nessuno me l’aveva detto!
— Forse non l’hai chiesto.
— Due volte l’ho persa perché ero alla Punta del Fuoco. Un anno ero sul mare, e una volta ero nella zona delle nebbie settentrionale, quando c’è stato l’incidente con l’elicottero. E così via. Sono riuscito a vederla solo una volta, Seena, proprio qui, dieci anni fa, con te. Quando le cose andavano per il meglio, fra noi. E adesso, capitare qui per caso, e rivederla!
— Credevo che avessi fatto in maniera di essere qui di proposito. Per commemorare quella volta.
— No, no. Pura coincidenza.
— Felice coincidenza, dunque.
— Quando sorge?
— Fra un’ora circa.
Osservò i cinque punti luminosi che galleggiavano nel cielo. Era stato tanto tempo fa, che si era dimenticato da dove doveva spuntare la quinta luna. La sua orbita era retrograda, gli pareva. Era anche la più brillante delle cinque, con una superficie di ghiaccio liscia come uno specchio.
Seena tornò a riempirgli il bicchiere. Avevano finito di mangiare. — Scusami — disse. — Torno subito.
Da solo, studiò il cielo cercando di comprendere quella Seena stranamente mutata, questa donna misteriosa il cui corpo si era fatto più voluttuoso e la cui anima, sembrava, si era cambiata in pietra. Vedeva adesso che la pietra era stata sempre in lei: alla loro separazione, per esempio, quando lui aveva chiesto il trasferimento sulla Terra, e lei si era assolutamente rifiutata di lasciare il Mondo di Holman. Ti amo, aveva detto, e ti amerò sempre, ma è qui che rimarrò. Perché? Perché? Perché voglio rimanere, gli aveva detto. Ed era rimasta; e lui era stato altrettanto ostinato, e se n’era andato senza di lei; e avevano dormito insieme sulla spiaggia sotto l’hotel l’ultima notte, così che il calore del corpo di lei era ancora sulla sua pelle quando era salito a bordo della nave che l’aveva portato via. Lei l’amava e lui l’amava, ma si erano separati, perché lui non vedeva alcun futuro su quel mondo, e lei vedeva tutto il suo futuro in esso. E lei aveva sposato Kurtz. E aveva esplorato l’altopiano sconosciuto. E adesso parlava con voce nuova, più profonda, e lasciava che amebe aliene le avvolgessero i lombi, e alzava le spalle alla notizia che due terrestri avevano trovato una morte orribile. Era ancora Seena, o qualche abile contraffazione?
Suoni di nildor gli giunsero dal buio. Gundersen avvertì anche un altro suono, più vicino, una specie di grugnito soffocato che gli era del tutto nuovo. Sembrava un grido di dolore, anche se forse era solo la sua immaginazione. Probabilmente era uno degli animali dell’altopiano portati da Seena, che frugava nel giardino alla ricerca di radici di suo gusto. Lo sentì altre due volte, poi basta.
Il tempo passò, e Seena non tornava.
Poi vide la quinta luna salire placidamente in cielo, le dimensioni di una grossa moneta d’argento, così luminosa da abbagliare. Attorno a essa danzavano le altre quattro, due soltanto piccoli puntini luminosi, due più grandi, e le ombre delle loro luci si frantumavano, mentre i piani di luce si intersecavano. I cieli versavano luce sulla terra in cascate di ghiaccio.
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