Anne McCaffrey - Volo di drago

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La trilogia dei «Dragonieri di Pern», di cui «Volo di Drago» è la prima parte, è uno dei più interessanti cicli narrativi che la fantascienza ha prodotto in questi ultimi anni nel suo sforzo di rinnovamento interno, tematico e stilistico; è il tentativo ad ampio respiro di creare «ex novo» una mitologia complessa e coordinata, che non sia un semplice adattamento di mitologie «terrestri».
Esso è dovuto ad un nome nuovo, lanciato da John Campbell sulle pagine di «Analog», Anne McCaffrey, che si rivela scrittrice sensibile, originale e dalle notevoli doti letterarie. Sia i lettori che i critici statunitensi hanno testimoniato illoro apprezzamento per quest’opera, i cui diversi capitoli sono apparsi in più riprese sulle riviste di Campbell: i primi assegnando il Premio Hugo 1968 per il miglior romanzo breve alla parte iniziale del romanzo; i secondi il Premio Nebula 1969 per la stessa categoria all’ultima parte di esso. Anne McCaffrey è stata così la prima donna a vincere i due massimi premi fantascientifici americani.

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F’lar lo fissò sorpreso. Quell’uomo non si rendeva conto del suo umorismo involontario: parlava con sincera partecipazione. Il Maestro Fabbro si grattò la testa. Si udì chiaramente il suono raschiante delle dita tozze che passavano sui capelli e sulla cute indurita dal calore.

«Un bel problema. Un bel problema,» rifletté a voce alta. «Me ne occuperò con il massimo impegno.» Tornò a sedersi, e la panca scricchiolò sotto il suo peso.

Il Maestro Agricoltore alzò la mano, un po’ incerto.

«Quando ho studiato per diventare Maestro dell’Arte, ricordo di avere trovato da qualche parte un accenno ai vermi-di-sabbia di Igen. Una volta venivano allevati per protezione…»

«Non ho mai saputo che Igen producesse altro che caldo e sabbia,» scattò qualcuno.

«Tutti i suggerimenti possono esserci utili,» osservò seccamente F’lar, cercando di identificare il disturbatore. «Ti prego di ritrovare quei dati, Maestro dell’Arte. Nobile Banger di Igen, procurami un po’ di quei vermi-di-sabbia.»

Banger, meravigliatissimo che le sue aride terre possedessero un tesoro nascosto, annuì con vigore.

«Fino a quando non avremo trovato sistemi più efficienti per uccidere i Fili, tutti gli abitanti delle Fortezze dovranno organizzarsi a terra, durante gli attacchi, per individuare e contrassegnare i punti in cui i Fili sono penetrati nel terreno, per poterli bruciare con le pietre focaie. Non voglio che qualcuno rimanga ustionato; ma sappiamo che i Fili affondano molto rapidamente nel suolo, e non possiamo permettere che si moltiplichino. Voi siete quelli che avete più da perdere,» e tese il braccio verso i Signori. «Non dovete limitarvi a vigilare su voi stessi, perche i Fili possono dilagare dalle terre dell’uno a quelle dell’altro. Mobilitate tutti, uomini, donne, bambini, agricoltori e artigiani. E subito.»

Nella Sala del Consiglio regnò un’atmosfera di tensione e di sbigottimento fino a quando si alzò a parlare Zurg, il Maestro Tessitore.

«Anche la mia Arte ha qualcosa da offrire. È giusto, poiché ci occupiamo di fili per tutta la vita. Bene, si tratta di una cosa che riguarda gli antichi metodi.» La sua voce era sottile e secca, ma gli occhi, tra le grinze sottili che li incastonavano, erano vivi, e sfrecciavano da uno all’altro dei presenti. «Nella Fortezza di Ruatha, una volta, ho visto un arazzo appeso ad una parete… Non so dove sia finito, oggi.» Lanciò un’occhiata saputa a Meron di Nabol, e poi a Bargen delle Terre Alte, che era succeduto a Fax. «Era un’opera antica quanto i draghi e, tra le altre cose, mostrava un uomo a piedi, che portava sulle spalle uno strano apparecchio. Stringeva in mano un oggetto arrotondato, lungo come una spada, da cui scaturivano in direzione del terreno lingue di fiamma… splendidamente intessute e colorate di tinte rosso-arancio che oggi non si producono più. In cielo, naturalmente, c’era una formazione di draghi, e predominavano i bronzei… Abbiamo perduto, purtroppo, anche il segreto dei coloranti che riproducevano le tinte esatte dei draghi. Ricordo quel lavoro sia perché oggi non possediamo più quelle tecniche, sia per il soggetto che rappresentava.»

«Un lanciafiamme?» tuonò il Fabbro. «Un lanciafiamme,» ripeté in tono più smorzato, pensieroso, aggrottando le pesanti sopracciglia in una smorfia titanica. «Ma che genere di fiamma lanciava? Bisogna pensarci sopra.» Abbassò la testa e non parlò più, immerso nella sua meditazione al punto di disinteressarsi del dibattito che stava continuando a svolgersi.

