Mentre andava sotto, un pensiero gli attraversò la mente: che Vol’himyor l’avesse assalito a tradimento, colpendolo con la proboscide. Un colpo simile poteva facilmente essere fatale, se inferto con vere intenzioni omicide. Sputando il liquido del lago che gli aveva riempito la bocca, le braccia parzialmente intorpidite a causa del colpo, Gundersen riemerse con cautela, aspettandosi di vedere il vecchio nildor sopra di lui, pronto a menare il colpo di grazia.
Aprì gli occhi, avendo qualche momentanea difficoltà a metterli a fuoco. No: il molte-volte-nato era lontano, e guardava in un’altra direzione. Poi Gundersen sentì un curioso formicolio premonitore, e abbassò la testa appena in tempo per evitare di essere decapitato da qualsiasi cosa l’aveva colpito prima. Affondato nell’acqua fino al naso, la vide girare in alto, una spessa verga giallastra, come un boma fuori controllo. Sentì delle altissime grida di dolore e avvertì delle ondate spazzare il lago. Si guardò intorno.
Una dozzina di sulidoror erano entrati in acqua, e stavano uccidendo un malidar. Avevano arpionato la bestia colossale con bastoni appuntiti; adesso il malidar si agitava nell’agonia e sferzava la coda, ed era stata questa a colpire Gundersen. I cacciatori si erano disposti a ventaglio nell’acqua bassa, immersi fino alla vita, la fitta pelliccia inzaccherata e arruffata. Ciascun gruppo teneva la corda di un arpione, e stavano a poco a poco trascinando il malidor sulla riva.
Gundersen non era più in pericolo, ma continuò a restare basso nell’acqua, trattenendo il respiro e ruotando le spalle per assicurarsi che non ci fossero ossa rotte. La coda del malidar doveva averlo appena sfiorato, la prima volta; sarebbe sicuramente stato ucciso al secondo colpo, se non si fosse abbassato. Cominciava a sentirsi indolenzito, e mezzo affogato a causa dell’acqua che aveva ingoiato. Si chiese quando avrebbe cominciato a sentirsi ubriaco.
I sulidoror avevano trascinato a terra la loro preda. Soltanto la coda del malidar e le grosse gambe posteriori, palmate, rimanevano nell’acqua, muovendosi a scatti. Il resto dell’animale, cinque volte la lunghezza di un uomo, pesante tonnellate, era arenato, e i sulidoror lo stavano metodicamente infilzando con lunghi bastoni, uno in ciascun arto anteriore e parecchi nella larga testa a forma di cuneo. Qualche nildor osservava l’operazione con moderata curiosità. La maggior parte non ci badava. I restanti malidaror continuavano a brucare le alghe, come se nulla fosse successo.
Un ultimo colpo con un bastone spezzò la colonna vertebrale del malidar. L’animale ebbe un tremito e giacque immobile.
Gundersen si affrettò a uscire dall’acqua, con rapide bracciate, poi camminò sul fango spiacevolmente voluttuoso, e finalmente uscì barcollando sulla spiaggia. Le ginocchia d’improvviso gli cedettero, e cadde in avanti, tremante e ansimante, e vomitò. Un rivoletto di liquido gli uscì dalle labbra. Dopo, si rotolò su un fianco e osservò i sulidoror tagliare blocchi giganteschi di pallida carne rosa dai fianchi del malidar, distribuendola. Altri sulidoror erano usciti dalle capanne per partecipare al festino. Gundersen rabbrividì. Si sentiva come sotto shock, e passarono alcuni minuti prima che si rendesse conto che la causa dello shock non era solo il colpo che aveva ricevuto e l’acqua che aveva ingoiato, ma anche la consapevolezza che un atto di violenza era stato commesso di fronte a un branco di nildor, e i nildor non sembravano affatto disturbati dalla cosa. Aveva creduto che quelle creature pacifiche avrebbero reagito con orrore allo squartamento di un malidar. Ma semplicemente non gli interessava. Lo shock che Gundersen provava era lo shock della delusione.
Un sulidor gli si avvicinò e si fermò accanto a lui. Gundersen guardò a disagio la figura pelosa che lo dominava. Il sulidor teneva in mano un pezzo di carne di malidar, grande come la testa di Gundersen.
