L’anello si aprì e Gundersen si trovò faccia a faccia con il molte-volte-nato. Il protocollo richiedeva che Gundersen parlasse per primo; ma la voce gli mancò; si sentiva stordito dalla tensione, forse, o forse dai fumi del lago, e ci volle un lunghissimo momento prima che riuscisse a riprendersi.
Alla fine disse: — Sono Edmund Gundersen della prima nascita, e ti auguro la gioia di molte rinascite, o saggio.
Senza fretta, il nildor mosse la grande testa da una parte, risucchiò acqua dal lago e se la schizzò in bocca. Poi disse con un brontolio: — Ti conosciamo, Edmundgundersen, dai giorni antichi. Tenevi la grande casa della Compagnia alla Punta di Fuoco, nel Mare di Polvere.
La memoria del nildor lo lasciò stupito e angosciato. Se lo ricordavano tanto bene, che probabilità aveva di guadagnarsi i favori di quella gente? Non avevano nessun motivo di aiutarlo.
— Ero qui, sì, molto tempo fa — disse impacciato.
— Non tanto tempo fa. Dieci rotazioni non è un lungo tempo. — Le pesanti sopracciglia del nildor si chiusero, e per qualche momento sembrò che il molte-volte-nato fosse piombato nel sonno. Poi, con gli occhi ancora chiusi, riprese: — Io sono Vol’himyor della settima nascita. Vuoi venire nell’acqua con me? Mi stanco facilmente sulla terra, in questa mia nascita.
Senza attendere, Vol’himyor entrò nel lago, nuotando lentamente fino a un punto a una quarantina di metri dalla riva, galleggiando immerso fino alle spalle. Un malidar che stava brucando le alghe in quella parte del lago si immerse con un gorgoglio di fastidio e riapparve a una certa distanza. Gundersen capì che non aveva altra scelta che seguire il molte-volte-nato. Si spogliò e si immerse.
L’acqua tiepida si chiuse intorno a lui. Dopo pochi passi, il tappeto spugnoso formato dalle erbe lasciò il posto a morbido fango caldo sotto i piedi nudi di Gundersen. Sentì sporadici movimenti di cose con molte zampe. Le radici delle piante acquatiche si attorcigliavano come fruste intorno alle sue gambe, e le nere bolle di alcol che salivano dalle profondità e scoppiavano alla superficia quasi lo soffocavano con i loro vapori.
Spinse da parte le piante, facendosi strada fra esse con grande difficoltà, e provò un grande sollievo quando i suoi piedi persero il contatto con il fango. Rapidamente nuotò fino a Vol’himyor. La superficie dell’acqua era sgombra in quel punto, grazie al malidar. Nelle buie profondità del lago, tuttavia, creature sconosciute si muovevano incessantemente, e ogni poco qualcosa di veloce e scivoloso si strofinava contro il corpo di Gundersen. Si costrinse a ignorare queste cose.
Vol’himyor, che sembrava tuttora addormentato, mormorò: — Sei stato lontano da questo mondo per molte rotazioni, vero?
— Dopo che la Compagnia ha rinunciato ai suoi diritti qui, sono tornato sul mio mondo — disse Gundersen.
— La vostra Compagnia non ha mai avuto diritti a cui rinunciare — disse il nildor nel solito modo piatto, neutrale. — Non è così?
— È così — concesse Gundersen. Pensò a una correzione adeguata, e disse: — Dopo che la Compagnia ha rinunciato al possesso di questo pianeta, sono tornato sul mio mondo.
— Queste parole si avvicinano di più alla verità. Perché, dunque, sei tornato?
— Perché amo questo posto e desideravo rivederlo.
— È possibile per un terrestre provare amore per Belzagor?
— Un terrestre può, sì.
— Un terrestre può essere catturato da Belzagor — disse Vol’himyor, con più lentezza del solito. — Un terrestre può scoprire che la sua anima è stata afferrata dalle forze di questo pianeta, e viene tenuta in schiavitù. Ma dubito che un terrestre possa amare questo pianeta, da come capisco la vostra idea dell’amore.
— Ti concedo questo, molte-volte-nato. La mia anima è stata catturata da Belzagor. Non ho potuto fare a meno di tornare.
