E questo era tutto. Non vide niente di scandaloso in quanto era successo, e non capiva perché c’erano state tante chiacchiere maliziose al quartier generale su quel posto, né perché Salamone avesse cercato di estorcergli un giuramento al silenzio. Non osava chiederlo. Tre giorni dopo richiamarono di nuovo i serpenti, di nuovo raccolsero il veleno, e ancora una volta l’intera procedura parve a Gundersen del tutto normale. Ma ben presto si rese conto che Kurtz e Salamone stavano mettendo alla prova la sua affidabilità, prima di iniziarlo ai loro misteri.
La terza settimana del suo periodo alla stazione dei serpenti, lo introdussero alle conoscenze segrete. La raccolta era stata terminata; i serpenti se n’erano andati; pochi nildor, della dozzina e più che erano stati attirati dal concerto di quel giorno, si trattenevano ancora all’esterno dell’edificio. Gundersen si rese conto che qualcosa di insolito stava per accadere quando vide Kurtz che, dopo aver gettato un’occhiata rapida a Salamone, sganciava un contenitore di veleno prima che procedesse lungo la sua strada verso l’apparato di distillazione. Lo versò in un’ampia ciotola, che poteva contenere almeno un litro di liquido. Sulla Terra, una quantità simile di liquido poteva valere un anno del salario di Gundersen come assistente di stazione.
— Vieni con noi — disse Kurtz.
I tre uscirono. Immediatamente tre nildor si avvicinarono, comportandosi in maniera strana, gli aculei ritti, le orecchie che tremavano. Sembravano agitati e ansiosi. Kurtz porse la ciotola di veleno puro a Salamone, che ne bevve un sorso e gliela ripassò. Anche Kurtz bevve. Porse la ciotola a Gundersen, dicendo: — Prendi la comunione con noi?
Gundersen esitò. Salamone disse: — Non c’è pericolo. Non può influire sui tuoi nuclei quando viene preso internamente.
Accostando la ciotola alle labbra, Gundersen ne bevve cautamente un sorso. Il veleno era dolce e acquoso.
— …solo sul tuo cervello — aggiunse Salamone.
Kurtz gli prese la ciotola e l’appoggiò a terra. Il più grosso dei nildor si fece avanti e vi infilò delicatamente la proboscide. Poi bevve il secondo, e il terzo. Ora la ciotola era vuota.
Gundersen disse: — Se è velenoso per la vita indigena…
— Non per via orale. Solo se viene iniettato direttamente nel sangue — disse Salamone.
— Cosa succede adesso?
— Aspetta — disse Kurtz — e rendi la tua anima ricettiva a qualsiasi suggestione.
Gundersen non dovette aspettare a lungo. Sentì la base del collo irrigidirsi e la pelle della faccia diventare ruvida, e le braccia gli sembrarono pesanti in maniera impossibile. Gli parve meglio cadere in ginocchio, mentre l’effetto si intensificava. Si voltò verso Kurtz, per trovare un aiuto in quegli scuri occhi scintillanti, ma gli occhi di Kurtz avevano già incominciato a schiacciarsi e ad allargarsi, mentre la sua proboscide verde e prensile aveva quasi raggiunto la terra. Anche Salamone stava subendo la metamorfosi, facendo comiche capriole, colpendo il suolo con le zanne. Il processo di ispessimento continuò. Adesso Gundersen sapeva di pesare parecchie tonnellate, e provò la coordinazione del suo corpo facendo dei passi avanti e indietro, imparando a muoversi con quattro zampe. Andò alla sorgente e risucchiò l’acqua nella proboscide. Sfregò la pelle dura come cuoio contro gli alberi. Emise suoni potenti, per la gioia della sua grandezza. Si unì a Kurtz e a Salamone in una danza selvaggia, facendo tremare il terreno. Anche i nildor si erano trasformati; uno era diventato Kurtz, uno era diventato Salamone, e il terzo Gundersen, e le tre ex bestie facevano selvagge piroette, inciampando e cadendo a causa della loro mancanza di familiarità con i movimenti umani. Ma Gundersen perse interesse in quello che stavano facendo i nildor. Si concentrò interamente sulla propria esperienza. Da qualche parte, nel cuore della sua anima, si sentiva terrorizzato per quella trasformazione, perché