— Per te — disse il sulidor, in lingua nildor. — Mangi con noi?
Non attese risposta. Gettò il pezzo di carne in terra, accanto a Gundersen, e tornò dai suoi compagni. Lo stomaco di Gundersen si rivoltò. Non aveva nessuna voglia di carne cruda, in quel momento.
Sulla spiaggia d’improvviso era calato un profondo silenzio.
Lo stavano tutti guardando, sulidoror e nildor.
Gundersen si rimise in piedi, tremando. Risucchiò aria calda nei polmoni e guadagnò un po’ di tempo inginocchiandosi sulla riva del lago per lavarsi la faccia. Trovò i vestiti che si era levato, e ci mise qualche minuto a metterseli. Adesso si sentiva un po’ meglio; ma il problema della carne cruda rimaneva. I sulidoror si godevano il loro festino strappando la carne a brandelli e ripulendo le ossa, e ogni tanto guardavano dalla sua parte per vedere se avrebbe accettato la loro ospitalità. I nildor, che naturalmente non avevano toccato la carne, sembravano anch’essi curiosi circa la sua decisione. Se avesse rifiutato la carne avrebbe offeso i sulidoror? Se l’avesse mangiata, si sarebbe dimostrato altrettanto bestiale agli occhi dei nildor? Concluse che era meglio ingoiare qualche pezzetto di carne come gesto di buona volontà verso i bipedi dall’aria minacciosa. I nildor, dopo tutto, non sembravano disturbati dal fatto che i sulidoror mangiassero carne; perché avrebbe dovuto infastidirli se un terrestre, un noto carnivoro, faceva lo stesso?
Avrebbe mangiato la carne. Ma l’avrebbe mangiata alla maniera terrestre.
Strappò qualche foglia di una pianta acquatica e le distese per formare una stuoia; vi appoggiò la carne. Dalla tunica prese la torcia a fusione, la regolò su larga apertura e bassa intensità, e la passò sulla carne, finché la superficie esterna non fu bruciacchiata e sfrigolante. Con un raggio più stretto tagliò la carne in pezzetti più maneggevoli. Poi si sedette a gambe incrociate, prese un pezzo e lo addentò.
La carne era morbida, simile a formaggio, intramezzata da filamenti duri che formavano una complicata ragnatela. Facendosi forza, ne riuscì a ingoiare tre pezzi. Quando decise di averne avuto abbastanza, si alzò, ringraziò i sulidoror, e si inginocchiò accanto all’acqua e ne raccolse un po’ fra le mani. Aveva bisogno di un digestivo.
Durante tutto questo tempo nessuno gli parlò o gli si avvicinò.
I nildor erano usciti tutti dall’acqua, poiché la notte si avvicinava. Si erano sistemati in parecchi gruppi, a una certa distanza dalla riva. Il festino dei sulidoror continuava rumorosamente, ma si stava avvicinando alla fine; già parecchie piccole bestie-spazzino si erano unite al banchetto, e si erano messe all’opera intorno alla metà inferiore del corpo del malidar, mentre i sulidoror finivano l’altra parte.
Gundersen si guardò intorno alla ricerca di Srin’gahar. C’erano delle cose che desiderava chiedergli.
Lo disturbava ancora il fatto che i nildor avessero accettato con tanta freddezza l’uccisione nel lago. Si rese conto che aveva sempre considerato i nildor più nobili degli altri grossi animali del pianeta perché non uccidevano se non provocati molto gravemente, e qualche volta neppure in questo caso. Ecco una razza intelligente immune dal peccato di Caino. E Gundersen vedeva in questo un corollario: che i nildor, dal momento che non uccidevano, avrebbero considerato l’uccidere come un atto detestabile. Adesso sapeva che il suo ragionamento era erroneo, perfino ingenuo. I nildor non uccidevano per il semplice fatto che non mangiavano carne; ma la superiorità morale che aveva attribuito loro era in effetti un prodotto della sua immaginazione colpevole.
La notte giunse con tropicale rapidità. Una singola luna brillava in cielo. Gundersen vide un nildor che gli sembrava Srin’gahar e andò da lui.
— Ho una domanda da farti, Srin’gahar, amico del mio viaggio — cominciò Gundersen. — Quando i sulidoror sono entrati in acqua…
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