— Sei molto pronto a cedere.
— Non desidero recare offesa.
— Commendevole tatto. E cosa intendi fare su questo mondo che ha catturato la tua anima?
— Viaggiare in molte parti del vostro mondo — disse Gundersen. — In particolare desidero visitare la zona delle nebbie.
— Perché?
— È il luogo che mi cattura più profondamente.
— Non è una risposta che dia molte informazioni — disse il nildor.
— Non ne posso dare altra.
— Cosa ti ha catturato laggiù?
— La bellezza delle montagne che si levano sopra la nebbia. Lo scintillio del sole in una giornata chiara e fredda. Lo splendore delle lune su una distesa di neve scintillante.
— Sei alquanto poetico — disse Vol’himyor.
Gundersen non riuscì a capire se veniva lodato o preso in giro.
Disse: — Sotto le attuali leggi, devo avere il permesso di un molte-volte-nato per entrare nella zona delle nebbie. Perciò sono venuto a chiederti questo permesso.
— Sei scrupoloso nel rispetto della nostra legge, mio amico nato-una-volta. Un tempo era diverso.
Gundersen si morse le labbra. Sentì qualcosa che gli si arrampicava sulla caviglia, salendo dalle profondità del lago, ma si costrinse a guardare serenamente il molte-volte-nato. Scegliendo le parole con cura disse: — Talvolta siamo lenti a comprendere la natura degli altri, e possiamo offendere senza sapere di farlo.
— È così.
— Ma poi giunge la comprensione — disse Gundersen — e uno prova rimorso per le azioni del passato, e spera di poter essere perdonato per i suoi peccati.
— Il perdono dipende dalla qualità del rimorso — disse Vol’himyor — e anche dalla qualità dei peccati.
— Credo che le mie mancanze ti siano conosciute.
— Non sono state dimenticate — disse il nildor.
— Credo anche che nella vostra fede la possibilità della redenzione personale non sia sconosciuta.
— Vero. Vero.
— Mi permetterai di fare ammenda dei miei peccati contro il tuo popolo, sia conosciuti che sconosciuti?
— Fare ammenda per peccati sconosciuti è privo di significato — disse il nildor. — Ma in ogni caso noi non desideriamo scuse. La tua redenzione dal peccato è affare tuo, non nostro. Forse troverai qui questa redenzione, come speri. Avverto già un gradito cambiamento nella tua anima, e questo conterà molto a tuo favore.
— Ho il tuo permesso per andare a nord, allora? — chiese Gundersen.
— Non così in fretta. Rimani un po’ qui come nostro ospite. Dobbiamo pensare. Puoi andare a riva, adesso.
Il congedo era chiaro. Gundersen ringraziò il molte-volte-nato per la sua pazienza, non senza qualche compiacimento per la maniera in cui aveva condotto la conversazione. Aveva sempre mostrato deferenza verso i molte-volte-nati (anche un imperialista alla Kipling sapeva che era meglio mostrarsi rispettosi verso i venerabili capi tribù), ma ai tempi della Compagnia non era mai stata più che una finzione per lui, una dimostrazione esteriore di umiltà, dal momento che il potere vero lo deteneva l’agente di settore della Compagnia, non un qualsiasi nildor, per quanto venerabile. Adesso, naturalmente, il vecchio nildor aveva il potere di lasciarlo fuori dalla zona delle nebbie, e poteva magari vedere una forma di giustizia nel bandirlo da essa. Ma Gundersen sentiva che il suo atteggiamento di deferenza e di scuse era stato ragionevolmente sincero, e che questa sincerità si era comunicata in parte al nildor. Sapeva che non poteva ingannare il molte-volte-nato, facendogli credere che un vecchio funzionario della Compagnia come lui fosse improvvisamente ansioso di umiliarsi di fronte alle ex vittime dell’espansionismo terrestre, ma se non era riuscito a dimostrare un minimo di sincerità, non aveva alcuna possibilità di ottenere il permesso di cui aveva bisogno.
D’improvviso, mentre Gundersen era ancora a una buona distanza dalla spiaggia, qualcosa lo colpì con tremenda violenza fra le spalle, scagliandolo intontito e ansimante nell’acqua, a faccia in avanti.
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