«Sì, buon Zurg, in questi ultimi Giri sono andati perduti molti segreti di tutte le Arti,» commentò sardonico F’lar. «Se vogliamo continuare a vivere, dobbiamo riconquistare quella conoscenza… e in fretta. Ci terrei moltissimo a recuperare l’arazzo di cui ha parlato il Maestro Zurg.»

Fissò con aria significativa i Signori che, alla morte di Fax, si erano disputati le sue sette Fortezze.

«Potrebbe risparmiarvi molte e gravi perdite. Vi consiglio di riportarlo a Ruatha. Oppure alla fucina di Fandarel o all’opificio di Zurg. Come vi è più comodo.»

Vi fu un tramestio irrequieto, ma nessuno dei Signori ammise di essere il proprietario dell’arazzo.

«Poi verrebbe restituito al figlio di Fax, il quale è attualmente Signore di Ruatha,» aggiunse F’lar, ironicamente divertito.

Lytol sbuffò sottovoce e si guardò intorno, indignato. F’lar provò un fuggevole senso di compatimento per Jaxom, il figlio di Gemma e di Fax, allevato da un tutore non meno tetro che onesto.

«Se posso parlare, Nobile Comandante del Weyr…,» intervenne Robinton. «Come hanno già dimostrato le tue carte, tutti noi potremmo trarre indicazioni utili dalle nostre Cronache. » Sorrise, all’improvviso, di un sorriso curiosamente imbarazzato. «Devo ammettere di sentirmi un po’ colpevole, perché noi Arpisti abbiamo lasciato cadere nell’oblio i canti meno popolari e abbiamo tagliato le Ballate e le Saghe dell’Insegnamento troppo lunghe… un po’ per mancanza di ascoltatori e un po’, in certi casi, per salvarci la pelle.»

F’lar tossì per mascherare una risata. Robinton era davvero un genio.

«Devo proprio vedere quell’arazzo di Ruatha,» tuonò all’improvviso Fandarel.

«Sono certo che presto sarà nelle tue mani,» gli assicurò F’lar, con una sicumera che non provava affatto. «Miei Signori, ci sono tante cose da fare. Ora vi siete resi conto del pericolo che dobbiamo fronteggiare: lascio quindi a voi, come massime autorità delle Fortezze e delle Arti, la scelta dei modi migliori per organizzare la vostra gente. Artigiani, incaricate i vostri uomini migliori di studiare i vari problemi. Riesaminate tutte le Cronache che possono contenere indicazioni utili. Signori di Telgar, di Crom, di Ruatha e di Nabol, sarò da voi fra tre giorni. Signori di Nerat, Keroon ed Igen, sono a vostra disposizione per aiutarvi a distruggere i Fili interrati nei vostri possedimenti. Poiché abbiamo qui il Maestro Minatore, esponetegli le vostre necessità. Che mi dici della tua Corporazione?»

«È ben felice di darsi da fare, Comandante del Weyr,» pigolò il Maestro Minatore.

Proprio in quell’istante, F’lar scorse F’nor che, nell’ombra del corridoio, stava cercando di attirare il suo sguardo. Il cavaliere marrone sorrideva con esultanza: si capiva benissimo che moriva dalla voglia di riferire qualche notizia importante.

F’lar si chiese come avevano potuto tornare così in fretta dal Continente Meridionale. Poi si accorse che anche questa volta F’nor era abbronzato. Con un cenno del capo, gli fece capire di precederlo nel suo alloggio e di attenderlo.

«Signori e Maestri delle Arti, ognuno di voi avrà a disposizione un giovane drago come mezzo di trasporto e per comunicare i messaggi. E ora, buongiorno.»

Lasciò la Sala del Consiglio, percorse la galleria che conduceva alla grotta della regina, e aprì il tendaggio ancora ondeggiante che chiudeva la camera da letto proprio nell’istante in cui F’nor si stava versando una coppa di vino.

«Vittoria!» gridò questi, quando lo vide. «Anche se non capirò mai come hai fatto a sapere che dovevi mandarmi proprio trentadue candidati. Credo che volessi offendere la mostra nobile Pridith. E invece, ha deposto esattamente trentadue uova in quattro giorni. È stato tanto se sono riuscito a trattenermi dal correre qui quando ha deposto il primo.»

F’lar si congratulò cordialmente con lui, felice nel constatare che quel progetto presentasse almeno un aspetto positivo. Adesso si trattava di calcolare per quanto tempo F’nor era rimasto nel Sud, prima della frenetica visita della sera precedente. Non c’era preoccupazione né tensione, adesso, sul volto abbronzato e sorridente del suo fratellastro.

«Nessun uovo di regina?» gli chiese, speranzoso. Dato che quell’unico esperimento aveva prodotto trentadue uova, forse avrebbero potuto inviare una seconda regina e provare di nuovo.

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