sapeva che avrebbe dovuto vivere per sempre come un grosso animale della giungla, strappando corteccia e rami; tuttavia c’erano i suoi vantaggi nell’essersi scambiati i corpi, e nell’avere accesso a tutta una nuova gamma di dati sensoriali. La sua vista adesso era oscurata, e tutto ciò che vedeva appariva avvolto in un alone indistinto, ma in compenso era capace di distinguere gli odori in base alla loro direzione e alla loro qualità, e il suo udito era immensamente più sensibile. Era l’equivalente di poter vedere nell’ultravioletto e nell’infrarosso. Uno squallido fiore della foresta gli mandò ondate di umida, viscida dolcezza; il ticchettio delle pinze di insetti, nei tunnel sotterranei, era come una sinfonia di percussioni. E la grandezza del suo corpo! L’estasi di portare un corpo simile! La sua coscienza trasformata si librava, scendeva a capofitto, tornava a innalzarsi. Schiacciò alberi e si congratulò con se stesso con rumore di tuono. Brucò e divorò. Poi si sedette un po’, perfettamente immobile, e meditò sull’esistenza del male nell’universo, chiedendosi perché esistesse una simile cosa, e se in verità il male esistesse come fenomeno oggettivo. Le sue risposte lo sorpresero e lo deliziarono, e si voltò verso Kurtz per comunicargli le sue intuizioni, ma proprio in quel momento l’effetto del veleno cominciò a svanire con una rapidità sorprendente, e dopo poco Gundersen tornò a sentirsi perfettamente normale. Ma stava piangendo, e si sentiva pieno di vergogna, come se fosse stato scoperto in flagrante mentre molestava un bambino. I tre nildor erano spariti. Salamone raccolse la ciotola e tornò nella stazione. — Vieni — disse Kurtz. — Entriamo anche noi.
Non parlarono in alcun modo della faccenda con lui. Gli avevano permesso di partecipare, ma non spiegarono niente, escludendolo con decisione, quando faceva domande. Il rito era ermeticamente privato. Gundersen fu del tutto incapace di valutare l’esperienza. Il suo corpo si era veramente trasformato in quello di un nildor per un’ora? Difficile da credersi. Allora la sua mente, o la sua anima, erano in qualche maniera migrate nel corpo del nildor? E l’anima del nildor, se i nildor avevano anima, si era trasferita nel suo? Che tipo di partecipazione, quale comunione di spiriti, si era verificata in quella radura?
Tre giorni dopo, Gundersen chiese di essere trasferito dalla stazione dei serpenti. A quei tempi rimaneva facilmente sconvolto da ciò che era sconosciuto. L’unica reazione di Kurtz, quando Gundersen annunciò che se ne andava, fu una breve risatina brutale. Il normale turno di lavoro alla stazione era di otto settimane, delle quali Gundersen aveva fatto meno della metà. Non venne mai più assegnato lì.
Più tardi, raccolse tutte le chiacchiere che poté circa la stazione dei serpenti. Gli vennero raccontate storie vaghe, di depravazioni sessuali nella radura, di accoppiamenti fra terrestri e nildor, fra terrestri e terrestri; sentì sussurrare che coloro i quali bevevano abitualmente il veleno subivano cambiamenti terribili e permanenti del corpo; gli venne riferito che gli anziani dei nildor, nei loro privati concili, condannavano aspramente la perversa abitudine di andare alla stazione dei serpenti per bere ciò che gli uomini offrivano. Ma Gundersen non sapeva se queste chiacchiere fossero vere. Trovò difficile, negli anni successivi, guardare Kurtz negli occhi, nelle rare occasioni in cui si incontrarono. Talvolta trovava difficile anche vivere con se stesso. In qualche maniera periferica, era rimasto contaminato da quella singola ora di metamorfosi. Si sentiva come una vergine che fosse capitata per caso in un’orgia, e che ne fosse uscita defiorata, ma tuttavia ignorante di cosa le fosse successo.
I fantasmi svanirono. Il suono della chitarra di Kurtz si affievolì e svanì.
Srin’gahar disse: — Possiamo andare?
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